Jane Hudson (Davis), ex bambina prodigio frustrata dagli insuccessi, vive da trent’anni in una vecchia casa con la sorella Blanche (Crawford), già diva degli anni ’30, paralitica dopo un incidente d’auto. Tra le due sorelle c’è un perverso rapporto sadomasochistico. Gioco al massacro tra una vittima che diviene carnefice e un carnefice che si trasforma in vittima, in bilico tra il melodramma e l’horror, è un capolavoro del grand-guignol cinematografico, detestato da molti che lo considerano una vetta del Kitsch violento. È difficile, però, non ammirare il linguaggio rigoroso e stilizzato di R. Aldrich, la sapiente sceneggiatura di Lukas Heller (da un romanzo di Henry Farrell del 1960), la straordinaria recitazione del trio principale, la dimensione gotica dell’atmosfera narrativa. 3 nomination agli Oscar: B. Davis, V. Buono, la fotografia di E. Haller. Fu tale il successo del film che ne fu tratto un “musical”.
Al servizio di due vecchie signorine norvegesi, Babette Hersant, cuoca francese emigrata, spende una forte somma vinta alla lotteria per allestire un pranzo per dodici persone che è un’opera d’arte gastronomica. Tratto da un racconto (nel volume Capricci del destino, 1958) di Isak Dinesen, pseudonimo di Karen Blixen, è un piccolo gioiello di delicata grazia e di struggente eppur serena malinconia. Ottimo esempio _ quasi come The Dead di Huston _ di adattamento cinematografico. Oscar per il miglior film straniero.
I protagonisti deL’Avventura sono sostanzialmente tre: Sandro (Ferzetti), architetto, Anna (Massari), ricca e viziata, legata a Sandro, e Claudia (Vitti), romantica e abbastanza per bene, e amica di Anna. Durante una crociera alle Eolie, Anna scompare. Tutto il gruppo di amici la cerca fra gli scogli e in mare, fino a notte. Nulla. La cosa è molto misteriosa, viene avvertita la polizia. Sandro e Anna decidono di cercarla per proprio conto. Arrivano in Sicilia e di paese in paese domandano di Anna. Ma continuano a non venire a capo di niente, la donna è come un fantasma imprendibile. Ritrovano i loro amici, tutti squinternati, senza morale, senza vocazioni, senza niente, solo con un po’ di soldi: una del gruppo seduce un giovane artista nel suo studio, praticamente davanti agli occhi di Claudia. Nel frattempo qualcosa è nato fra Sandro e Anna: un sentimento indecifrabile e indefinibile, che comunque si consuma in un campo vicino a una ferrovia. Anna ne è abbastanza felice, ma anche impaurita: ha tradito la sua amica. Sandro, su un campanile, improvvisamente chiede a Claudia di sposarlo, poi si lamenta del proprio lavoro: lui, architetto che fa i calcoli per i progetti degli altri. Nella piazza di una chiesa rovescia di proposito un calamaio sul disegno di una giovane. Li ritroviamo in una piazzetta di Taormina, all’alba. Lui è seduto su una panchina, lei gli si avvicina e, faticosamente, lo accarezza. Questo film consacrò Antonioni a livello internazionale. Il regista aveva trovato un equilibrio esatto e suggestivo, fotografando paesaggi e sentimenti con pulizia e rigore e lasciando trasparire nelle possibilità di comportamento dei personaggi cose che potevano anche essere sconvolgenti. Niente era dipendente da una volontà, non c’erano onestà, coerenza, umanità, logica, speranza, al massimo poteva esserci convenzione. Sandro è tutto questo, capace di fare qualsiasi cosa, di prendere tutte le decisioni in quel momento. Non ha morale, non ha talento, non ha volontà, parla e non si fa capire, ascolta e non capisce. È solo educato, com’era, come continua ad essere la borghesia che interessa ad Antonioni. Nel precedente Il grido il regista si era assunto responsabilità minori, tutto era determinato dalla necessità e dal piccolo sentimento, quasi dalla biologia. Per questo L’avventura mantiene minore vedibilità rispetto al primo, che è un’opera d’arte totale e perfetta, anche se, appunto, di respiro più corto. Certo, c’è sempre il gesto finale di Claudia, che può essere un richiamo di tenerezza e di speranza. Il film ebbe un clamoroso successo a Cannes (1960) anche se non vinse la Palma: è ormai tradizione consolidata che il film migliore non vinca la Palma ma ottenga premi speciali della critica. I temi deL’Avventura, distruttivi e senza speranza, indussero la magistratura a sequestrare il film per oscenità e offesa al pudore. Del resto l’incomprensione fa parte della liturgia del mito. Da secoli.
