A causa di uno sfratto un’anziana coppia è costretta a separarsi. Si fanno ospitare dalle due figlie che ne approfittano per adibirli a mansioni domestiche. La separazione riaccende la vecchia fiamma. In sagace equilibrio tra umorismo e sentimento, realismo e favola, il film – ispirato al romanzo di P. Festa Campanile – ha facilità bozzettistiche e invenzioni romanzesche un po’ stiracchiate, ma sono i peccati veniali di un’agrodolce commedia asciutta e puntigliosa. Ultimo film per il cinema della Titanus fondata nel 1904.
3° film scritto e diretto dal rumeno Mungiu, ispirato a 2 romanzi non-fiction di Tatiana Niculescu Bran: Spovedanie la Tanacu (2006), poi adattato per il teatro e messo in scena a New York nel 2007, e Cartea judecatorilor (2007). È la storia vera della giovane Alina che torna dalla Germania per ricongiungersi con Voichita, conosciuta in orfanotrofio, l’unica persona che ama e da cui è stata amata. La ragazza, però, ha trovato Dio in un piccolo convento in Moldavia ed è riluttante a ricominciare la relazione. Alina si scontra con l’incapacità del prete, capo della comunità, e delle monache di capire la sua sofferenza. Dalla reciproca incomprensione si passa alla sopraffazione fisica. Inconfondibile lo stile di regia: scene lentamente dilatate nel tempo e con un unico punto di ripresa che spesso riunisce nell’inquadratura diversi personaggi. Privo di ogni pathos melodrammatico, è il realismo malinconico di una tragedia quieta. Distribuisce BIM.
Guerra tra i romani e i popoli d’Oriente che si ribellano al dominio sempre più iniquo dell’imperatore Commodo, succeduto al padre Marco Aurelio (un ottimo Alec Guinness). Persino il re d’Armenia che ha sposato Lucilla, sorella di Commodo, insorge, ma viene sconfitto e ucciso. Lucilla si trasferisce a Roma con Livio, comandante romano di cui si è innamorata. A Livio, vincitore in duello di Commodo, i soldati offrono l’impero, ma egli rifiuta, disgustato dalla dilagante corruzione.
Dall’oratorio drammatico (1938) di Paul Claudel con musiche di Arthur Honegger, già messo in scena da Rossellini nel 1953: in attesa del supplizio la Pulzella rievoca i principali episodi della sua vita. Considerato a torto come una semplice trasposizione dell’opera teatrale, il film è ricco di pregevoli invenzioni tecnico-espressive. “Non è affatto teatro filmato, ma cinema; direi persino che è neorealismo nel senso in cui l’ho sempre tentato” (R. Rossellini).
A Vienna, nell’indagare sul tentato, forse istigato, suicidio di una divorziata americana (Russell), un ispettore di polizia (Keitel) scopre che ha una torbida relazione con uno studioso di psicanalisi (Garfunkel) affetto da gelosia possessiva e da inclinazioni perverse. Dopo alcune incursioni nel territorio congeniale del cinema fantastico, Roeg, noto direttore della fotografia passato alla regia, ha diretto questo labirintico sex melodrama, scritto da Yale Udoff, dove, più che i rimandi a Freud e a Pinter, contano le suggestioni figurative sotto il segno grafico di Klimt e Schiele. Affascinante, intrigante, ai limiti del Kitsch. Musiche degli Who, Keith Jarrett, Billie Holliday. È il 1° dei film che la Russell ha interpretato sotto la guida del marito.
Interno piccoloborghese in una cittadina della cattolica Baviera: padre tassinaro, madre casalinga e figlia sedicenne che si fa mettere incinta da un giovane operaio. Il padre lo denuncia per seduzione di minorenne. La sedotta induce il suo amante a ucciderlo. In secche cadenze da rapporto antropologico, senza demagogia polemica, il ventiseienne R.W. Fassbinder (già con 12 lungometraggi alle spalle) esplora la greve monotonia della banalità del male, di esistenze banali che rimangono intatte persino dentro a un delitto. La sua cinepresa scruta i volti dei personaggi per coglierne i segni di un’interiorità, il segreto di un’anima. La sequenza dell’uccisione è un momento alto di cinema. Da una pièce di Franz Xaver Kroetz. Distribuito in Italia nel 1980.
