Lee Byung-goo ha avuto in sorte una vita terribile. Convinto che la madre sia oggetto di esperimenti alieni, rapisce il CEO della Yuje Chemical, convinto di poter così sventare un complotto per distruggere l’umanità. Ma uno stralunato detective sembra poter ricomporre le tessere dello stranissimo puzzle.
Nei primi mesi del ’45 si delinea chiaramente l’esito della guerra e Mussolini decide di rifugiarsi in Valtellina. Non trovando però i militari che avrebbero dovuto attenderlo, si nasconde tra i soldati tedeschi incaricati di portarlo in Germania. Ugualmente riconosciuto, viene giustiziato assieme all’amante, Claretta Petacci.
Le vicende di un gruppo di tecnici specialisti in uragani. Li cercano, li studiano, li combattono. C’è anche un gruppo antagonista che ha la peggio. Effetti speciali, insomma quasi tutto ciò che fa cinema catastrofe. Ma già visto.
Marie Palesi sta recitando in Israele in un film in cui interpreta il ruolo di Maria di Magdala. Quando le riprese si concludono Marie, invece di tornare a New York con il regista Childless, fugge a Gerusalemme. Un anno e mezzo dopo l’anchorman Theodor Younger ha come ospite nel suo programma, dedicato alla figura di Gesù, il presidente dell’Unione Comunità Ebraiche in Italia Amos Luzzatto. Seguiranno altre trasmissioni mentre si avvicina la data della prima del film di Childless che pare destinato a fare scandalo. Intanto Marie è ancora a Gerusalemme. Originariamente il ruolo di Marie, per questo che è uno dei film più ‘personali’ di Abel Ferrara, doveva andare a Monica Bellucci che, incinta, ha dovuto rinunciare. Questo dato di cronaca relativa al casting può essere utile per valutare il ‘peso’ della presenza del personaggio e per immaginarselo interpretato dall’attrice italiana. Ciò che però ci dà la misura dell’interesse che il regista ha provato per il soggetto è il sapere che, dopo la separazione dal fedele Nicholas St.John, Ferrara affronta il tema della religione sentendo il bisogno non solo di avere come testimonial nel ruolo di se stesso Luzzatto, il monaco Nicoletto o il teologo Leloup ma anche quello di documentarsi. Eccolo allora mettersi alla ricerca di un Gesù per lui vero uomo più che vero Dio, leggendo i vangeli gnostici di Hag Hammadi insieme agli studi del citato Leloup. Quella che porta sullo schermo è ancora una volta un’umanità dilaniata tra grandi e piccoli conflitti che sente con forza il senso di colpa e cerca di sfuggirvi facendosi assorbire da una città (Marie) o cercando rifugio nell’atto del pregare di cui però non conosce la più profonda essenza.
È invece indispensabile, per Ferrara, avere un coraggio del tutto particolare. Come ha dichiarato in un’intervista: “Nel mio film c’è la sequenza della lavanda dei piedi che è uno dei momenti più importanti, infatti è proprio in quel momento che Cristo si spoglia di tutto e sceglie di essere il servitore degli altri. Anche Ted non può più nascondersi ma deve affrontare la realtà”.
Dal romanzo di Vladimir Nabokov, sceneggiato da Tom Stoppard e girato in inglese. Berlino, 1929: un fabbricante di cioccolata, emigrato russo da dodici anni, entra in una crisi d’identità e di sdoppiamento. Incontrato un uomo nel quale crede di vedere il proprio sosia, lo uccide, gli prende abiti e documenti e si rifugia in Svizzera. L’inganno dura poco. Tutto è di prim’ordine, ma è un film nato morto: un Resnais ( Providence ) mescolato con Sternberg e Ophüls e filtrato attraverso un bagno di cattivo teatro dell’assurdo di formalismo baroccheggiante, tedioso nel suo intellettualismo, affliggente nel suo gelido umorismo grottesco.