Peter Watson (Rupert Friend) è un ragazzo che si sta affacciando all’adolescenza. Dopo la scuola, gironzola assieme ai suoi due amici, in realtà due crudeli bulletti. I due amici gli chiedono di mettere in atto delle ‘prove di coraggio’ che Peter compie ubbidendo.
Prima lo costringono a sdraiarsi al centro dei binari di una stazione ed aspettare che passi il treno sopra di lui, poi lo umiliano facendogli indossare due ali di un cigno ucciso a sangue freddo e convincendolo a salire su un albero e buttarsi in volo sopra lo stagno. Peter Watson, che racconta da adulto questi eventi che lo hanno segnato, è un ragazzo in apparenza debole, ma in realtà ha una grande forza interiore e una viva intelligenza.
All’inizio del Novecento avventuriero e prostituta gestiscono con profitto una casa di tolleranza per minatori. Una compagnia mineraria gli fa un’offerta, lui uccide i sicari inviati per eliminarlo, ma muore. Western revisionista, tratto da un romanzo di Edmund Naughton, in bilico tra storia e mito, tradizione e innovazione sullo sfondo di un inverno innevato, magnificamente fotografato da V. Zsigmond. Belle canzoni di Leonard Cohen. R. Altman, racconta un West più concreto e miserabile di quanto era mai apparso, privo dell’alone romantico o umanistico dei classici.
Un film di Théo Angelopulos. Con Vanghelis Kazan, Eva Kotamanidu, Aliki Gheorguli Titolo originale O thiasos. Drammatico, durata 235′ min. – Grecia 1975. MYMONETRO La recita valutazione media: 4,42 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Una compagnia di attori (all’interno della quale si sviluppa una serie di rapporti ispirati al mito degli Atridi) porta, di paese in paese, il dramma ottocentesco Golfo della pastorella di Spiridonos Peresiadis. 3° film di Anghelopulos, è una grande saga epica _ nei contenuti ma soprattutto nel linguaggio, secondo l’accezione brechtiana _ che traccia una sintesi della storia greca dal 1939 al 1952.
Episodi sentimentali nella vita sessuale di uno scrittore televisivo di New York la cui ultima moglie (Streep) l’ha abbandonato per una donna. In questo poema d’amore per una Manhattan interiorizzata e sognata, calata nel sublime bianconero di Gordon Willis o accarezzata dalle canzoni di George Gershwin, più che la vicenda contano i personaggi e il tono con cui sono raccontati. Dramma in cadenze leggere di commedia: la summa di Allen di cui è per molti critici e spettatori il film preferito, quello che resterà. Agli Oscar, infatti, non fu nemmeno nominato. 1° film di Allen in bianconero e anamorfico. L’autore non ne era soddisfatto: troppo statico. 1° film con Susan E. Morse al montaggio.
Nata in Groenlandia, Smilla vive da molti anni a Copenaghen. Dopo la morte di un bambino, Isaiach, suo vicino di casa, liquidata dalla polizia come una banale caduta da un tetto, la ragazza, esperta glaciologa, sospetta in realtà un omicidio, esaminando le orme lasciate sulla neve dal piccolo. Dall’omonimo best-seller di Peter Hoeg.
Dopo un litigio con una donna sposata con la quale conviveva da sette anni, un operaio si allontana da casa con la figlioletta, compiendo un doloroso vagabondaggio, apparentemente senza meta, in Padania. Gli incontri che fa non lo aiutano. “Il passato preme e chiude e il futuro non esiste: esiste soltanto il presente con l’impossibilità di dare coerenza ai sentimenti, di conciliarsi col tempo e col luogo” (G. Tinazzi). È, forse, il capolavoro del primo Antonioni, un’odissea straziante che racconta l’impossibilità di ricondurre nel pubblico e nel collettivo la crisi profonda del privato. Il paesaggio diventa il riflesso dell’anima. Gran Premio della critica al Festival di Locarno. Scritto con Elio Bartolini e Ennio De Concini. Nastro d’argento alla fotografia di Gianni De Venanzo. D. Gray con la voce di Monica Vitti.
