Duranti i difficili e sanguinosi lavori di costruzione della ferrovia tra l’Atlantico e il Pacifico si svolge la storia d’amore tra la figlia di un macchinista e un sorvegliante. La ragazza sposa un bandito per salvare l’amato, e quando il marito muore ucciso dai suoi uomini, i due si riuniscono.
Un ricco uomo d’affari (Hopkins) col pallino delle citazioni intellettuali, organizza una vacanza in Alaska coi suoi amici. In realtà il suo migliore amico (Baldwyn) è anche l’amante di sua moglie e quando si presenta la circostanza – un incidente aereo isola i due fra le montagne – cerca di ucciderlo. Alla fine la forza della natura, la sua durezza fanno una certa ancestrale giustizia. Il cattivo paga. Oltre ai grandi attori protagonista è la natura, una sorta di grande, estremo giudice. Tamahori aveva dato ottima prova di sé in storie metropolitane, così come David Mamet, qui sceneggiatore. Ancora una volta Baldwyn è l’affascinante cattivo.
Turk e Rooster sono detective nel Dipartimento di polizia di New York. Veterani pluridecorati sono a un passo dalla pensione e dal serial killer che celebra i suoi cadaveri con sonetti in rima. Collabora alle indagini l’affascinante Karen Corelli, agente della squadra CSI e amante volubile di Turk. Karen ha una dipendenza dal sesso e da pratiche erotiche non convenzionali, che consuma con Turk e con il più giovane agente Perez, convinto che il serial killer sia proprio un poliziotto. Tra l’omicidio di uno spacciatore e quello di un protettore e contro i metodi della coppia junior, Turk e Rooster proveranno a fare luce sul caso e sui confini della legge.
Nel 1952 sei uomini coltissimi si accoppiano a turno con una bella ragazza. L’intento è di mettere al mondo un uomo perfetto. Ma saltan fuori due gemelli. Li ritroviamo 35 anni dopo. Uno è un colosso di grande cultura e di nessuna esperienza amatoria. L’altro è un piccolotto di non specchiata moralità. Il colosso cerca di persuadere il bassetto ad accompagnarlo a trovare la madre. L’altro acconsente (in realtà il viaggio gli fornisce l’occasione per arraffare 5 milioni di dollari).
Ken Parker (nome completo Kenneth Parker) è un personaggio immaginario dei fumetti creato da Giancarlo Berardi e Ivo Milazzo, nel 1974.[1] Personaggio particolare e atipico del genere western la cui serie a fumetti, ambientata prevalentemente in America del Nord in un arco temporale che va dal 1868 al 1908, si distingue per originalità, per la varietà delle ambientazioni e per gli argomenti trattati che, spesso, esulano dai canoni tipici del fumetto western.[senza fonte]
Il fumetto esordisce in edicola nel giugno 1977, pubblicato dalla Cepim e, tra alterne vicende, cambi di editore e di formato, sospensione delle pubblicazioni e ristampe rivedute e corrette dagli autori stessi, la storia del personaggio si conclude nell’aprile del 2015 con l’episodio Fin dove arriva il mattino.
La prima serie pubblicata dal 1977 al 1984 lo rende un personaggio di culto del fumetto italiano, sia per il realismo delle ambientazioni e per la meticolosa ricostruzione storica e filologica che per l’attenzione alle tematiche sociali.
Ogni volume contiene 2 o più racconti. In totale sono 90. Fuori da questa collezione rimangono 2 numeri che secondo wikipedia sono il 91 e il 92. Il 92, ultimo in assoluto che chiude definitivamente la serie, l’ho trovato mentre il 91 “Canto di Natale” no.
28/2/25 aggiunto numero 21 mancante della collezione Ken Parker Magazine
Voglio ricordare con poche parole la scomparsa di Gene Hackman, uno dei miei attori preferiti, un gigante dello schermo che ha lasciato un’impronta indelebile nella storia del cinema. La sua presenza magnetica e la sua capacità di dare vita a personaggi complessi lo hanno reso uno degli attori più amati di sempre. Ci mancherà la sua arte, ma il suo ricordo rimarrà per sempre impresso nei nostri cuori cinefili.