Ubicato nell’Alta Austria, Radegund è un’oasi di pace dove Franz e Fani si sono incontrati e innamorati. La loro vita scorre lieta scandita dalle stagioni e dalle campane della chiesa, dal lavoro nei campi e la ricreazione sui prati. Ma la guerra allunga la sua ombra e rovescia il loro destino. Franz è chiamato alle armi e a giurare fedeltà al Führer. Incapace di concepire la violenza obietta, procedendo in direzione ostinata e contraria.
Quattro personaggi: Susie ha scritto un libro sui ladri di piante di orchidea dalle quali si può ottenere un tipo di sostanza stupefacente molto particolare. Johnny è il ladro, un tipo duro e segnato dalla vita e dai traffici illeciti. Charlie, timido e impacciato, fa lo screen writer e deve adattare il romanzo di Susie per una sceneggiatura di un film. E infine c’è Donald, fratello gemello di Charlie, anche lui sceneggiatore. Charlie è in crisi creativa e passa le sue giornate cercando disperatamente di farsi venire un’ idea, ma si perde guardando la fotografia di Susan stampata sul retro della copertina del libro. Fin qui tutto risulta piuttosto semplice, ma le cose si complicano nel momento in cui i vari personaggi si adattano agli altri. Susie deve intervistare Jonnhy per proseguire con la pubblicazione dei suoi romanzi e finisce col rimanere coinvolta da lui e dalla sua attività e Charlie chiede aiuto al fratello per scrivere la sceneggiatura del film. I quattro si incontrano di nuovo tre anni dopo: Susie è sempre innamorata e legata al suo Jonnhy, che da ruvido delinquente e diventato quasi romantico, e i due fratelli si ritrovano coinvolti in un incidente e in una sparatoria che avrà esiti negativi. Temi importanti e non facili, per quest’ opera di Jonze in concorso al Festival Internazionale di Berlino: il doppio, la creatività come stimolo per un arricchimento della realtà o come distruzione di un’ identità, lo smarrimento per la ricerca di una personalità nell’altro da sé. Tutto questo raccontato con uno stile che cambia durante la narrazione: dalla commedia, i toni diventano quasi grotteschi per finire nel dramma. È pericoloso adattare e adattarsi, si rischia di perdere e di perdersi.
Un film di Werner Herzog. Con Brad Dourif, Ellen Baker, Franklin Chang-Diaz, Shannon Lucid, Michael Mcculley, Donald Williams Titolo originale The wild blue yonder.Documentario, durata 81 min. – Francia, Germania, Gran Bretagna 2005. uscita venerdì 25novembre 2005. MYMONETRO L’ignoto spazio profondo valutazione media:3,13 su 12 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Werner Herzog è un regista che negli ultimi anni ha agito nell’ombra. Una decina di documentari e docu-fiction che non si è preoccupato tanto di promuovere, quanto invece del piacere di girarli per amore del proprio lavoro. The wild blue yondercorre, ancora una volta, sulla linea della fiction documentata per proiettarci nella fantascienza, nell’ignoto spazio, narrando di alieni che alla fine risultano più umani di noi. Un alieno (Brad Dourif) racconta con passione e malinconia un sogno infranto: creare un avamposto, una “Casa Bianca”, base e centro nevralgico di un popolo sconosciuto alla ricerca di un luogo, la Terra, per aprire nuove frontiere. La metafora extraterrestre diviene una sorta di pretesto per fotografare la condizione umana e dichiarare che i veri alieni siamo noi, che nello spazio esploriamo nuove strade di speranza per la prossima civiltà. Sospeso fra interminabili e poetiche sequenze, The wild blue yonder è passato, presente e futuro dei viaggi nello spazio dell’umanità. Non un’esplorazione, ma il desiderio di un nuovo sogno e di una terra che sia migliore della nostra, ormai giunta allo stremo delle forze. Una piccola ed ecologica Odissea nello Spazio per comprendere che il cinema può essere filosofia e comunicazione dello stato delle cose.