Patrick Jane è consulente al California Bureau of Investigation (CBI), dove aiuta la squadra investigativa coordinata dal sergente Teresa Lisbon e formata da Kimball Cho, Wayne Rigsby e Grace Van Pelt usando il suo particolare talento da mentalista. La sua dote gli permette di notare ogni piccolo dettaglio, ogni sfuggevole particolare, magari inutile all’apparenza, che per Patrick diventa un prezioso tassello del puzzle che lo porterà a risolvere, caso dopo caso, tutti i delitti a cui viene assegnata la squadra investigativa di cui fa parte. Il suo talento però non gli ha portato solo successi. Ha un passato segnato da una tragedia, causata dalla spavalderia nello sfruttare la sua dote, fingendosi sensitivo, che ha provocato le ire di John il Rosso, un assassino seriale che ha sterminato la sua famiglia provocandogli un crollo psicologico. Proprio a causa sua si noterà il lato oscuro di Patrick, persona apparentemente solare e serena, ma nel profondo turbata e desiderosa di vendicare la sua famiglia.
A Mumbai, dal 1890, ogni giorno circa 5.000 fattorini recapitano in lunchbox presso uffici e scuole 200.000 pasti provenienti da cucine private o da pubblici ristori. Il pranzo che Ila prepara ogni giorno per il marito viene consegnato per errore a un’altra persona, il vedovo Saajan. Non solo il marito non si accorge di ricevere cibi cucinati da un’altra, ma Saajan inizia a rispondere ai biglietti che Ila scrive in accompagnamento al pasto. La relazione si approfondisce, sempre e solo per via epistolare, e Ila scopre un uomo stanco della vita ma pieno di possibilità, e soprattutto capisce che lei stessa, forse, ha bisogno di cambiare qualcosa nella sua esistenza. Non è un prodotto bollywoodiano né una commedia romantica commerciale: è un piccolo film, leggero ma non superficiale, a tratti spiritoso e arguto, imbevuto di cultura indiana e nello stesso tempo attraversato, più con le immagini che con le parole, da una vena critica sulla pesantezza della società che impone austeri limiti e silenziose ma violente repressioni alle relazioni. 2 buoni interpreti e una regia esordiente da tenere d’occhio.
Un regista gira un film su una coppia newyorkese in crisi. I problemi nascono per l’assoluta immedesimazione dei due interpreti e del regista. I primi consumano una violenta relazione e il secondo si innamora dell’attrice. Fino al drammatico finale. Ferrara, regista eclettico, nell’ultimo periodo ha trovato una stabilità qualitativa che non si riusciva a riscontrare nelle primissime opere. Fuller comunque rimane uno dei suoi riferimenti.
In una scuola superiore sudcoreana, in una cittadina non troppo lontana da Seoul, dilaga il bullismo. Una vittima dei prepotenti è incapace di difendersi e preside e docenti non sono riusciti ad aiutarlo. Suo padre, professore nello stesso istituto, disperato per l’impotenza decide di sperimentare su di lui un siero che ne aumenti l’aggressività. Il risultato lo trasforma però in zombie e presto l’esperimento sfugge al controllo dell’uomo, infettando una studentessa che diffonde la piaga non solo a scuola ma pure in città…
1925: in un piccolo villaggio USA il pastore, d’accordo con i “maggiorenti” locali, denuncia un insegnante perché illustra ai suoi allievi le teorie darwiniste sull’evoluzione delle specie. Il regista di Questo pazzo, pazzo, pazzo, pazzo mondo e di Indovina chi viene a cena? (entrambi sempre con Spencer Tracy) realizzò nel 1960 questo interessante dramma giudiziario tratto da un testo teatrale famoso, Inherit the Wind di Jerome Lawrence e Robert E. Lee. Soltanto un film d’attori, ma di classe. Intitolato anche L’erede del vento. Rifatto nel 1988 per la TV.
Tornando alla villa dove ha conosciuto l’amata Fulvia, il partigiano Milton scopre che forse fra lei e il suo migliore amico Giorgio, anche lui combattente, potrebbe essere nata una storia d’amore. Nel tentativo di ricevere da Giorgio un chiarimento, Milton intraprende un viaggio attraverso il paesaggio verde e nebbioso delle Langhe che è anche un percorso di conoscenza: di se stesso, dell’animo umano e della barbarie insensata della guerra.
