Un film di Ilmar Raag. Con Jeanne Moreau, Laine Mägi, Patrick Pineau, Corentin Lobet, Ita Ever. Titolo originale Une Estonienne à Paris. Drammatico, durata 94 min. – Francia, Belgio, Estonia 2012. – Officine Ubu uscita giovedì 16 maggio 2013. MYMONETRO A Lady in Paris valutazione media: 3,06 su 17 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Anne Rand ha divorziato da un marito ubriacone e vive in Estonia con una madre malata. La morte improvvisa del genitore la convince ad accettare un’offerta di lavoro a Parigi, dove dovrà prendersi cura di un’anziana signora. Convinta a partire dall’entusiasmo della figlia, Anne precipita in un mondo profondamente diverso dal suo, di cui prende le misure passeggiando ogni notte sola e scompagnata. L’incontro con Frida, fiera parigina ostinata a dimenticare le sue origini estoniane, non è dei migliori ma a convincerla a restare è Stéphane, gestore di una brasserie e amante della donna molti anni prima. La convivenza e la reciproca curiosità invitano presto al dialogo e alla comprensione. Tra un tè caldo e un croissant di pasticceria, Anne e Frida troveranno un sentimento amicale, che le spingerà a fare il punto della loro vita e a riprendere la vita.
Ispirato dalla biografia materna e dalla passione per la capitale francese, Ilmar Raag alimenta la mythologie parigina, fiamma forte e viva nel buio della sala. Dichiarazione d’amore a Parigi e al cinema francese, da cui riprende l’idea della triangolazione come struttura relazionale che lega i percorsi affettivi e sentimentali dei protagonisti, A Lady in Paris è una storia di incontri, di sguardi, di impasse. Con pudore e discrezione Raag esplora il volto dei suoi personaggi rivelandone l’anima e definendone l’identità in funzione del loro rapporto col passato, coi sogni realizzati e quelli infranti. Guidato da un’irriducibile Jeanne Moreau, il regista estone passeggia per i boulevard chiarendoci il fascino esercitato da Parigi sugli stranieri e sui narratori come lui, che alla maniera di Anne impara a comprare un croissant in boulangerie e a snobbare il museo del Louvre, meta del turista e non di un vrai parisien. Posseduta dal mito di Parigi è pure la protagonista, emigrata e dolente con una vita faticosa e sfortunata alle spalle, che rispolvera la voce ‘analogica’ di Joe Dassin e si perde nelle sue note, ritrovandosi consapevole di sé e del suo desiderio dentro l’alba e davanti alla Torre Eiffel. A Parigi la Anne di Laine Mägi recupera attenzione e senso, innamorandosi finalmente di un uomo gentile e risvegliando da uno struggimento nostalgico l’anziana signora che pazientemente accudisce. Egoista e ossessionata da un ex amante per cui è ormai troppo agée, Frida vive sprofondata negli interni del suo appartamento borghese dove mette in scena solo se stessa e l’imitazione di una relazione, immemore del mondo che continua a esistere fuori dalla porta. Testimone di un amore sorgente tra Anne e il suo Stéphane, un empatico Patrick Pineau, deciderà per la vita, emergendo da ciò che era latente e calandosi nel presente e una stagione che con gli orrori può ancora promettere splendori. La bionda e delicata Anne è la trovata drammaturgica che rompe allora le illusioni senili e riporta aria fresca dentro uno spazio chiuso e una reclusione affettiva, inducendo Frida e Stéphane a scendere di nuovo in strada e a (re)incontrare la città dei loro sogni. Perché come sosteneva Humphrey Bogart: “avremo sempre Parigi”, una città che appare un perfetto altrove, promessa e già ricompensa.
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