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Un film di Wes Anderson. Con Gene Hackman, Anjelica Huston, Ben Stiller, Gwyneth Paltrow, Luke Wilson. Titolo originale The Royal Tenenbaums. Commedia, durata 109 min. – USA 2001. MYMONETRO I Tenenbaum * * * 1/2 - valutazione media: 3,86 su 31 recensioni di critica, pubblico e dizionari
Royal e Etheline Tenenbaum, newyorkesi dell’upper class, hanno avuto tre figli. Tre bambini prodigio: Chas, piccolo genio della finanza inventore di topi dalmata; Richie, giovane campione di tennis; e Margot, figlia adottiva drammaturga iperdepressa.
Dopo anni di separazione i tre fratelli adulti si ritrovano a fare un tuffo nel passato della grande e colorata casa d’infanzia di Archer Avenue (che tanto ricorda quella degli Amberson wellesiani) tra vecchi giochi in scatola e vinili impolverati.
Tutto in questo bizzarro universo isolato dal mondo reale sembra rimasto com’era. Le camerette ospitano ancora giradischi, disegni infantili e tende da campeggio. I tre vestono ancora come una volta: tuta rossa e folto cespuglio di capelli Chas, pelliccia e occhi truccatissimi Margot, tenuta da tennista e occhiali scuri il timido Richie. Ma le loro vite sono cambiate: Chas, in seguito alla perdita della moglie, è diventato un maniaco della sicurezza sua e dei due figli; Margot, con un matrimonio infelice in corso, è altrettanto triste con il suo amante clandestino Eli Cash, vicino dei Tenenbaum con l’unico desiderio di “essere un Tenenbaum”. Richie, da sempre segretamente innamorato della sorella adottiva, si è imbarcato dopo aver perso un match decisivo proprio il giorno successivo al matrimonio di Margot.
L’occasione della loro riunione è il ritorno a casa del padre Royal, forse gravemente malato, proprio nel momento in cui la sua ex moglie sta per risposarsi.
Strutturato in capitoli dall’andamento descrittivo (più che narrativo) legati tra loro dall’intervento di un’eloquente voce narrante, la terza dolceamara e matura opera di Wes Anderson esalta le atmosfere eleganti, nostalgiche e surreali dei film precedenti, creando un mosaico di personaggi demodè, eccentrici e realistici allo stesso tempo. La sua grandezza è quella di riuscire, attraverso l’ironia delle sue figure stralunate, a parlarci in maniera lieve, originale e personalissima di sentimenti universali.
Supportato da un appropriato universo musicale retrò (brani dei Velvet Underground, dei Beatles, di Nico e Paul Simon) e da una curatissima scenografia dai colori pop, il film, che potrebbe essere stato scritto dal Salinger di Franny & Zooey o dall’Ashby di Harold e Maude, vibra d’intensità grazie alla sentita interpretazione degli attori, qui in ruoli per loro inconsueti: dalla depressa Paltrow in versione dark, all’introverso sensibile Luke Wilson, passando per lo svanito Owen Wilson (autore insieme all’amico regista della sceneggiatura), fino ad arrivare all’immaturo e infantile padre di famiglia dandy Royal, interpretato da un intenso e stravagante Gene Hackman.
A completare il quadro una galleria di personaggi “minori” che, come di consueto nel cinema “attento allo sfondo” di Wes Anderson, non sono mai marginali: dal fedele domestico Pagoda al finto medico interpretato da Seymour Cassel, volto invecchiato di quell’universo anni Settanta tanto amato dal regista.

The Royal Tenenbaums (2001) on IMDb

Locandina Il primo uomoUn film di Gianni Amelio. Con Jacques Gamblin, Catherine Sola, Maya Sansa, Denis Podalydès, Ulla Baugué. Titolo originale Le premier homme. Drammatico, durata 98 min. – Italia, Francia, Algeria 2011. – 01 Distribution uscita venerdì 20 aprile 2012. MYMONETRO Il primo uomo * * * 1/2 - valutazione media: 3,87 su 48 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Lo scrittore Jean Cormery torna nella sua patria d’origine, l’Algeria, per perorare la sua idea di un paese in cui musulmani e francesi possano vivere in armonia come nativi della stessa terra. Ma negli anni ’50 la questione algerina però è ben lontana dal risolversi in maniera pacifica. L’uomo approfitta del viaggio per ritrovare sua madre e rivivere la sua giovinezza in un paese difficile ma solare. Insieme a lui lo spettatore ripercorre dunque le vicende dolorose di un bambino il cui padre è morto durante la Prima Guerra Mondiale, la cui famiglia poverissima è retta da una nonna arcigna e dispotica. Gli anni ’20 sono però per il piccolo Jean il momento della formazione, delle scelte più difficili, come quella di voler continuare a studiare nonostante tutte le difficoltà. Tornato a trovare il professor Bernard, l’insegnante che lo ha aiutato e sorretto, il Cormery ormai adulto ascolta ancora una volta la frase che ha segnato la sua vita: “Ogni bambino contiene già i germi dell’uomo che diventerà”.
Senza mezzi termini il miglior film di Gianni Amelio almeno dai tempi de Il ladro di bambini. Adattamento del romanzo di Albert Camus, Il primo uomo ripercorre a ritroso le vicende di un personaggio straordinario, silenzioso e deciso, che ricerca nel proprio passato anche doloroso le convinzioni che lo hanno portato ad essere ciò che è nel presente. Lo stile del regista è come sempre asciutto ed elegante, evita inutili infarcimenti estetici e si concentra sulla pulizia e sull’efficacia dell’inquadratura. Ogni primo piano su volti segnati dalla loro vicenda personale è preciso, giustificato, emozionante. In questo lo supporta alla perfezione la fotografia accurata ma mai espressionista di Yves Cape, tornato con questo lungometraggio ai livelli altissimi che gli competono. Anche la sceneggiatura alterna i piani temporali costruendo un equilibrio narrativo basato sulla vita interiore del personaggio principale, un’architettura narrativa complessa e sfaccettata che funziona a meraviglia. Poi ovviamente ci sono gli attori, tutti in stato di grazia. Jacques Gamblin possiede la malinconia e insieme il carisma necessari per sintetizzare al meglio l’anima di una figura complessa come Jean Colmery. Accanto a lui una schiera di volti che regalano dignità e verità a tutte le parti, anche le più piccole: su tutti vale la pena citare una sontuosa Catherine Sola nelle vesti della madre di Jean, interpretata in gioventù dalla brava Maya Sansa.
Un’opera raffinata e umanissima, in grado di rivendicare l’importanza della memoria non solo personale ma collettiva, una memoria che deve essere adoperata come strumento d’indagine delle contraddizioni del presente. Sotto questo punto di vista quindi un film che guarda al passato per farsi attuale e necessario. Cinema di qualità estetica elevata e d’importanza civile. Da applauso.

