Un film di Richard Fleischer. Con Richard Attenborough, Judy Geeson, John Hurt Titolo originale 10 Rillington Place. Drammatico, durata 111′ min. – Gran Bretagna 1971. MYMONETRO L’assassino di Rillington Place N. 10 valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Da un libro di Ludovic Kennedy. La vera storia, che sconvolse Londra negli anni ’40, di John Reginald Christie, che avvicinava le donne, le uccideva e le seppelliva in giardino. Accurata ricostruzione dell’ambiente, intensa interpretazione, seppur teatraleggiante, di Attenborough, ma poco soddisfacente l’approfondimento psicologico.
L’amore tra una ragazza benestante e uno studente ribelle di Los Angeles che ruba un aereo alla ricerca della libertà. Finale profetico esplosivo in forma di apocalisse capitalistica. La sproporzione tra idee e apparato figurativo, tra esilità della storia e terribilità della conclusione irritò la critica americana, ma l’esilità (la superficialità) non è soltanto della storia: è l’invenzione registica che bisogna mettere in discussione, è la pregnanza figurativa che manca, sostituita da una compiaciuta lussuria fotografica (Alfio Contini). È il film di un provinciale che punta al grandioso. Sam Shepard collaborò alla sceneggiatura. Una buona colonna rock con (fra gli altri) Pink Floyd, Grateful Dead e Rolling Stones.
Clara Manni, ex commessa diventata una divetta del cinema commerciale, sposa con riluttanza un produttore al quale chiede di poter interpretare un film su Giovanna d’Arco. Il film è un fiasco e per aiutare il marito a risollevarsi prende parte a un film mediocre ma redditizio, poi divorzia. 2° lungometraggio di M. Antonioni che riesce soltanto in parte a descrivere il mondo del cinema, analizzandone la mercificazione, la precarietà, il mediocre cinismo. Lo schema narrativo è ancora melodrammatico, ma sono le decantazioni, le diramazioni, i prolungamenti, i modi di costruzione dell’inquadratura, gli sfondi figurativi che contano. È una tipica opera di transizione tra il vecchio e il nuovo. Giudicandolo troppo autobiografico, Gina Lollobrigida rifiutò la parte. Grolla d’oro per A. Checchi.
Finito in carcere per ubriachezza e guida pericolosa, il campione di rugby Crewe è costretto dal direttore ad allenare una squadra di detenuti che dovrà battersi contro quella dei poliziotti. Lo scontro è duro e i poliziotti giocano pesante: perciò Crewe, che in un primo momento si era accordato col direttore per la vittoria dei poliziotti, si impegna a fondo e fa vincere la propria squadra.
Donna “comprata” da un uomo ricco e anziano ha una relazione adulterina con un uomo amato in gioventù. La morte casuale del marito, pur tanto desiderata, la separa dall’amante. Film d’esordio di M. Antonioni, segna una svolta di tendenza nel cinema italiano dopo l’esaurirsi del neorealismo. Non è certo un film interamente risolto, ma ricco di novità stilistiche, soprattutto nell’uso, allora poco frequente, del piano-sequenza e nell’attenzione alle cose e agli ambienti, come per sottolineare l’estraneità dei personaggi borghesi, il loro egoismo arido, la loro futilità. Suggestivo il commento musicale di Giovanni Fusco (1906-68), premiato con il Nastro d’argento, anch’egli esordiente nel lungometraggio, basato su un duo di sassofoni più un pianoforte, con poche cellule tematiche, continuate nell’impiego ossessivo di ritmi irregolari.
