Locandina italiana Pagine chiuse

Un film di Gianni Da Campo. Con Duilio Laurenti, Silvano De Munari, Maria Gazziola, Luigi Nadali, Giorgio Da Ros Drammatico, b/n durata 88 min. – Italia 1969. MYMONETRO Pagine chiuse * * * - -valutazione media: 3,00 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Nord Italia, fine anni Sessanta. In piena crisi familiare, con i genitori sull’orlo della separazione, il piccolo Luciano è costretto a trasferirsi in un collegio religioso. Il severo padre, da tempo distratto da un’amante, teme che l’influenza della madre possa nuocere al figlio in un periodo così delicato. Ma Luciano mal si adatta alla vita in collegio. Mentre i rigidissimi preti soffocano ogni suo slancio, il ragazzino, che ha nostalgia di casa, si chiude sempre più in se stesso e non riesce a fare amicizia con i compagni.
Le pulsioni antiautoritarie di fine anni Sessanta soffiano, con i loro venti di ribellione, sul film diretto da un giovane Gianni Da Campo, assistito da Valerio Zurlini. Ma sono venti mitigati dal tocco lieve e sensibile di una regia intimista, interessata più al racconto di un piccolo dramma individuale che alla fotografia del contemporaneo disagio sociale. Certo, la critica a un mondo ostile, autoritario, repressivo e ipocritamente religioso è evidente e traspare con grande impatto dalla sequenza sulla comunione. Eppure, il regista si concentra soprattutto sulla sofferenza, tutta interiore, del ragazzino protagonista, alle prese con una difficile situazione familiare. Anziché spiegargli i problemi nel rapporto con la madre, il padre lo taglia fuori, allontanandolo brutalmente da casa e dai suoi affetti più cari. Un cambiamento così radicale sconvolgerebbe chiunque e l’ostilità dei religiosi, tesi a impartire una rigida disciplina, secondo metodi educativi tanto in voga all’epoca, non fa che peggiorare il disagio di Luciano, un pesce fuor d’acqua in collegio, anche rispetto ai compagni.
Da Campo rappresenta questo isolamento con immagini emblematiche, come quella del pulcino nero che il ragazzino mette nella gabbia con i bianchi, per vedere «se mangia con gli altri». Anche il senso di oppressione provato da Luciano è messo in scena plasticamente, con quello sguardo sognante che vola oltre la finestra del severo corridoio del collegio, in quell’intenso bisogno di libertà simboleggiato da un piccione che si libra in cielo. Queste immagini così dolenti e sensibili, sincere e pudiche, sono il punto di forza di un film – restaurato in digitale a partire dai negativi originali in 16 mm – che si richiama a illustri predecessori, quali I quattrocento colpi di François Truffaut e Zero in condotta di Jean Vigo, pur non possedendo il toccante lirismo del primo né l’impatto iconoclasta del secondo.

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