Un film di Eric Rohmer. Con Stéphanie de Crayencour, Andy Gillet, Cécile Cassel, Véronique Reymond, Rosette. continua» Titolo originale Les amours d’Astrée et de Céladon. Drammatico, durata 109 min. – Francia 2007. – Bim Distribuzione uscita sabato 1 settembre 2007. MYMONETRO Gli amori di Astrea e Céladon valutazione media: 3,45 su 34 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Gallia al tempo dei druidi (V secolo d.c.). Il pastore Céladon è innamorato della pastorella Astrée la quale, per un equivoco, crede di essere stata tradita e intima all’amato di non farsi più vedere. Céladon, disperato, si getta in un fiume ma non muore. Viene salvato dalle ninfe alle quali giurerà di non ripresentarsi mai più ad Astrée. Il desiderio però è troppo forte e il giovane farà di tutto per rivedere la fanciulla senza infrangere la promessa.
Eric Rohmer torna a rileggere cinematograficamente un testo del passato, dopo le ormai lontane esperienze di Perceval le Gallois e de La marchesa von…. Lo fa con un testo di un romanzo del XVII secolo di Honoré d’Urfé nel quale trova materia per continuare, in altri termini, la sua ciclicamente ritornante riflessione formale sul ‘sentire’ della giovinezza. Interviene sul testo con una scelta di regia in cui la finzione è molteplice e dichiarata. La didascalia iniziale ci informa che non si è potuto girare nei luoghi in cui il romanzo era ambientato perché ormai deturpati dalla modernità (e subito torna alla memoria il polemico film L’albero, il sindaco e la mediateca). Inoltre ci ricorda che i costumi di scena non si rifanno al V secolo dopo Cristo in cui la vicenda si sviluppa ma al modo in cui nel XVII secolo si immaginava che i romani si vestissero. Tutto quindi ri-costruito. A quale scopo? Sembrerebbe che l’ormai anziano e sempre schivo Rohmer non si senta più in grado di raccontare i giovani d’oggi come se il gap generazionale fosse per lui ormai incolmabile. Ecco allora che si ‘rifugia’ nella rilettura ormai ‘antica’ dei miti e di un’epoca che sembra distante anni luce dal mondo odierno e chesicuramente lo è.
Però in definitiva il gioco del desiderio, del rapporto tra i sessi, dell’accecamento prodotto dall’eccesso di desiderio di possesso finiscono col ripresentarsi, anche se sotto forme diverse. Lontano dal cinema spettacolare così come da quello dell’impegno sociale Rohmer continua in perfetta solitudine la sua indagine. Con il sorridente rigore che gli è proprio.
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