Raimi costruisce un film ipercitazionista (Sergio Leone è il più saccheggiato) con il pretesto della presenza di Sharon Stone. L’idea del torneo tra pistoleri a eliminazione diretta non sarebbe malvagia se non ci fosse il problema che, dopo un po’, il finale diventa prevedibile e l’interesse si perde. Gene Hackman se la cava, come sempre, da par suo.
Giovane avvocato di colore (Smith) entra in possesso, per caso e senza saperlo, di una videocassetta che incrimina come mandante di un omicidio politico un alto dirigente (Voight) della NSA (National Security Agency), più potente, segreta e costosa della CIA. Per neutralizzarlo, gli uomini della NSA “deviata” gli rovinano la vita finché, con l’aiuto di un misterioso ex agente (Hackman) dei servizi segreti, la vittima parte alla riscossa. Sulla scia di Crimini invisibili (1997), la sceneggiatura di David Marconi è ispirata a un’inchiesta (dicembre 1995) del Baltimore Sun. Thriller di fantapolitica? Non lo è: dove non coincide con la realtà del controllo telematico, è verosimile. È forse il miglior film di T. Scott che l’ha diretto ad alta velocità senza risparmiarsi nelle sequenze spettacolari. Il suo vero autore, però, è lo sceneggiatore che nel finale recupera la vicenda della mafia italoamericana enunciata nell’avvio. Hackman entra in scena nell’ultima mezz’ora.
La vedova di un broker ucciso da un folle che ha compiuto una strage decide di citare in tribunale un’importante industria di armi e si fa rappresentare da Wendall Rohr (Hoffman), tenace avvocato che crede nel trionfo della giustizia. All’ombra di quello della controparte, invece, è stato posto Rankin Fitch (Hackman), corrotto e spregiudicato, ma rinomatissimo “consulente per giurie”. E mentre i due principi del foro si fanno la guerra, Nick Easter (Cusack), uno dei giurati in isolamento, con la segreta complicità della sua bella fuori, manipola la giuria per ottenere il verdetto che vuole. Da un best seller di John Grisham con 2 sostanziali differenze: nel libro la vedova di un uomo morto per tumore ai polmoni trascina in tribunale una multinazionale del tabacco; l’azione è spostata da Biloxi in una suggestiva New Orleans (350 miglia). Una macchina-film che funziona a meraviglia fino alla sorpresa finale politically correct . Due mostri sacri, entrambi vincitori di 2 Oscar, si contendono la scena con due personaggi opposti in tutto e si divertono gigioneggiando alla grande. Ne escono alla pari. L’incontro-scontro nei bagni vale da solo la visione del film. Ma sono bravi anche gli altri, primo fra tutti Cusack.
Un ufficiale di marina va a letto con l’amante di un uomo politico. Costui uccide la ragazza, conoscendo la sua infedeltà, ma non l’identità del partner. Poi monta un’inchiesta fasulla dando l’incarico delle indagini all’ufficiale. Costui vede gli indizi accumularsi sulla sua persona ma in extremis riesce a provare la colpevolezza del senatore. Sorpresissima finale.
Nessuno sa ideare e portare a termine un colpo con la perizia di Joe Moore (Gene Hackman): aria distaccata e sorniona, modi freddi ma gentili, è un rapinatore che riesce ad essere razionale anche sotto pressione. Nell’ultimo, geniale furto ad una gioielleria, però, il suo volto viene ripreso dalle telecamere: il colpo riesce comunque, ma Joe ritiene sia arrivato il momento di ritirarsi.Non la pensa così il ricettatore Mickey Bergman (Danny De Vito), che lo costringe a progettare un furto di lingotti d’oro caricati nella stiva di un aereo svizzero. E per essere ben sicuro che Joe non cambi idea, gli mette alle costole l’ambizioso Jimmy Silk, che non nasconde il proprio interesse per la giovane e bella moglie di Joe, Fran (Rebecca Pidgeon, per la cronaca l’attuale moglie di Mamet). Affiancato dai suoi compagni di sempre, Bobby e Pincus, Joe mette a punto un piano, o meglio, più piani di riserva, poichè qualcuno – o forse tutti – sembrano fare il doppio gioco… Presentato con successo all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, Heist è un incastro di scatole cinesi, dove ogni tranello ne nasconde un altro. David Mamet, regista e sceneggiatore ironico e tagliente, è bravo a costruire una storia complessa, dove la lealtà, dichiarata, scontata, sottintesa o tradita, è la chiave di volta per capire l’andamento della storia. È nell’evoluzione dei rapporti tra i membri della banda che si nasconde il vero giallo.