Oregon 1933. Tra gli hobos, i vagabondi senza lavoro che si spostano da uno Stato all’altro durante la Grande Depressione, salendo clandestinamente sui treni merci, c’è il Numero 1 (Marvin), detto “imperatore del Nord” per lo scaltro talento con cui sfugge ai guardiani ferroviari pronti a gettare i clandestini dal treno in corsa. E c’è, sulla linea 19, Shack (Borgnine), sadico e implacabile conduttore che agli hobos fa una lotta spietata. Da una sceneggiatura di Christopher Knopf che non ignora i precedenti letterari sull’argomento (La strada, 1907, di Jack London, per esempio), Aldrich ha tratto un film torvo che compendia in cadenze epiche il suo cinema romantico della disfatta e del furore. Da non trascurare l’importanza di Sigaret (Carradine), hobo per gioco, divorato dalla propria ambizione senza sbocco. Altro titolo Emperor of the North Pole.
Nel deserto tra Disneyland e Las Vegas c’è una stazione di rifornimento con bar e motel. Arriva a piedi una imponente turista 40enne di Monaco di Baviera e vi si installa. Come la Sägebrecht (Vedi Sugar Baby ) porti ordine e allegria nel sordido Bagdad Café è l’itinerario di un film accattivante, caloroso e astuto che, dopo Herzog e Wenders, propone un altro sguardo tedesco sull’America.
Il viaggio apostolico del cardinale Guglielmo Massaia (1809-86) e la sua amicizia con il ras Menelik non sono graditi al capo della chiesa copta Atanasio. Presentato a Venezia nel 1939, ottenne la Coppa Mussolini. Decoroso film agiografico di propaganda alla politica fascista di espansione coloniale nell’Africa orientale. Intitolato anche Vendetta africana.
Dopo una battaglia nel deserto, un gruppo di soldati tedeschi e i loro prigionieri americani si trovano ad affrontare le sabbie infuocate. Durante la difficile marcia ogni rivalità è dimenticata, tanto che l’ufficiale tedesco, alla fine, lascia liberi i prigionieri. Mesi dopo, in altro luogo l’ufficiale tedesco si trova nuovamente di fronte l’avversario americano: non ha il coraggio di sparargli, ma la sua generosità gli è fatale.
Danimarca, seconda metà del XVIII secolo. Il re 17enne Christian VII sposa la cugina Carolina Matilde, sorella di Giorgio III. Il giovane monarca ha problemi di ordine psicologico (e sessuale) e il vero potere è appannaggio dei conservatori del Consiglio di corte. Arriva Johann Friedrich Struensee, medico personale del re e convinto assertore dei valori dell’Illuminismo, lassù assolutamente invisi. Da un lato aiuta il re a trovare maggiore equilibrio ma dall’altro lo influenza, diventando il reggente e intrecciando una relazione con la trascurata regina. Ritratto storicamente accurato e spettacolarmente avvincente che non riesce a catturare l’attenzione del pubblico italiano. Racconta un momento della storia danese conosciuto solo in patria. Nominato miglior film straniero agli Oscar e al Golden Globe, premiato al Festival di Berlino per la miglior sceneggiatura e il miglior attore (Følsgaard). Distribuito da Academy 2.
Barnaba è un quasi quarantenne disoccupato che vive ancora con mamma e papà e va alla ricerca di un fantomatico bancomat erogatore di banconote anche a chi, come lui, ha un credito perennemente esaurito. Jacopo, ex compagno di scuola di Barnaba, è stato abbandonato in un cassonetto alla nascita e lasciato dalla fidanzata all’altare: ora alterna le sue giornate fra un lavoro ingrato all’anagrafe e innumerevoli maldestri tentativi di suicidio. Sonia è una neolaureata in arte e un’aspirante restauratrice che soffre della sindrome di Stendhal, e dunque sviene davanti alle opere che dovrebbe rimettere in sesto. Quando Sonia, dal Nord Italia, si trasferisce a Napoli con l’incarico di porre riparo a un San Sebastiano danneggiato presso una chiesa di quartiere le strade dei tre si incrociano, così come i loro destini. Il quarto personaggio è la città di Napoli, in bilico fra archetipo e stereotipo, popolata da un’umanità colorita che fa da controcanto alle vicende dei protagonisti.
Due lottatrici di catch alle prese con un manager truffaldino e con un sottobosco di malavita e sfruttamento. Riusciranno a farcela e ad aggiudicarsi l’ambito trofeo. Robert Aldrich, maestro del cinema di violenza, per raccontare lo sport più sadico e crudele, il catch femminile, ha scelto la strada della commedia, con risultati solo qua e là brillanti.