Ioan, 23 anni, lascia la Romania per cercare fortuna in Italia in compagnia di un amico. Arriva però da solo a Roma e viene aiutato da Michele che lavora alla stazione. L’uomo lo ospita e se ne innamora anche se il ragazzo sembra non accorgersene. La loro vita non è semplice: i lavori di Michele sono precari e Ioan è immigrato irregolarmente. Ma una donna (oltre alla frustrata padrona di casa interpretata con il solito acume da Luciana Littizzetto) entra nella loro vita provocando un inatteso cambiamento. Era dal 1996 con Come mi vuoi che Carmine Amoroso mancava dal grande schermo. Vi ritorna ora con un film che ha subito la falcidia dei finanziamenti pubblici (che prima c’erano e poi sono stati brutalmente decurtati) ma che mostra come in Italia si possa ancora fare cinema indipendente di buon livello. Con un ‘però’. Ci sono film le cui storie (una volta consolidate) non dovrebbero mai consentire ai personaggi di tornare a prendere un treno o di passare un casello di autostrada e Cover Boy è uno di questi. Proviamo a spiegare. Grazie anche alla splendida (e premiata) fotografia di Paolo Ferrari e al montaggio di Luca Manes, Amoroso riesce a raccontare con grande sensibilità il rapporto che si instaura tra due uomini dalla vita precaria riuscendo a farci percepire l’incontro tra due modi di affrontare la vita senza cadere nella facile sociologia. Collocando per di più la vicenda al Mandrione (di pasoliniana e rosselliniana memoria) ci mostra uno spazio periferico in cui sorgono ancora baracche ed edifici abusivi, divenuto oggi meta di molti extracomunitari. Anche il sentimento che Michele nutre per Ioan è cesellato da Luca Lionello con umanità e sensibilità. Però… nel momento in cui (senza anticiparvi troppo della vicenda per non togliervi il gusto della visione) uno dei due lascia Roma il film perde la compattezza costruita sino ad allora per imboccare una via già battuta da altri dissolvendo l’atmosfera costruita sino a quel punto. Questo dispiace un po’ perché sicuramente ad Amoroso il senso del fare cinema non manca.
Francesca, 23 anni, sparisce misteriosamente nel nulla. Dopo mesi di inutili ricerche, due amici scoprono, nel computer della ragazza, che il giorno della scomparsa Francesca ha risposto a un annuncio on line per un lavoro da baby-sitter. I due ragazzi si convincono che Davide, l’autore dell’annuncio, sia coinvolto nella sparizione. Decidono, così, di indagare da soli e posizionano nella casa di quest’uomo solitario delle telecamere, per scoprire se è lui ad aver rapito la loro amica.
Nel 1862 il Professor Fergusson progetta di esplorare l’Africa orientale con Jupiter; una mongolfiera, con gondola a forma di unicorno, dotata di un sistema di sua invenzione in grado di far salire e scendere l’aeromobile senza la perdita di gas o di zavorra. Dopo un volo dimostrativo, riceve un netto rifiuto di finanziamento da parte della Royal Geographic Society. Quando il professore e il suo assistente Jacques sembrano essere ormai rasseganti, un editore americano si propone di finanziare la sua impresa, a condizione che suo nipote Donald O’Shay, un reporter del suo stesso giornale, preda parte alla spedizione.
Charlie è un uomo obeso di una cinquantina d’anni. Vive solo, passa le giornate seduto sul divano tenendo corsi di scrittura online, guardando la tv e mangiando compulsivamente. Nella sua vita ci sono Liz, amica infermiera che si prende cura del suo stato di salute sempre più precario, e la figlia Ellie, diciassettenne che ha abbandonato quando era bambina per seguire l’amore della sua vita, Adam, il cui successivo suicidio è alla causa della sua obesità. Sentendo la morte avvicinarsi Charlie decide di spendere il tempo che gli resta per riconciliarsi con Ellie, la quale non gli ha mai perdonato la sua scelta…
Un film di Michael Apted. Con John Belushi, Blair Brown Titolo originale Continental Divide. Commedia, durata 103 min. – USA 1981. MYMONETRO Chiamami aquila valutazione media: 2,64 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari
Un reporter piantagrane, per punizione, viene mandato dal direttore del suo giornale in servizio sulle Montagne Rocciose, a intervistare un’ornitologa che vive in solitudine studiando una rara specie di aquile. L’irruente giornalista scompiglierà la quiete degli alti picchi e il cuore della studiosa. Seguiranno matrimonio e tanti aquilotti. Belushi, al suo massimo splendore, si muove come un bulldozer su un copione intriso di aggraziata ironia, merito della penna di Lawrence Kasdan, più tardi regista de Il grande freddo
Le inverosimiglianze della vicenda sono compensate da una regia brillante e bravi attori. Ricca ereditiera trova in casa un tale che si dice suo fratello, dato per morto.
Un uomo è in piedi in un vagone della metropolitana con la faccia sporca di fuliggine. Nella mano destra stringe una borsa di plastica che contiene dei documenti, o meglio, i loro resti carbonizzati. In un corridoio un uomo si aggrappa alle gambe del suo capo che l’ha appena licenziato. In un bar qualcuno sta aspettando il padre che ha appena bruciato la sua fabbrica di mobili per ottenere i soldi dell’assicurazione. Ingorghi stradali e agenti di borsa riempiono le strade mentre un economista, alla disperata ricerca di una soluzione ai suoi problemi fissa la sfera di cristallo di un veggente. Tutti stanno andando da qualche parte, ma nessuno sa più qual è la vera ragione.