A metà degli anni ottanta venne prodotta una serie a cartoni animati trasmessa al sabato mattina intitolata The Charlie Brown and Snoopy show, che durò due stagioni.
Stagione 1: Episodi da 1 a 13, Stagione 2: Episodi da 14 a 18
L’Unità di Analisi Comportamentale (BAU, Behavioral Analysis Unit) è una squadra speciale di psicocriminologi dell’FBI incaricati di elaborare un profilo psicologico e comportamentale degli assassini seriali, chiamati S.I. (Soggetto Ignoto, nell’originale Unsub, da Unknown Subject). Gli esperti di profili criminali sono principalmente psicologi, psichiatri e criminologi. La sede centrale della BAU si trova semisepolta nel terreno all’accademia dell’FBI di Quantico, in Virginia.
In genere, ogni episodio inizia con il crimine (nel cui atto il colpevole viene per lo più tenuto nascosto e non svelato) e segue con la richiesta di aiuto da parte, per esempio, degli agenti di polizia locali che si stanno occupando di quel caso d’omicidio, di stupro o di rapimento, al BAU. Questa sezione dell’FBI, infatti, non si occupa di tutti i casi d’omicidio, ma solo di quelli più intricati e, specialmente, di quelli seriali.
Prima una soap opera, Gli Occhi del Cuore 2, poi una serie medical in stile americano, infine un film per il cinema. Questo è il percorso del regista Renè Ferretti e della sua troupe, condannati a una televisione di serie B e sempre alla ricerca di progetti di qualità che sembrano non arrivare mai. Un piccolo capolavoro di intelligenza e comicità. Boris, nato dalle geniali penne di Luca Vendruscolo, Giacomo Ciarrapico e Mattia Torre, è forse la migliore serie comedy italiana di sempre. La televisione che prende in giro la televisione, dove tutti sono importanti ma nessuno conta niente, è un parallelo nascosto della società del nostro paese. Precari, manager qualunquisti, artisti non creativi, talenti sprecati, raccomandati, convivono in un micromondo in cui tutti devono sopravvivere.
Il giornalista Richard, americano, decide di andare con l’amico Rock in Salvador, dove la vita, secondo lui, è più piacevole. Ma qui le cose stanno ben diversamente: violenza, guerriglia e morte sono all’ordine del giorno. La destra è armata da Reagan. Mentre rischia di continuo la vita, Richard s’innamora di Maria, giovane donna con bambini. La situazione precipita dopo l’assassinio dell’arcivescovo Romero, corre altro sangue e sarà solo un sogno, quello di Richard (tornare in America con Maria).
Un film di Norman Panama. Con Basil Rathbone, Glynis Johns, Danny Kaye Titolo originale The Court Jester. Comico, durata 101 min. – USA 1956. MYMONETRO Il giullare del re valutazione media: 3,50 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Inghilterra, XII secolo. Roderico si è impadronito del potere con la forza; il capo dei popolani a lui ribelli decide di sostituirsi al giullare per poter entrare a corte e agire liberamente. L’audace piano incontra parecchie difficoltà, tuttavia ha esito positivo e si conclude col trionfante ingresso al castello dei rivoltosi.
Un film di Philippe Labro. Con Jean-Paul Belmondo, Bruno Cremer, Patrick Fierry Titolo originale L’alpagueur. Poliziesco, durata 95′ min. – Francia 1976. MYMONETRO Lo sparviero valutazione media: 3,55 su 9 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un ex cacciatore si mette al servizio, come agente segreto, della polizia francese per sgominare una banda di criminali nel campo della droga e della prostituzione. Poliziesco francese con un po’ della violenza dei film hollywoodiani di azione, al servizio del divismo atletico dell’intramontabile J.-P. Belmondo. È il trionfo del già visto.