Le premier homme (2011) on IMDb

Un film di Wes Anderson. Con George Clooney, Meryl Streep, Jason Schwartzman, Bill Murray, Wallace Wolodarsky. Animazione, Ratings: Kids, durata 88 min. – USA, Gran Bretagna 2009. – 20th Century Fox uscita venerdì 16 aprile 2010. MYMONETRO Fantastic Mr. Fox * * * 1/2 - valutazione media: 3,61 su 32 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Il signor e la Signora Fox vivono pacifici col figlioletto Ash e il nipotino Kristofferson, loro ospite, dentro un grande albero in cima alla collina che fronteggia gli stabilimenti dei più cattivi contadini della zona: Boggis, Bunce e Bean. Ma la natura selvatica del signor Fox gli impedisce di trovare soddisfazione come giornalista e lo spinge a cercare di far fessi i tre uomini e a saccheggiare i loro depositi. La vendetta è veloce e spietata e mette a repentaglio non solo la sua amata famiglia ma tutti gli animali del sottosuolo. Mr Fox dovrà elaborare dunque un nuovo e geniale piano per trarre tutti d’impaccio.
Il signor Volpe, il protagonista del primo lungometraggio d’animazione di Wes Anderson, è elegante, intraprendente, selvatico. Un intelligente e vanitoso americano (la voce originale e l’ispirazione di fondo sono quelle di George Clooney) che di quando in quando parla francese e da solo è capace di rivoluzionare come nessun altro lo statico quadro della campagna inglese.
Mentre la moglie dipinge, assecondando una vocazione artistica che in Anderson è spesso associata al femminile, lui incarna lo spirito dell’avventura. Stanco di vivere in un buco, noncurante del fatto che i buchi altro non sono che le abitazioni standard delle volpi come lui, si sistema in grande stile in un appartamento esagerato e in una posizione pericolosissima e tentatrice. C’è qualcosa di Mr. Ocean in Mr. Fox, ladro gentiluomo, capo della banda, e qualcosa del supereroe che non può non rispondere alla chiamata identitaria, alla missione (vedi Zissou) e dunque mascherarsi e tornare ad essere chi realmente è, un professionista del furto.
A leggere idealmente il fumetto di questo supereroe è il figlio Ash, schiacciato dal mito del padre e goffamente alla ricerca della sua perenne approvazione. Come sempre nei film dell’americano, padre e figlio cresceranno insieme e non certo da soli, ma con la complicità di una famiglia allargata che li ama per quello che sono: fantastici o semplicemente piccoli, in ogni caso umanamente animali.
La sceneggiatura del regista in coppia con Noah Baumbach crea quasi dal nulla -tanto è sottile il racconto di Roal Dahl-, o probabilmente giusto da uno spunto affettivo (Anderson sostiene che quello fosse il primo libro da lui mai posseduto), un universo di brulicante vitalità, intensa pittoricità ed emozionante musicalità. Ancora una volta senza sponda alcuna, che sia un genere di riferimento o una trama archetipica, l’autore segue (anche a distanza) con sincera partecipazione la fuga dei suoi personaggi verso un destino apparentemente ignoto (ad un certo punto non resta che scavare e scavare, il più velocemente possibile e senza tregua) ma di fatto puntato verso la rivendicazione del diritto alla diversità, alla libertà e alla condivisione di entrambe con i pochi amici. Che aumentano, però, strada facendo.

Fantastic Mr. Fox (2009) on IMDb
Locandina Lamerica

Un film di Gianni Amelio. Con Michele PlacidoEnrico Lo VersoPiro MilkaniElida JanushiCarmelo Di MazzarelliDrammaticoRatings: Kids+16, durata 125 min. – Italia 1994. – Penta Distribuzione uscita martedì 6 settembre 1994. MYMONETRO Lamerica ***1/2- valutazione media: 3,90 su 12 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Un film non indispensabile. Un giovane va in Albania con un losco affarista che vuole aprire una fabbrica di calzature. Hanno bisogno di un prestanome e trovano un vecchio albanese. Ma questi fugge e il giovane lo insegue. Viaggiano insieme, ma nascono molti problemi. Oltre a essere dimenticato dal “socio”, scopre che il vecchio è in realtà un italiano. Intorno a loro un paese allo sbando che campa di stenti e guarda la televisione italiana. Prenderanno una nave che li riporta in Italia. Per certi versi migliore di Ladro di bambini ma più dispersivo. Il film, pur avendo un suo valore, soffre di alcune forzature. Vuol fare sia denuncia che poesia, non riuscendo a fonderli fino in fondo. La scena finale della nave carica di albanesi (vista e stravista in tv) rischia di essere inutile e ridondante. Placido è bravo ma scompare presto. Lo Verso non è abbastanza duttile, mentre la vera sorpresa è Piro Milkani, il vecchio. In concorso alla Mostra di Venezia.

