Un film di Edgar Reitz. Con Henry Arnold, Salome Kammer, Franziska Traub, Daniel Smith, Peter Weiss. Titolo originale Die zweite Heimat – Chronik einer Jugend. Drammatico, Ratings: Kids+16, durata 25 h 32′ min. – Germania 1992. MYMONETRO Heimat 2 – Cronaca di una giovinezza valutazione media: 4,17 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Saga composta di 13 film che attraversano l’intero arco degli anni ’60 e che, tolte poche escursioni, hanno come teatro dell’azione Monaco di Baviera. Come nella Recherche di Proust, il tempo di questa cronaca è sottoposto a continui cambi di velocità: accelerazioni, dilatazioni, ellissi, salti. S’impiegano 5 film, quasi 10 ore, per passare dal 1960 al 1962; l’azione del film n° 6 è chiusa nel giro del 21 novembre 1963, il giorno in cui a Dallas fu assassinato Kennedy; negli ultimi 3 si va dal 1968 al 1970 quando il giovane compositore Hermann Simon, punto focale di questa saga corale, torna al punto di partenza, il paese di Schabbach nell’Unsrück dal quale s’era staccato più di 10 anni prima. Die zweite Heimat _ la seconda patria, meglio: “matria” _ è la città, Monaco, patria di elezione per i personaggi, quasi tutti giovani, tutti figli, teatro della loro febbre di vivere, luogo di amicizie, studi, lavoro: musica soprattutto, ma anche letteratura, filosofia, cinema. Non è il seguito di Heimat, ma la sua filiazione:storia di una generazione e Bildungsroman, romanzo di formazione sotto il segno della morte. La contraddizione tra provincia e grande città è quasi ossessiva. Nei dialoghi s’insiste sull’equivalenza tra seconda patria e seconda nascita, sul ripudio della famiglia d’origine, sulla nozione di essere soltanto figli di sé stessi, quasi un’orgogliosa rivendicazione dei valori della cultura contro quelli della natura. Se la prima Heimat _ la provincia, l’Unsrück, tra il Reno e il Lussemburgo _ include il bisogno di stabilità e di radici, la seconda _ la città _ esprime la tensione verso la libertà che, però, è lacerante e ha qualcosa di provvisorio e d’incerto. Come lo stesso Reitz suggerisce, la riconciliazione tra bisogno di stabilità e desiderio utopico è un sogno utopico, e questo sogno è l’architrave tematico di Heimat 2. Dire che ciascuno dei 13 film ha una propria autonomia espressiva, e si può vedere e trarne emozioni e piaceri a prescindere dagli altri, è una mezza verità. Non è l’intrigo a far da traino, ma i personaggi e i loro conflitti: è la storia di personaggi che cambiano e crescono in un decennio. Pur avendo come destino il piccolo schermo, gli Heimat di Reitz sono 2 grandi eventi di cinema. Come il Kieslowski di Dekalog, il tedesco Reitz sa coniugare l’intensità con la semplicità, una puntigliosa progettazione e una grande libertà di esecuzione. Reinventa la funzione del primo piano (il volto come specchio dell’anima) e del materiale plastico, carica la sua scrittura di una forza inventiva. La sua vicinanza ai personaggi si alterna col distacco, frutto della lucidità di sguardo (talora impietosa, da entomologo) e di una distanza etica. La sua arte ha i movimenti del pudore: sa fermarsi davanti all’irrappresentabile, allontanarsi dall’impudicizia sentimentale, rifiutarsi alla pornografia estetizzante. In questa commedia umana alla Balzac dove la quotidianità assume cadenze ora epiche ora liriche c’è anche la presenza della Storia che salda il soggettivo al collettivo, la narrazione alla riflessione attraverso il filtro della memoria. Davanti a un film (un romanzo, un quadro) che amiamo bisognerebbe porsi, per prima o per ultima, la domanda di Hoffmanstahl: ma sta nella vita? Die zweite Heimat ci sta per intero.
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Perdonami, mi sono accorto solo adesso che sono in tedesco con subita. Sorry. Ho cercato la versione in italiano ma non l’ho trovata.