Agli inizi del Novecento l’eccentrico Brian Sweeney Fitzgerald, barone irlandese del caucciù, vuole costruire a Iquitos, nel cuore dell’Amazzonia peruviana, il più grande teatro d’opera di tutti i tempi per farci cantare Enrico Caruso. Costato 8 miliardi (più tutti gli averi del regista, due morti, parecchi feriti e tre anni di lavorazione) questo film, frutto di un’operazione un po’ folle, è paradossalmente il più ordinato e accademico del più sregolato autore del nuovo cinema tedesco. Narrato a ritmo lasco col tran tran di uno sceneggiato TV, ha un solo personaggio vivo: il battello il cui assurdo ed epico trasporto attraverso il colle occupa 45 minuti. I momenti d’incanto e le sequenze visionarie, comunque, non mancano. Si apre e si chiude con un frammento delle 2 opere ottocentesche che hanno per protagonista Elvira: Ernani (1844) di G. Verdi e I puritani (1835) di V. Bellini.
Esiste sulla romanzesca lavorazione del film un bel documentario di Les Blank, Burden of Dreams (1982), che, secondo alcuni, è persino più affascinante del film.
Sul finire degli anni sessanta dell’Ottocento la famigerata banda dei fratelli James imperversava nello stato del Missouri, assalendo banche, treni e diligenze. Gli ultimi ribelli della guerra civile erano al servizio del più carismatico dei fratelli James, Jesse, bandito professionista dal grilletto facile, lo sguardo glaciale e i modi affabili. Figlio di un pastore e ultimo dei tre fratelli James è venerato e invidiato dal più piccolo dei cinque Ford, frustrato per il credito minore ricevuto in seno alla banda. Robert, poco più che ventenne, spera di farsi apprezzare e reclutare dal carismatico leader. L’ostinata diffidenza di James per Robert trasformerà l’ammirazione in disprezzo. Il biasimo di Bob e un colpo di pistola fredderanno Jesse James a tradimento. Era il tre aprile 1882. Era l’inizio della leggenda del “bandito sociale”. Chiariamo subito una cosa: L’assassinio di Jesse James non è un western, almeno nel senso tradizionale del termine. A mancare è il respiro epico di una nazione sopravvissuta alla guerra civile e di uno stato, quello del Missouri, attraversato da locomotive a vapore cariche di capitali da rubare o da investire per ricostruire. Senza una contestualizzazione precisa del contesto sociale e del periodo storico in cui la leggenda prese forma, è difficile comprendere il personaggio di Jesse James, il guerrigliero degenerato in bandito, il fuorilegge giustificato e poi trasformato in una ballata, eseguita sullo schermo dal cow-boy Nick Cave. Adattamento del libro omonimo di Ron Hansen, il film di Andrew Dominik si limita all’introspezione psicologica, concentrandosi interamente e comodamente sulla relazione tra il fuorilegge navigato e l’ambizioso neofita. Gli accoliti al soldo di James, colti dopo l’ultimo assalto al treno nel 1881 (anno del suo trentaquattresimo compleanno), non hanno nulla in comune coi “cavalieri” reazionari che, con la pratica sistematica della violenza e dell’intimidazione, cercarono di sopravvivere al processo di modernizzazione economica del Sud. La maschera di Jesse James scritta da Dominik e drammatizzata da Pitt, fuori parte e fuori gioco, è priva del fascino irresistibile del cavaliere romantico, della grandezza dei suoi sentimenti, dell’amore per gli spazi aperti, della radiosità che lo rese popolare e lo consacrò alla leggenda: il bandito d’onore, il bandito battista, l’espropriatore degli espropriatori. Il film di Dominik non riesce ad appropriarsi dell’universo western né a calarvi l’eroe più discusso della mitologia nazionale americana
Finita la Seconda Guerra Mondiale, 21 rappresentanti del regime nazista vennero processati per crimini contro l’umanità. Questa è il racconto del processo di Norimberga in cui l’avvocato americano Robert Jackson, ebbe un ruolo da protagonista.