Lamerica (1994) on IMDb

Il terrore sorge dalla tomba (DVD) - DVD - Film di Carlos Aured Giallo | IBSUn film di Carlos Aured. Con Paul Naschy, Emma Cohen, Victor Alcazar, Helga Liné Horror, durata 95 min.

Alarico de Marnac, nobile che vive nella Francia del XV secolo, appassionato di occultismo, è accusato di una serie di crimini orrendi, quali l’aver praticato messe nere, di mangiare carne umana e di bere sangue. Il nobile, accusato dei misfatti anche dal fratello, viene condannato ad essere decapitato cosa che avviene in una foresta, non prima che il nobile abbia maledetto i presenti e le generazioni future.

Classico horror-omnibus di stampo spagnolo ben interpretato da Paul Naschy, che pure è responsabile della sceneggiatura. Si comincia con un buon incipit medievale (chiuso con inevitabile supplizio dei condannati) per proseguire ai tempi nostri con inevitabile possessione e vendetta da parte dei discendenti i giustiziati. Ottima la regia del veterano Carlos Aured, già distintosi (all’epoca) per avere siglato l’interessante El Retorno de Walpurgis (1973), riuscendo a conferire un taglio dignitoso nonostante fosse il settimo capitolo dedicato alle gesta licantropiche di Waldemar Daninsky.

Horror Rises from the Tomb (1973) on IMDb
Gli scacchi del vento ( persiano : شطرنج باد , romanizzato :  Shatranj-e Baad ), intitolato anche La partita a scacchi del vento , è un film iraniano del 1976 scritto e diretto da Mohammad Reza Aslani . [1] Il film fu proiettato solo una volta prima della rivoluzione iraniana del 1979 e fu accompagnato da un’accoglienza negativa. Dopo essere stato riscoperto nel 2020, il film è uscito in diversi paesi ed è stato ben accolto.
Iran, anni Venti. Alla morte della matriarca, gli eredi di una casa nobiliare si contendono l’eredità. In particolare il conflitto è tra la primogenita disabile, costretta alla sedia a rotelle, e un altro membro della famiglia che verrà ucciso dalla prima. Il suo corpo verrà nascosto in una delle grandi giare di cui è piena la dimora. [sinossi]

Dopo quasi 45 anni di oblio, Chess of the Wind (Shatranj-e Baad) è stato ora presentato, restaurato, al 34° Cinema Ritrovato, uno dei film che la manifestazione della Cineteca di Bologna mette in catalogo con il bollino del Festival di Cannes perché in realtà avrebbe dovuto essere proiettato già tra i Cannes Classics e la cancellazione del festival per l’epidemia sembra accrescere questa idea di maledizione che graverebbe sul film. Si tratta di un indiscutibile capolavoro del cinema iraniano prerivoluzionario, realizzato nel 1976 dal regista Mohammad Reza Aslani.

La storia di questa opera è essa stessa una tragedia. Il film era stato incluso nella selezione del concorso del Festival Internazionale di Teheran del 1976, ma le proiezioni furono boicottate per contrasti del regista con gli organizzatori. Così le bobine erano state mischiate alla rinfusa e venne sbagliata la velocità della prima proiezione, resa più lenta. Tali problemi si ebbero a tutte le proiezioni, da quella per i critici, che abbandonarono in massa la sala, a quella per la giuria, per cui il film fu ritirato dal concorso. Presi dallo sconforto, i produttori non mandarono l’opera ai festival internazionali, mentre i distributori interni non lo presero. Così il film non fu mai proiettato per il pubblico, né in Iran né all’estero. Risultano solo alcune proiezioni private organizzate durante il successivo festival di Teheran, cui parteciparono Henri Langlois, Roberto Rossellini, Satyajit Ray che apprezzarono molto l’opera congratulandosi con il giovane regista.

Con l’avvento della Repubblica Islamica nel 1979, Chess of the Wind fu definitivamente vietato perché ritenuto non confacente ai dettami religiosi della teocrazia. Il film circolava solo in videocassette clandestine di pessima qualità. Solo per puro caso nel 2015 il regista ritrova una pellicola del film da un rigattiere specializzato in cimeli di cinema e così oggi Chess of the Wind rinasce a nuova vita, in uno splendido restauro che ne esalta gli estetismi barocchi.

Chess of the Wind è un thriller glaciale, di respiro shakesperiano che racconta, in chiave metaforica e non, i traumi di un paese che sembra vivere nei corsi e ricorsi della storia. Il nucleo narrativo dell’occultamento del cadavere, in una giara di vetro, nascosto anche agli agenti della polizia del regime Qajar, non genera quella suspense da Cocktail per un cadavere. Il pathos del film non risiede in queste cose, anche la scena stessa dell’omicidio è totalmente priva di enfasi. Pochissimi i movimenti di macchina, c’è una panoramica a 360° e poi un movimento sulla scalinata alla fine, forse un dolly. Chess of the Wind sembra impregnato, anche in questo senso, da un ascetismo persiano, quello di un paese in cui la massima espressione artistica è rappresentata dalla poesia. Lo stesso regista è stato un poeta modernista e cubista. E nella composizione dell’immagine, torna quel gusto persiano del tappeto e della decorazione che qui ha il suo fulcro in quella grande scalinata del palazzo piena di simmetrie, con tante vie di fuga e accesso, sormontata da un grande busto. Sembra una scalinata teatrale o da melò classico.