Jack Gramm è uno psichiatra forense a disposizione dell’FBI. Insegna all’Università ed è dotato di un indiscutibile fascino che attrae l’altro sesso. Ne facciamo la conoscenza proprio nei giorni in cui Jon Forster, un serial killer che lui ha contribuito in maniera determinante a far condannare a morte, sta per essere soppresso. L’uomo proclama con ancora maggiore forza la sua innocenza perché è avvenuto un delitto che ha le stesse caratteristiche di quelli a lui attribuiti. La vittima è una studentessa di Gramm il quale è convinto che si tratti di un caso di pura e semplice emulazione. Ma riceve un avvertimento da qualcuno che sembra conoscere ogni sua mossa: ha ancora 88 minuti di vita. Da quel momento ogni secondo diviene prezioso e Gramm deve cercare di capire chi, tra i giovani studenti che ne incrociano il percorso, è dalla sua parte e chi no. Jon Avnet è noto da noi in particolare per quel gioiellino che è stato Pomodori verdi fritti alla fermata del treno. Questo film ne è distante anni luce tanto che, realizzato in una Vancouver fatta passare per Seattle ma con quotidiani che a Seattle non si vendono, l’uscita negli States è ancora vaga mentre in altre nazioni è uscito direttamente in dvd (brutto segno). Avnet, che ha sostituito alla regia James Foley, si avvale della sceneggiatura di un esperto di film d’azione come Gary Scott Thompson (The Fast and the Furious, Timecop 2)
Proprio qui sta il problema. Se in quei film la verosimiglianza e le concatenazioni narrative contano ben poco, in un thriller sono tutto. Perché altrimenti il povero spettatore comincia a chiedersi in quale dimensione parallela sia finita una vicenda in cui il killer può permettersi di scrivere sull’auto del malcapitato Gramm quanti minuti gli restano da vivere (potendo quindi prevedere con precisione assoluta in che istante lui la raggiungerà). Però, c’è un però. Ci sono attori come De Niro che fanno di tutto per buttarsi via e talvolta ci riescono. Pacino ci ha provato a sua volta ma, nonostante tutto, non ce la fa. Anche in un film come questo i suoi sguardi, le sue pause, il suo ascoltare l’interlocutore non facendo nulla ma offrendo comunque il senso dell’attenzione provano che ci sono grandi attori costituzionalmente incapaci a non essere tali. Nonostante tutto. Le due stelle sono per il film perché Al ne merita di più.
Anarchico e precario, il 28enne Amadei era andato in Iraq nel 2003 per lavorare da aiuto regista alla preparazione di un film. Pur gravemente ferito, fu l’unico sopravvissuto alla strage di Nassirya dove morirono 19 italiani. Ne cavò un libro scritto con Francesco Trento, poi collaboratore alla sceneggiatura del film. Nell’ospedale Celio di Roma sfilano politici, militari, giornalisti che visitano l'”eroe per caso”, ma lui non ci sta a essere oggetto di compatimento e celebrazione. Film di denuncia delle “missioni di pace” italiane all’estero, è una fiction girata come un documentario, ricca di momenti emozionanti e di abissi onirici con molte concessioni al pathos e al didascalico.
Il cinema iraniano continua le sue acrobazie retoriche e finisce per incartarsi con 20 Angosht (“venti dita”), diretto dalla giovane Mania Akbari e vincitore della sezione Digitale a Venezia 2004. Un film in cui non accade assolutamente niente: un’esasperante parata dei volti dei due protagonisti (ed unici attori) che discutono, in successive fasi della loro relazione amorosa, del nulla più profondo. Seguire i loro primissimi piani sfocati e ballonzolanti è già difficile dopo 20 minuti; al 40mo si comincia a perdere interesse anche per i loro battibecchi; sul finale si ronfa di gusto. Questo non è cinema, non è sperimentazione, non è niente.
Dopo un incidente, una giovane donna si sveglia in una stanza semi buia con una flebo attaccata al braccio e la caviglia incatenata al letto: non sa come ci sia finita. Un uomo corpulento dai modi sbrigativi e bruschi le spiega che l’ha salvata portandola nel suo bunker. Nel mondo fuori eventi catastrofici hanno reso inabitabile la Terra. Insieme a loro c’è un ragazzo del posto che ha aiutato “il padrone di casa” a costruire il rifugio antiatomico. Alcuni episodi sembrano confermare che i due dicano la verità. Prodotta (come il similare Cloverfield ) da J.J. Abrams e diretto dal debuttante Trachtenberg con un budget di circa 15 milioni di dollari, è una sorprendente commedia thriller surreale piena di colpi di scena e segnata da un ritmo di traboccante tensione. Finale non banale. Il cast è un prezioso valore aggiunto.
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