Scoppia una guerra atomica. La famiglia Baldwin, che aveva lasciato Los Angeles per una vacanza, vive giorni di terrore, alla ricerca di un rifugio sicuro, in una situazione disperata dove prevale la legge del più forte. 4° dei 5 film, e uno dei più interessanti, diretti dall’attore Milland, in linea con la SF americana, assai sensibile negli anni ’60 alla minaccia di un conflitto atomico. La prima parte è la migliore.
Carlo Lizzani ricostruisce a “botta calda” (il processo a Mamma Ebe era appena concluso) la vicenda di Ebe Giorgini, detta Mamma Ebe dai suoi adepti, santona accusata di truffa e di plagio, attraverso diverse testimonianze. La giovane Laura continua a ritenerla una santa, una prostituta ha capito di essere stata imbrogliata e cerca vendetta. Le accuse sono pesanti, la condanna da dieci anni si riduce a sei con gli arresti domiciliari. Qualche morbosità in più del necessario.
Questo può essere considerato a ragione il miglior film di questo eclettico, ma anche diseguale regista. Con King of New York un certo salto di qualità c’era già stato. Un film duro e violento ma non gratuito. Corrotto e drogato, un tenente di polizia ha sempre ostentato il suo potere con tutti. Spaccia, corrompe, ricatta come se si trattasse di normale amministrazione. Ma nella sua ottica del “tutto è permesso” ha un difetto: è cattolico praticante. Così, mentre è nei guai fino al collo per delle scommesse legate al baseball, si prende a cuore il caso di una suora che è stata violentata. La tragedia lo attende al varco. Servito non sempre bene dal doppiaggio, che fa risultare quasi ridicola la scena molto intensa della visione di Cristo in chiesa, il film ha avuto una inadeguata distribuzione sul nostro territorio.
Un viaggio documentario dal Laos alla Tanzania alla ricerca del senso più profondo del ciclo vitale secondo la filosofia buddista. Dall’osservazione dei giovani monaci che pregano, lavorano e imparano i sacri libri alle donne africane musulmane che raccolgono e conservano le alghe, mentre insegnano alle proprie figlie che vegetali e animali sono sacri, perché potrebbero racchiudere le anime di vite precedenti. Tutto può essere buddista secondo il terzo lungometraggio del galiziano Lois Patiño, a prescindere dalla religione professata.
Due maestri elementari, che non riescono ad avere un figlio, si rivolgono a un luminare della scienza che prescrive uno speciale regime di vita. Il marito si presta obbedientemente, ma non si arriva che a una gravidanza isterica. Consultano una chiromante che prescrive un rimedio specifico e ordina di fare all’amore nel plenilunio.
Nei sobborghi di una città del Connecticut, Rachel Buchman sta per sposarsi. Per sua sorella Kym è l’occasione di tornare in famiglia dopo una lunga assenza: è una ex tossica, oppressa dal senso di colpa per la morte di un fratellino. La sua presenza aggressiva catalizza le tensioni latenti in famiglia e con gli amici. Scritto da Jenny Lumet, figlia di Sidney, è un film corale e anomalo nel percorso di Demme. Contiene molti stereotipi del melodramma familiare made in USA (la festa interrotta; il ritorno del figliol prodigo che smaschera silenzi, rimozioni, ipocrisie; il rimpianto di un’innocenza perduta, forse mai avuta), ma li assorbe e li disintegra a livello stilistico. In 2 modi. Intanto, ispirato da Altman ( Il matrimonio ), ma anche da certi moduli del Dogma danese, Demme applica alla fiction la sua assidua pratica di documentarista, filmando gli attori “come se fossero persone e non personaggi, lasciando alle cose il tempo e l’occasione di accadere” (R. Manassero). Poi, tornando alle origini del melodramma, correda le immagini con un continuo, ossessivo controcanto di musica e suoni: rock, blues, danze africane, ritmi orientali (forse non a caso lo sposo, Tunde Adebimpe, è il cantante dei Tv on the Radio). Come al solito, dominano i personaggi femminili, a partire dall’ottima Hathaway, ma è notevole anche la madre della Winger. Un matrimonio audio-visivo così non si era mai visto né tanto meno ascoltato.