Il film funziona anche secondo una drammaturgia della storia, nell’ottica dei cambiamenti secolari attraversati dal paese, o come una partita di scacchi rappresentata da quella scacchiera che campeggia nel salone centrale del lussuoso palazzo. È in atto una partita di scacchi, reale e metaforica, tra la primogenita della dinastia e un membro della famiglia, una partita dal ritmo lentissimo, dove le mosse si decidono nel corso di diverse giornate. Dopo l’uccisione dell’uomo sarà un agente di polizia a muovere i pezzi sulla scacchiera, senza essere visto dalla signora che si chiederà chi fosse stato, posto che il rivale al gioco è morto. Il conflitto tra i due riprende quello in atto nella società persiana uscita dalla Rivoluzione costituzionale, quello tra la modernità e la parità dei diritti di genere, sempre comunque nell’ambito delle élite aristocratiche, e le forze ancorate alla tradizione religiosa, rappresentate dall’uomo che viene ucciso. Un conflitto che sembra perenne nella storia del paese. Il popolo è rappresentato dagli inserti delle lavandaie che commentano i fatti di palazzo, come un coro greco o come le serve di un film di Cukor.

Chess of the Wind è suddiviso in due parti, la prima ambientata tra il 1915 e il 1920, la seconda nel 1924. Una suddivisione non dichiarata ma comprensibile da un riferimento, quello al servizio militare fatto durante i momenti delle lavandaie, che in Iran è attivo dal 1924. Sono tante le citazioni alle vicende di quell’epoca calda e ai suoi protagonisti, come quella al giornalista e poeta Mohtaram Eskandari, grande sostenitore della causa femminista, che venne ucciso, che viene evocato in una sequenza onirica. Due personaggi parlano dell’importanza di avere un inquilino inglese, richiamando così alla potenza britannica che all’epoca dominava su quello scacchiere. Non c’è dubbio che Mohammad Reza Aslani voleva parlare, in forma translata, anche della società iraniana dei suoi tempi, con quelle tensioni sociali che avrebbero portato alla rivoluzione del 1979. E il segnale in questo senso è rappresentato dall’ultima inquadratura del film, la prima fuori dal palazzo, una panoramica che da quella dimora si allarga a riprendere la città dall’alto, dove predominano le architetture moderne e si odono i salmi dei muezzin. Da un lato un retaggio di quella mistica persiana antica del filosofo Sohravardi, che scardina l’idea del tempo come lineare, da un altro lato un messaggio politico ben preciso.

E il film si rivela involontariamente profetico, con la scena alla fine della distruzione del grande ritratto, che campeggiava nella dimora, del capostipite della famiglia. Un’immagine di iconoclastia che anticipa quelle divenute simbolo della rivoluzione di tre anni dopo, dei ritratti distrutti e bruciati dello scià Reza Pahlavi.

Chess of the Wind (1976) on IMDb

Ho tradotto i subeng con google e li ho aggiunti, potrebbero esserci delle imprecisioni nella traduzione.

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Un film di Jacques Audiard. Con Tahar Rahim, Niels Arestrup, Adel Bencherif, Reda Kateb, Hichem Yacoubi. Titolo originale Un Prophète. Drammatico, durata 150 min. – Francia, Italia 2009. – Bim uscita venerdì 19 marzo 2010. MYMONETRO Il Profeta * * * 1/2 - valutazione media: 3,91 su 158 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Malik El Djebena ha 19 anni quando viene condannato a sei anni di prigione. Entra con poco o nulla, una banconota ripiegata su se stessa e dei vestiti troppo usurati, che a detta delle guardie non vale la pena di conservare. Quando esce ha un impero e tre macchine pronte a scortare i suoi primi passi. In mezzo c’è il carcere, la protezione offertagli da un mafioso corso, l’omicidio come rito d’iniziazione, l’ampliarsi delle conoscenze e dei traffici, le incursioni in permesso fuori dal carcere, dove gli affari prendono velocità.
Ciò avviene all’interno di una prigione, il cinema lo ha già raccontato altrove meglio che qui, per non parlare di come nasce un padrino. Quello che fa Audiard, nel suo film, è prendere il genere per mostrarsi infedele, instaurare con esso un doppio gioco, come fa Malik con il boss corso, stare apparentemente nelle regole ma prendersi la libertà di raccontare anche molto altro.
Malik è uno che apprende in fretta. Impara ad uccidere ma, dallo stesso crimine, impara anche che nel carcere c’è una scuola dove possono insegnargli a leggere e a scrivere. Dalla scuola apprende un metodo, grazie al quale impara da autodidatta il dialetto franco-italiano della Corsica: di fatto si procura un’arma, che obbliga il capo a tener conto di lui. Dagli arabi impara a capire cosa vogliono, dai Marsigliesi impara a trattare, da un amico, forse, imparerà a voler bene.
I compagni di galera prendono a definirlo un profeta, perché lui è quello che parla, con gli uni e con gli altri, quello che porta i messaggi dentro e fuori, che conosce la gente che può far comodo negli affari. Egli fa grandi cose, insomma; la sua via è tracciata come quella di chi ha una missione.
Ancora una storia che ruota nell’universo tanto umano quanto traditore della comunicazione, dunque, dopo quella in cui Vincent Cassel leggeva dalle labbra e quella in cui Romain Duris si affidava alle note. Qui le lingue sono almeno tre, ma è quella silenziosa del sangue che sigla gli accordi, e il potere, in questo codice, è inversamente proporzionale al numero di parole che richiede.
La critica di Audiard alla mala educazione del sistema carcerario è evidente, talvolta aspra, talvolta sarcastica (le uscite per “buona condotta”), ma non è tramite la parola che si esprime: la sua lingua è quella della regia, di cui è interprete sicuro e abile. Quello che propone allo spettatore, qui come in tutte le sue opere, è l’immersione completa nel mondo che racconta, la sospensione del pre-giudizio, lo spettacolo della complessità di un personaggio maschile. La pretesa questa volta, però, va oltre l’offerta: nonostante l’ottimo Tahar Rahim, protagonista, Un prophète si dilata oltremodo, prova qualche artificio ma non fino in fondo, sfiora emozioni interessanti che abbandona troppo in fretta, si lascia imprigionare dalla materia che vorrebbe liberare. Un film più maturo dei precedenti, ma meno comunicativo.