Silverio Gama, giornalista e documentarista messicano, si è perso nel mezzo del cammino, da qualche parte tra il paese natio e quello di adozione. Eternamente diviso tra Messico e Stati Uniti, dove ha fatto crescere i suoi figli, Silverio Gama è il primo periodista latino-americano a vincere un prestigioso premio internazionale. Nel tempo che lo separa dalla premiazione ufficiale a Los Angeles, passa in rassegna la sua vita, quella professionale e quella personale, segnata dalla morte di Mateo, il figlio che ha vissuto una manciata di ore prima di decidere che il mondo era un brutto posto. Tra presente e passato cerca un senso e trova il capolinea.
Un giovane milanese erotomane ed estroverso, dopo aver vinto un concorso di maestro elementare, è chiamato ad insegnare a Catania. Qui si scontra con il perbenismo siciliano.
Vesna arriva in autobus a Trieste da un villaggio della Repubblica Ceca e non riparte. Per mantenersi si prostituisce finché a Rimini conosce un caposquadra muratore che, dopo essere stato suo cliente, le si avvicina come persona, amico, amante. Ma lei gli sfugge. Si può vendere il corpo, salvando l’anima? Mazzacurati prova a dirlo con attenzione, pudore, rispetto, senza la pretesa di penetrare nel mistero di un essere umano e di spiegarlo allo spettatore. Da una sceneggiatura che deve essere stata laboriosa (scritta dal regista, Rulli e Petragli, Umberto Contarello, Claudio Piersanti) è uscito un film sensibile, ma diseguale con molti vuoti d’aria che, cercando la corda della poesia lirica, diventa liricizzante. Vi fa macchia, comunque, il personaggio di Albanese.
Tul sta per vedere il suo mondo distrutto. Gli è stato inviato un pacchetto di foto e di dati, che esamina e poi mette via tempestivamente, dentro il trituratore. Si rade la testa, indossa le vesti di un monaco, e si apposta nella tenuta appartenente all’uomo della foto. Poi, prende una pistola e spara un proiettile nel collo dell’uomo. Altri colpi vengono sparati, e uno di loro finisce nella testa di Tul. Tutto diventa nero. Quando si sveglia tre mesi dopo, tutto è invertito e lui si ritrova dalla parte opposta. È un danno cerebrale bizzarro, o una qualche forma di contrappasso karmico?
Moon-kyung è un regista donnaiolo, o forse solo uno che si fa credere tale. Con l’amico critico Joong-sik rievoca il loro incontro di anni prima. Ma i due non sanno quanto quel giorno abbia cambiato le loro vite
Mutsugoro decide di tornare alla sua casa natale, ignorando il fatto di essere portatore di una malattia sessuale. Piano piano l’uomo comincia a lasciarsi andare e a sognare. Lentamente, chi gli sta attorno (e anche lo spettatore) non riesce più a cogliere cosa sia reale e cosa no. I suoi amici sono misteriosi terroristi? Di chi può fidarsi?
Alcune storie che hanno come punto di partenza la morte di Togliatti. Protagonisti un comunista che lavora alla sede del partito e trova la moglie a letto con un’amica, un giovane che ribadisce la sua fedeltà al Pci mentre un amico si dimostra anticonformista, un profugo venezuelano che è richiamato in patria a sostituire un compagno caduto, un regista prossimo alla morte che sospende i lavori di un film e si mette a girare il mondo.
Un ricco possidente, rapito da due fratelli,propone a questi di accompagnarlo con una grossa mandria attraverso un percorso preso di mira dai pellirosse. La strada è lunga e i contrasti sono tanti; i tre si contendono anche l’amore di una donna, ma ad avere la meglio sarà Ben, impersonato naturalmente da Gable.
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