Vedova di un operaio ucciso dalla polizia durante una manifestazione s’innamora del suo nemico di classe, il padrone della ditta in cui lavora. La sorpresa di questa commedia a sfondo sociale è un Tognazzi che dà prova della sua inesauribile versatilità di attore straordinariamente padrone delle sue reazioni e dei suoi toni. Come operaia, R. Schneider convince meno. Il fico migliore nel bigoncio di Bevilacqua da Parma.
La testata ha esordito in edicola il 14 aprile 1975 con il n. 1 preceduto da un n. 0 promozionale dello stesso mese e anno, ideato per sondare il potenziale gradimento da parte dei lettori. La rivista ebbe sin dall’inizio un’impostazione editoriale precisa: scelta di fumetti di scuola sudamericana, allora poco conosciuta, cura per la veste tipografica, corredo di rubriche di attualità. Inoltre nella pagina della posta (4 chiacchiere tra noi) il direttore Stelio Rizzo condusse la rubrica in modo innovativo: dialogava con i lettori anche su argomenti non esclusivamente fumettistici. Dopo la sua scomparsa, Filippo Ciolfi (già direttore di Skorpio) ha proseguito questa impostazione per alcuni anni, poi abbandonata in favore di una presentazione dei fumetti contenuti nel numero successivo e di saltuarie e occasionali brevi risposte ai lettori.
È su Lanciostory che sono state pubblicate la serie western Hud Kelly disegnata da Rodolfo Torti, su testi originali di Marco Di Tillo, e L’Eternauta, opera di fantascienza di Héctor Oesterheld e Francisco Solano López. I principali autori latinoamericani sono stati tutti ospitati sulle pagine di questa rivista contenitore. Il buon successo commerciale ha portato allo sviluppo di diversi progetti paralleli: pubblicazioni di serie monografiche, libri cartonati che ristampano le migliori storie apparse su Lanciostory e la gemella Skorpio. Tra il finire degli anni ottanta e l’inizio anni novantaLanciostory si è rivolto anche alla prestigiosa scuola franco-belga, pubblicandone molte storie, senza rinnegare le scelte iniziali. Dal 1998, inoltre, l’Eura Editoriale ha messo a disposizione nei suoi settimanali uno spazio di tutto rispetto e di alta visibilità per i fumetti di scuola italiana, cominciando con la pubblicazione di Napoli Ground Zero, che ha visto impegnati autori e disegnatori quali Lorenzo Bartoli, Roberto Recchioni, Cristiano Cucina e altri ancora.
Fra i principali personaggi va menzionato Dago, il popolare “giannizzero nero”, che ha una storia ormai pluridecennale e un albo monografico dedicato che pubblica storie inedite, appositamente create, più una ristampa cronologica delle sue avventure apparse sul periodico. Fra i grandi autori fatti conoscere al grande pubblico ricordiamo Paolo Eleuteri Serpieri, autore di numerose storie western per l’Eura.
In appendice pubblica le strisce della serie Beep Peep[3].
Un altro aspetto di grande rilievo è l’atteggiamento nei confronti dei fumetti come forma narrativa. Lanciostory e l’Eura in generale, come affermato nella rubriche della posta in molte occasioni, hanno sempre considerato il fumetto un medium con pari dignità rispetto agli altri, in grado di raccontare qualunque cosa, a una sola condizione: la buona qualità della fattura.
Dal n. 1 dell’anno 2010 Lanciostory viene pubblicato dalla casa editrice Editoriale Aurea, che ha preso in carico le testate Eura Editoriale alla fine del 2009, quando la proprietà dell’azienda è stata ceduta. Il nuovo team, composto dal direttore responsabile Enzo Marino e dal direttore editoriale Sergio Loss, provenienti dalla Eura, prosegue nella tradizione della testata pubblicando una selezione di fumetti italiani e stranieri.
Dal 1994 ospita la rubrica “Nuvolette”, scritta da Luca Raffaelli in cui, con grande ritmo e in maniera molto diretta, si intervistano fumettisti, si propongono riflessioni sul fumetto e il cinema d’animazione e si narrano alcuni dei più importanti festival internazionali del settore.
NOTA BENE: Questo è tutto quello che ho trovato, non chiedetemi altri numeri non presenti nella cartella.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.