A Prophet (2009) on IMDb

Locandina italiana StreamersUn film di Robert Altman. Con Matthew Modine, George Dzundza, Mitchell Lichtenstein, Guy Boyd, Michael WrightDrammatico, durata 118 min. – USA 1983. – VM 14 –MYMONETRO Streamers * * * - - valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Esperienze di 6 giovani americani – due sergenti (Boyd, Dzunda) e quattro reclute – in una caserma della Virginia nel 1965, quando il presidente Johnson intensificò l’intervento degli USA nel Vietnam. Da un copione teatrale di David Rabe, messo in scena a Broadway da Mike Nichols nel 1965, un film tutto al maschile (com’era tutto al femminile Jimmy Dean, Jimmy Dean ) che, al di fuori del contesto militare (la miseria senza grandezza della vita soldatesca, la sporca guerra, la paura dell’omosessualità), può essere letto come una parabola claustrofobica sul “cuore di tenebra” dell’uomo e una riflessione sulla psicosi e le sindromi nazionali. Sebbene la messa in scena (in immagini) sia calibratissima, il testo di Rabe è un frutto ritardato del teatro naturalistico americano degli anni ’50. Streamers = paracadutisti in caduta libera. Premio collettivo alla Mostra veneziana 1983 per la migliore recitazione. Dialoghi pieni di parolacce doppiati in modo fin troppo accademico, ma ottima la traduzione di Gerardo Guerrieri.

 Streamers
(1983) on IMDb

Locandina italiana Blue JasmineUn film di Woody Allen. Con Alec Baldwin, Cate Blanchett, Louis C.K., Bobby Cannavale, Andrew Dice Clay. Commedia drammatica, Ratings: Kids+13, durata 98 min. – USA 2013. – Warner Bros Italia uscita giovedì 5 dicembre 2013. MYMONETRO Blue Jasmine * * * 1/2 - valutazione media: 3,91 su 109 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

C’era una volta Jasmine, reginetta mondana di Park Avenue, sposata al carismatico Hal, uomo d’affari che la viziava e lusingava. Ma Hal era anche un truffatore e un fedifrago e la fine del loro matrimonio ha portato Jasmine alla bancarotta e all’esaurimento nervoso. Sola e in balìa degli antidepressivi, la donna si trasferisce a San Francisco per vivere con la sorella Ginger, che spinge ad essere più ambiziosa in amore, scatenando la reazione del fidanzato di lei, Chili.
Rassicurati dall’esordio all’insegna dell’abituale jazz sull’abituale font dei titoli di testa, rigorosamente nell’abituale bianco su nero, ci prepariamo all’abituale “ronde” di incontri ed incroci e dissertazioni più o meno umoristiche sulla tragicommedia della vita, ma pian piano veniamo zittiti e sorpresi da un personaggio femminile gigantesco, che è insieme tutte le attrici di Woody Allen (Mia Farrow e Dianne Wiest in particolare, ma anche la Gena Rowlands di Un’altra donna) e una protagonista senza precedenti, per maturità di scrittura e resa interpretativa.
Jasmine arriva da New York a San Francisco in prima classe, senza smettere un secondo di raccontare i dettagli della sua storia alla vicina di posto, che si rivela essere una perfetta sconosciuta.

Blue Jasmine (2013) on IMDb

Regia di Woody Allen. Un film Da vedere 1975 con Woody AllenDiane KeatonHarold GouldOlga Georges-PicotFéodor AtkineYves BarsacqCast completo Titolo originale: Love and Death. Genere Commedia – USA1975durata 82 minuti. – MYmonetro 3,97 su 2 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Con questo film Allen comincia ad allontanarsi dal genere comico: si ride ancora, ma dappertutto affiorano riflessioni tutt’altro che allegre. Ai tempi dell’invasione napoleonica, Boris Grusenko, eroe involontario, sposa Sonia e per amor suo accetta di uccidere Napoleone, ma viene scoperto e fucilato.

Love and Death (1975) on IMDb

Locandina italiana Dirty DancingUn film di Emile Ardolino. Con Patrick Swayze, Jennifer Grey, Cynthia Rhodes, Jerry Orbach, Jack Weston. Titolo originale . Musicale, durata 97′ min. – USA 1987. MYMONETRO Dirty Dancing * * * 1/2 - valutazione media: 3,98 su 85 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Nel 1983 l’adolescente Baby è in vacanza con i genitori benpensanti wasp e una sorella scioccherella e bellina. Durante un party conosce una coppia di ballerini scatenati in effervescenti danze latinoamericane e ne è estasiata. S’innamora di lui, Johnny, e diventa amica di lei. Quando, costretta ad abortire senza l’aiuto del mascalzone che l’ha messa incinta e lasciata, la ballerina è messa fuori gioco, Baby la sostituisce con successo sul palcoscenico. Impara molto da entrambi, scopre amore e sesso, matura e dà una lezione ai suoi familiari. Con l’aiuto del coreografo Kenny Ortega, l’italoamericano Ardolino filma bene le sequenze dei balli, permeate di un gradevole erotismo soft e allegro. Il risultato è un film che mescola risate e lacrime, un’improbabile lieta fine e una sana mancanza di rispetto verso alcuni canoni della decenza made in USA.