1769. Il capitano Sir John Lindsay della Marina di Sua Maestà Britannica decide, alla morte della madre, di riconoscere e portare con sé in Inghilterra la figlia mulatta affidandola allo zio Presidente della Corte Suprema. Dido Elizabeth Belle entra così a far parte, non senza difficoltà, di una famiglia nobile e in vista. Il suo rapporto con la cugina Elizabeth Murray si fa stretto sin da bambine e continua ad essere tale anche quando Dido erediterà la fortuna del genitore mentre Elizabeth si troverà senza dote. Questa situazione si intreccia con un evento che coinvolgerà l’intera legislazione britannica sulla schiavitù. Non è facile gestire cinematograficamente un film in costume ambientato nel ‘700 senza farsi condizionare dagli innumerevoli illustri predecessori che hanno elaborato complesse strutture narrative, spesso di derivazione letteraria. Il modello che potrebbe essere accostato a questa opera seconda di Amma Asante è forse lo scorsesiano L’età dell’innocenza per l’intreccio tra opzioni dei singoli e convenzioni sociali. Alla regista londinese di origine ghanese manca forse il controllo geometrico delle relazioni ma non le difetta certo la capacità di innervare il sottotesto di cinema dei sentimenti con riflessioni originali. Perché nel momento in cui ci ricorda che la vita delle donne di buona famiglia ai tempi era totalmente condizionata dall’attesa di un maschio che spesso desiderava più la loro dote che le loro attenzioni, riesce anche a ribaltare il gioco. Il suo è certo un film sulla schiavitù femminile che viene declinata per il colore della pelle e per il censo. Dido da ‘negra’ che non può pranzare con i familiari perché creerebbe imbarazzo diviene oggetto di attenzione maschile nel momento in cui eredita rischiando di lasciare la cugina ‘bianca’ a soffrire di un triste zitellaggio. Ma questi elementi non costituiscono che una parte della narrazione perché essa si intreccia con il caso della nave Zong di cui Asante porta a conoscenza un più vasto pubblico che non sia quello degli storici. Su quel veliero viaggiavano numerosi schiavi che vennero gettati a mare incatenati perché ammalati cercando così di lucrare con le assicurazioni che non avrebbero invece coperto l’arrivo sul mercato di ‘merce’ avariata. Il caso costituì un punto di non ritorno per lo schiavismo in Gran Bretagna. A tutto ciò si aggiunga il quadro (che giustifica il titolo italiano) che ritrae insieme le due cugine. Potrebbe essere un escamotage narrativo o un riferimento reale. Solo alla fine della proiezione si avrà la risposta.
Il mondo è devastato dall’invasione dei vampiri, con pochi esseri umani “normali” a fronteggiare un avvenire incerto e pericoloso. Le istituzioni sono collassate, i membri del governo fuggiti: il Paese non esiste più. Piccole, fragili oasi resistono, sorrette da comunità disilluse e stanche, unite solo dalla invincibile voglia di sopravvivere. Il rude ed efficientissimo Mister, laconico e carismatico cacciatore di succhiasangue, sa molte cose della lotta conto i vampiri e le insegna un po’ alla volta al giovane Martin, un giovane che ha visto frantumarsi tutte le sue certezze quando la sua famiglia è stata sterminata e lui si è salvato casualmente proprio grazie all’intervento di Mister. I due viaggiano insieme su una vecchia auto. La loro meta è New Eden, a nord, dove sperano di trovare una risposta a tutta la disperazione che vedono attorno a loro.
Oregon 1933. Tra gli hobos, i vagabondi senza lavoro che si spostano da uno Stato all’altro durante la Grande Depressione, salendo clandestinamente sui treni merci, c’è il Numero 1 (Marvin), detto “imperatore del Nord” per lo scaltro talento con cui sfugge ai guardiani ferroviari pronti a gettare i clandestini dal treno in corsa. E c’è, sulla linea 19, Shack (Borgnine), sadico e implacabile conduttore che agli hobos fa una lotta spietata. Da una sceneggiatura di Christopher Knopf che non ignora i precedenti letterari sull’argomento (La strada, 1907, di Jack London, per esempio), Aldrich ha tratto un film torvo che compendia in cadenze epiche il suo cinema romantico della disfatta e del furore. Da non trascurare l’importanza di Sigaret (Carradine), hobo per gioco, divorato dalla propria ambizione senza sbocco. Altro titolo Emperor of the North Pole.