Cesàr è un giovane di successo che cambia continuamente amanti: una sera, a una festa, conosce e si innamora follemente di Sofia, ma il destino ha in serbo per lui un tragico scherzo: tornando a casa si imbatte infatti in una sua ex delusa, Nuria, che esce volontariamente di strada con la sua macchina, trovando la morte, e lasciando Cesàr sfigurato per sempre. In ospedale, il protagonista comincia però ad avere strane visioni e la sua vita cambia radicalmente quando Nuria torna a farsi viva, asserendo di essere Sofia. Clamoroso successo di pubblico in patria, film amatissimo da Tom Cruise che girerà il remake meno riuscito Vanilla Sky (durante la cui lavorazione inizierà la liason con la Cruz che porterà alla dissoluzione del suo decennale matrimonio con Nicole Kidman), Apri gli Occhi è l’affascinante e complessa opera seconda del talentuoso Amenabar: difficile da seguire e comprendere, per il continuo alternarsi di piani narrativi differenti e passaggi tra finzione e realtà, il film rappresenta un’affascinante incursione nel mondo del subconscio, dell’amore, della sfera emozionale che ognuno di noi possiede e che spesso fatica a emergere, affossata com’è dalla banalità del quotidiano: qui un evento tutto sommato comune, ma al contempo straordinario, come una storia d’amore si trasforma in efficace volano per riflettere sulle mille maschere che indossiamo ogni giorno e sui dubbi e le incertezze che attanagliano la nostra società. Impeccabile il cast, Noriega e Cruz in testa, e grande fotografia di Hans Burmann: tra forma e filosofia, vince il sentimento.
Traffico di droga a Hong Kong. Parte agente statunitense, incontra un esperto di lotte orientali e un’avvenente spia che ama il denaro. Il tono del film è sul comico.
Turk e Rooster sono detective nel Dipartimento di polizia di New York. Veterani pluridecorati sono a un passo dalla pensione e dal serial killer che celebra i suoi cadaveri con sonetti in rima. Collabora alle indagini l’affascinante Karen Corelli, agente della squadra CSI e amante volubile di Turk. Karen ha una dipendenza dal sesso e da pratiche erotiche non convenzionali, che consuma con Turk e con il più giovane agente Perez, convinto che il serial killer sia proprio un poliziotto. Tra l’omicidio di uno spacciatore e quello di un protettore e contro i metodi della coppia junior, Turk e Rooster proveranno a fare luce sul caso e sui confini della legge.
Una bomba atomica perduta da un aereo israeliano abbattuto durante la Guerra del Kippur del 1973 finisce nelle mani del neonazista Dressler (Alan Bates) che ha in mente di scatenare un conflitto tra Russia e Stati Uniti per spazzare via per sempre dal mondo democrazia e comunismo. Il clima di incertezza che si è creato alla Casa Bianca dopo l’insediamento al Cremlino del nuovo leader Alexander Nemerov (Ciaran Hinds), i cui orientamenti politici – specialmente sulla spinosa questione della Cecenia – sono ancora sconosciuti, sembra favorire il disegno del fanatico criminale. Mentre il giovane analista Jack Ryan (Ben Affleck) su incarico del direttore della CIA William Cabot (Morgan Freeman), è impegnato a studiare la personalità di Nemerov, gli eventi precipitano.
John Halder è un professore di letteratura nella Germania del ’33. Sposato a una moglie nevrotica, padre di due bambini e figlio di una madre affetta da demenza senile, Halder scrive e pubblica un libro sull’eutanasia, che accende l’interesse delle alte sfere politiche del partito nazista. Deciso a fare del suo romanzo uno strumento di propaganda che giustifichi l’eliminazione fisica dei degenti fisicamente e psicologicamente invalidi, il partito chiede al professore di scrivere un saggio compassionevole sull’argomento. La stesura del testo critico e la relazione con una giovane allieva ambiziosa lo condurranno lentamente ma inesorabilmente a tradire la bellezza e il “buono” della sua vita. Colluso con un regime in procinto di occupare l’Europa e produrre l’indicibile orrore, Halder navigherà verso le derive del nazismo, condannando il suo amico Maurice, psichiatra ebreo, alla deportazione.
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