Dirty Dancing (1987) on IMDb

Regia di Paul Thomas Anderson. Un film Da vedere 2014 con Joaquin PhoenixKatherine WaterstonEric RobertsJosh BrolinBenicio Del ToroCast completo Titolo originale: Inherent Vice. Genere CommediaDrammatico, – USA2014durata 148 minuti. Uscita cinema giovedì 26 febbraio 2015 distribuito da Warner Bros Italia. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: V.M. 14 – MYmonetro 3,55 su 5 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Doc Sportello, hippie suonato che ciondola sulla spiaggia di Gordita Beach e investigatore privato a tempo perso, è avvicinato dalla sua ex Shasta Fey, che gli affida un caso complicato. Insospettita dagli intrighi attorno al suo nuovo amante, il palazzinaro Wolfmann, vuole prevenire un suo ricovero coatto. Doc non fa in tempo a cominciare le indagini che finisce per essere accusato di omicidio dall’amico-nemico Bigfoot, ispettore della Omicidi.
Sul titolo, a volte, è bene soffermarsi (oltre che sulla locandina, quando inarrivabile come quella di Vizio di forma). Al di là della libera traduzione e semplificazione italiana, che poco o nulla significa – e che, curiosamente, sia nel libro di Thomas Pynchon che nel film tratto da esso, non trova spazio all’interno dell’opera – è il letterale “vizio intrinseco” la chiave del mistero. Che, come tale, include tanto il MacGuffin del termine tecnico del ramo assicurativo che la reale sostanza dell’opera di Pynchon e Anderson, dove “vizio intrinseco” sta per incapacità per un sistema di reggere l’instabilità centrifuga delle sue componenti interne.
Due piani di lettura per una molteplicità psichedelica di interpretazioni degli stessi: l’Uno e il Tutto, in ordine sparso, come vuole il cinema di Paul Thomas Anderson da Ubriaco d’amore in poi. Il noir e la sua lunga discendenza di riferimenti riflessivi (Chandler via Altman, Kem Nunn via Pynchon, con aggiunta di Hunter Thompson e Dude Lebowski) diviene così avvincente esca per catturare l’interesse e aiutare a immedesimarsi tanto in Doc Sportello che nella sua nemesi Bigfoot Bjornsen, nascondendo così, attraverso un sottile e caliginoso fumo di cannabis, la parabola della seconda caduta dall’Eden, quando l’ebbrezza utopistica dei ’60 si è schiantata di fronte alla cruda realtà della natura umana ad Altamont e Bel Air.
Gli Hell’s Angels omicidi e la setta satanista di Manson diventano in Vizio di forma un’unica entità e si contrappongono, con logica speculare, all’amore, che muove (più che il cielo e l’altre stelle) le onde dell’oceano e il girovagare erratico, ma lucido e con uno scopo preciso, del protagonista. Un insieme di caratteri paradigmatici fa di Doc Sportello creatura andersoniana più che pynchoniana, pecorella smarrita che si oppone con radicale indolenza al traumatico passaggio di consegne tra un’epoca e un’altra, tra l’erba e la polvere d’angelo, tra Neil Young (il brano scelto per la più romantica delle sequenze si intitola “Journey through the Past”) e il decennio dell’edonismo reaganiano che verrà, tra la pellicola che esibisce orgogliosamente la sua grana e il digitale che ci seppellirà. Mai come in Vizio di forma lo sconclusionato nonsense di una trama inafferrabile e involuta è mistificatore, come la retorica di un guru, rispetto alla geometrica precisione di un’opera che intensifica la separazione di Doc dal suo, o dai suoi, doppi.
Dalla musa-spirito guida Sortilège, voice-over che si fa carne, all’illusorio oggetto d’amore Shasta, fino al Bigfoot di un eccellente Josh Brolin. La bromance tra questi e Doc, giocata costantemente sul filo della comicità, oltre a rivelare una matrice ben più tangibile del Lebowski coeniano nell’oscuro Cisco Pike (Per 100 chili di droga) di una ruggente New Hollywood, è la dinamica pseudo-amorosa di due opposti che si attraggono, due metà che si cercano e si sostituiscono: il primo detective sempre meno improbabile e il secondo cullato e confuso dai suoi sogni di attore. Scherzi del subconscio, forse, come una clinica criminale odontoiatrica o una nave all’orizzonte che non attracca mai, che disegnano la più difficile delle trasposizioni, libera dove appare didascalica, metaforica dove appare comica, prima di chiuderla sotto il sole elusivo di una California in chiaroscuro.

Inherent Vice (2014) on IMDb

Locandina Mare dentroUn film di Alejandro Amenábar. Con Javier Bardem, Belen Rueda, Lola Dueñas, Mabel Rivera, Celso Bugallo. Titolo originale Mar adentro. Drammatico, Ratings: Kids+13, durata 125 min. – Spagna 2004. uscita mercoledì 8 settembre 2004. MYMONETRO Mare dentro * * * * - valutazione media: 4,04 su 62 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Chi scrive, nel tentativo forse inutile di evitare grossolane stilizzazioni, vorrebbe astenersi dall’emettere un qualsiasi giudizio etico sul film di Amenabar in concorso a Venezia 2004.
Premessa fondamentale perché Mar adentro passa su un tema troppo delicato e fragile per essere qui discusso: l’eutanasia, ciò cui Ramón, il protagonista del film, ambisce da 28 lunghi anni, da quel giorno maledetto in cui un tuffo mal calcolato lo ha reso tetraplegico, costretto per sempre dentro quattro mura, su una letto, tagliato fuori della sua stessa vita.
Il ritorno in Spagna di Amenabar è un’opera meravigliosa dall’inizio alla fine, che si pregia di una grande prova d’attore di Javier Bardem, tra i migliori in circolazione oggi. In Mar adentro l’uomo/la storia si racconta da sé, attraverso i profumi, i colori e i suoni della vita che materializza con efficacia sublime. Amenabar scansa verbosità e moralismi sempre abusati dai film che trattano di handicap, e ci regala un gioiello che sa parlare al cuore e alla testa, capace di infondere nuova speranza che il cinema possa tornare a narrare l’uomo con toni epici. È proprio questa la banale, sconcertante, sconvolgente novità di Mar adentro: che il suo protagonista non è un tetraplegico, un “più debole”, un freak. No, Ramón Samperdo è un uomo. E scusate se è poco.
Mare dentro non deludele aspettative che un titolo così evocativo genera: un film magnifico, che parla di uomini, del loro rapporto con il mondo e la natura, di Dio e della morte, e ne fa uno spettacolo grandioso. Proprio quello che è la vita. Proprio quello che è il cinema.

The Sea Inside (2004) on IMDb
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Un film di Artur Aristakisjan. Titolo originale LadoniSperimentaledurata 129 min. – Russia 1993.

Dieci “capitoli” sull’esistenza miserabile di mendicanti e senza casa nella Russia di oggi. Un vero e proprio popolo composto di senzatetto, barboni, poveri, malati di mente, emarginati si riversa nelle strade delle città dopo il crolo del regime comunista. L’ipocrisia propagandistica del vecchio regime aveva infatti provveduto a rinchiudere queste persone nei gulag o negli ospedali psichiatrici. Ora che i campi di rieducazione non ci sono più e i manicomi ricoverano solo dei veri malati. Il bubbone esplode in tutta la sua virulenza.

Ladoni (1994) on IMDb
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Les Rendez-vous d’Anna è un film franco-belga-occidentale della Germania del 1978 del regista belga Chantal Akerman.

Dalla Francia alla Germania, passando per il Belgio, il lungo viaggio in treno di una regista belga, Anne Silver, che si sposta da una nazione all’altra per presentare un suo film. Durante i suoi vari spostamenti, la donna incontra alcune persone, tra cui sua madre, che non vede da molto tempo.

The Meetings of Anna (1978) on IMDb
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Locandina Così ridevano

Un film di Gianni Amelio. Con Enrico Lo VersoFrancesco GiuffridaFabrizio GifuniPaolo Sena DrammaticoRatings: Kids+16, durata 0 min. – Italia 1998MYMONETRO Così ridevano ***1/2- valutazione media: 3,50 su 14 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Leone d’oro a Venezia. Implacabile, appassionata, struggente, un’opera potente, lontana da facili citazioni neorealiste, da giudizi storici e da qualsiasi forma di didascalismo e ridondanza retorica. Un’epica collettiva in cui vicende private e contesto nazionale si alimentano reciprocamente alla ricerca delle origini della nostra confusa modernità.
A essere messo in scena è il dramma dell’emigrazione, del desiderio di riscatto, della difficile integrazione sociale e della convivenza tra povertà e benessere nell’Italia in ascesa nel boom annunciato. Amelio ci costringe a ripensare allo stereotipo meridionale e a situazioni e luoghi che crediamo di avere in qualche modo interiorizzato. Primo tra tutti l’espropriazione culturale e politica di intere generazioni di emigranti che hanno contribuito allo sviluppo del nord. 1958 – 1964, sei anni determinanti per il nostro paese, raccontati attraverso il rapporto complesso, tormentato e viscerale di due fratelli siciliani, per mezzo di una narrazione ellittica, al di là di qualsiasi convenzione stilistica, svuotata di fatti e di cronologia.

Così ridevano (1998) on IMDb

Regia di Pupi Avati. Un film Da vedere 1989 con Massimo BonettiAlessandro HaberLucrezia Lante Della RovereMattia SbragiaAnna BonaiutoCast completo Genere Commedia – Italia1989durata 99 minuti. – MYmonetro 3,00 su 4 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Per festeggiare il fidanzamento tra Angelo, giovane borghese di Bologna, e Silvia, appartenente a una famiglia di contadini agiati di Porretta Terme, nel febbraio 1936 in un casolare dell’Appennino si svolge un pranzo di venti portate. Film ambizioso e maturo questo (16°) di Avati, affidato coralmente a una compagnia di 25 e più attori che recitano, benissimo, quasi sempre in presa diretta. Qualche inverosimiglianza. 2 Nastri d’argento (film, sceneggiatura), 1 Donatello e 1 Ciak.

 Storia di ragazzi e di ragazze
(1989) on IMDb

Acquista Gandhi - Microsoft Store it-ITUn film di Richard Attenborough. Con Ben Kingsley, Candice Bergen, Edward Fox, Ian Bannen, Martin Sheen. Biografico, Ratings: Kids+13, durata 188′ min. – Gran Bretagna 1982. MYMONETRO Gandhi * * * 1/2 - valutazione media: 3,83 su 16 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Vita, attività politica e morte di Mohandas Karamchand Gandhi (1869-1948): studi a Londra, apprendistato in Sudafrica, attività politica, digiuni di protesta, morte violenta per mano di un bramino e solenni funerali. Nell’impersonare il grande apostolo dell’indipendenza dell’India e della non violenza, Kingsley è straordinario. Appartenente alla categoria dei colossi con un’idea, il film è coinvolgente, convincente, un po’ didattico. 8 premi Oscar: film, regia, Kingsley, sceneggiatura (John Briley), fotografia, costumi, scenografie, montaggio.

 Gandhi
(1982) on IMDb

Regia di Pedro Almodóvar. Un film con Antonio de la TorreHugo SilvaMiguel Ángel SilvestreLaya MartíJavier CámaraCast completo Titolo originale: Los amantes pasajeros. Genere Commedia, – Spagna2013durata 90 minuti. Uscita cinema giovedì 21 marzo 2013 distribuito da Warner Bros Italia. – MYmonetro 2,73 su 11 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Il volo 2549 della compagnia Península, diretto a Città del Messico, registra un danno tecnico al carrello. Azzoppato come il suo bizzarro equipaggio, l’aereo gira in tondo sul cielo di Toledo in attesa che un aeroporto venga attrezzato per gestire atterraggio e emergenza. ‘Narcotizzati’ i passeggeri e le hostess della classe turistica, a vegliare i pochi clienti della business ci sono due assistenti di volo e il responsabile di cabina, col vizio della tequila e del sesso ad alta quota. Invaghito del capitano, bisessuale, non disdegna una fellatio al co-pilota, ancora indeciso sulla sua natura e in attesa di istruzioni dalla torre di controllo. Composti ai loro posti conversano intanto di vita e di morte una coppia di sposi novelli e drogati, un finanziere ricercato, un killer professionista, un playboy irriducibile, una consumata protagonista della cronaca rosa e una rabdomante di trapassi vergine. Intrattenuti con siparietti e agua de Valencia corretta alla mescalina, sognano il Messico e dimenticano la paura, ‘precipitando’ nel sesso e nel piacere.
Dopo aver ‘cambiato pelle’ e abitato i tessuti delle emozioni, Pedro Almodóvar lascia il principio di realtà per quello del piacere. Decollato e invertita la rotta, vola verso il passato e una ritrovata esuberanza sessuale. A governare un aereo in avaria e in volo a ellissi su Toledo è la legge del desiderio e il registro dell’eccesso, congenitamente connaturato all'”almodramma”. Emancipata e ardente, Gli amanti passeggeri è una commedia alla mescalina e come l’alcaloide del peyote ha un’azione eccitante sullo spettatore e sui passeggeri, che affollano una fusoliera satura di colori, pop e omosessualità. Radicale e in barba alle mezze misure, Almodóvar gira un film che pratica l’amoralità propria dello humor camp, guardando alla Spagna e alla crisi che l’ha piegata.
In panne, come il suo aereo, la Península gira a vuoto dentro un cielito lindo, indecisa se precipitare o atterrare. Nell’attesa, mentre la classe operaia è sedata per evitare il panico e le ‘discese’ in piazza, la ‘prima classe’ si intrattiene come può dopo aver fallito a terra vita, matrimoni e banche. Se il Paese vive in equilibrio inerziale sotto un regime di dittatura finanziaria, nell’alta quota della finzione Almodóvar cerca e trova la sua catarsi, risvegliando i suoi personaggi agli anni della movida madrilena.
La sregolatezza e la piena libertà che caratterizzarono lo spirito della capitale spagnola nell’era postfranchista risalgono come un rigurgito o uno schizzo organico a sfogare il dolore, la perdita e la sconfitta. La dismisura impatta il compromesso e drammatizza una realtà che in Spagna come in Italia ha preferito governare e controllare le pulsioni melodrammatiche dell’immaginario collettivo, declinandole in forme espressive addomesticate. In un tourbillon di lacrime, desideri, turgori, umori, eccessi, cadute, impennate, punti esclamativi ritmici e coreografici, Almodóvar cortocircuita personaggi, destini e dialoghi fino all’appagamento nell’amplesso. Perché il suo cinema non conosce scacco e trova sempre soddisfazione, rimandando la morte o raggiungendo il massimo piacere nel suo approssimarsi.
Lasciata la casa e la città, collocazioni ideali della sua filmografia, l’autore spagnolo pratica l’autoerotismo a cinquemila metri di altezza, invitando i suoi attori a una sessualità gioiosa. Lo sanno bene Javier Cámara, Carlos Areces e Raúl Arévalo, steward ineguagliabili e gaissimi dentro un crescendo musicale. Sulla pista restano invece gli attori di ieri, amabili zavorre e indissolubili legami. Assegnati ai blocchi e al trasporto bagagli, Penélope Cruz e Antonio Banderas sono comparse ‘gravide’ di (altre) storie.

I'm So Excited! (2013) on IMDb
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LABIRINTO DI PASSIONI (Vendita) - SentieriSelvaggi

Regia di Pedro Almodóvar. Un film con Helga LinéImanol AriasCecilia RothAntonio Banderas. Titolo originale: Laberinto de Pasiones. Genere Commedia – Spagna1982durata 100 minuti. – MYmonetro 2,98 su 1 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Una serie di intricate vicende di un gruppo di persone tutte ossessionate dal sesso: da Reza Niro, un diverso, a Sexilia, ninfomane. Recuperato nel 1990 sulla scia del successo di Almodóvar (che qui appare nelle vesti del regista di fotoromanzi), è un filmaccio sgangherato, senza centro, piuttosto mal recitato. Il peggior torto che gli si può fare è quello di prenderlo sul serio.

 Labirinto di passioni
(1982) on IMDb