Un regista di Taiwan sta per girare la storia di Salomè all’interno del Museo del Louvre. Non conosce le lingue ma vuole assolutamente che il ruolo di Erode venga assunto dall’attore Jean-Pierre Léaud. Perché il film possa trovare una distribuzione la produzione affida il ruolo di Salomè a una nota top model. I problemi però aumentano quando la madre del regista muore. La produttrice deve volare a Taipei per i funerali mentre il regista cade in un sonno profondo in cui lo spirito materno sembra non voler abbandonare l’appartamento in cui la donna ha vissuto. Alla produttrice non resta che attendere che il film riparta mentre i protagonisti si aggirano nei sotterranei del Museo.
Il ventenne Marc lavora come assistente parrucchiere in un grande salone frequentato da facoltose signore, nutrendo il sogno di diventare pilota da corsa. Per essere ammesso all’imminente competizione deve, tuttavia, procurarsi una Porsche 911 S: tenterà di ottenerla con ogni mezzo a sua disposizione, anche impegnando i capelli di una ragazza, forse, innamorata di lui. Nello stesso anno di Mani in alto!, il suo quarto lungometraggio bloccato dalla censura polacca, Jerzy Skolimowski gira in Belgio Il vergine, attirando su su di sé l’attenzione della critica internazionale. In breve, si tratta di un nuovo debutto, di una rinascita benedetta dal sole abbagliante della Nouvelle Vague, non soltanto per la presenza fisica di Jean-Pierre Léaud, perfettamente capace di comunicare insicurezza e determinazione, timidezza e una vena di sana follia.
Nella concitazione, nelle stranezze, nei bronci e nei sorrisi dell’attore prediletto da Truffaut, infatti, si specchia l’ombra lunga delle tecniche e delle teorie di “cinema diretto” del movimento francese, la volontà di rottura verso i metodi tradizionali, la rivoluzione del Godard più anarchico, con i suoi giochi da cinema muto, l’esuberanza e l’assurdità di una libertà ripetuta 24 volte al secondo. L’ansia di espressione del cineasta polacco, di fatto impossibilitato a continuare il proprio percorso in patria, pervade ogni sequenza, insegue i corpi e esplode nelle gag con il fine di raccontare l’apprendistato alla maturità, la “partenza” (come indica il titolo originale) verso l’età adulta di un ragazzo che non sa, o non vuole sapere, di essere già uomo: il sogno di Marc, così fortemente desiderato e ad un passo dall’essere realizzato, si rivelerà in tutta la sua inconsistenza in un dolce-amaro risveglio che ha il sapore dell’inevitabile cambiamento. Vitale e articolato impasto di profondità psicologiche e vezzi d’auteur con un velo di calibrata malinconia, Il vergine vale anche come documento di un’epoca, costituendo la punta di diamante della reazione diretta della Nouvelle Vague sulle cinematografie di Stato dei Paesi dell’Est da cui proviene il regista. Anche attraverso il corpo-icona di Léaud, dopotutto, Skolimowski continua – e forse qui conclude – quella strada di autobiografismo generazionale affrontata nei precedenti Segni particolari: nessuno, Walkower e Barriera. Vinse l’Orso d’oro al Festival di Berlino.
Giovane parigino ozioso che passa le sue giornate a leggere o a fare chiacchiere letterarie nei caffè di Saint-Germaine-des-Près si fa mantenere dalla più matura Marie, ma la giovane infermiera Véronika s’innamora di lui e, rimasta incinta, dopo un periodo di ménage à trois gli suscita il desiderio di una vita più responsabile. Dopo un avvio di commedia leggera dai dialoghi spiritosi, Eustache, al suo 4° film, ne fa un dramma da camera in cui, a cinepresa immobile e in lunghi piani-sequenza, i personaggi esprimono i loro sentimenti, il malessere, la difficile ricerca di una nuova morale. Al Festival di Cannes il monologo spregiudicato di Véronika diede scandalo. Scritto dal regista che morì suicida nel 1981. Fotografia: P. Phomme. Messo in onda più volte in “Fuori Orario” alla TV italiana.
Quattro apologhi sulla degradazione del matrimonio: “Prime nozze”, “Il dovere coniugale”, “Igiene coniugale”, “La famiglia felice”. Si parte da uno scherzo per arrivare a una beffarda anticipazione avveniristica. Quasi un compendio del primo Ferreri, sceneggiato con Diego Fabbri e Rafael Azcona, intento a descrivere con feroce precisione le aberrazioni causate dall’uso rituale e strumentale di un istituto, come il matrimonio, di cui non si sanno più perseguire i fini. Ridotto alla durata attuale dalla censura che impose 8 minuti di tagli.
La serie si svolge usualmente sulla nave Pacific Princess, in cui i passeggeri e l’equipaggio hanno avventure romantiche e divertenti. In alcune puntate furono usate navi differenti: la gemella Island Princess, la Stella Solaris (per una crociera nel Mediterraneo), la Pearl of Scandinavia (per una crociera cinese), la Royal Viking Sky (per crociere in Europa) e la Royal Princess (per una crociera ai Caraibi).
La particolarità della serie era costituita dal fatto che il cast dei passeggeri, che cambiava di puntata in puntata, era costituito da attori molto conosciuti, per la maggior parte negli Stati Uniti.
I personaggi fissi della serie erano i membri dell’equipaggio, ossia il capitano Merrill Stubing, la direttrice di crociera Julie McCoy, sostituita nelle ultime stagioni da Judy McCoy, il barista Isaac Washington, la figlia del capitano Vicky Stubing, aggiuntasi successivamente, il dottor Adam Bricker e il commissario di bordo, Burl Gopher Smith. Questi personaggi avevano ruoli e caratteri ben definiti. Il capitano, il barista e il dottore sono presenti in tutti i 249 episodi.
Un altro aspetto peculiare di Love Boat era il suo formato di scrittura: la puntata era divisa in segmenti differenti e ognuno di essi veniva scritto da un gruppo differente di autori che lavorava sul proprio gruppo di personaggi. Normalmente i segmenti erano tre: uno di essi era spesso incentrato su una coppia di passeggeri che proprio grazie alla piacevole crociera riusciva a superare la crisi matrimoniale o comunque sentimentale.
In Francia, verso gli inizi del 1650, il giovane Blaise Pascal è uno studioso molto abile ed intelligente che vive studiando i principi della matematica e della meccanica già introdotti da René Descartes (meglio noto come Cartesio), l’inventore del piano cartesiano e soprattutto promotore di una filosofia che racchiude le caratteristiche dell’inconscio e dell’essenza che agisce libera (Dio) e dell’essere che è costretto a finire e che non agisce liberamente (le creature viventi, in particolare l’uomo). Egli pubblica come prima opera un saggio di geometria e matematica in cui spiega le coniche che formerebbero una stella non di cinque bensì di sei punte. Tuttavia Pascal non viene compreso completamente dai coetanei, a causa del suo genio precoce.
1996. Algeria. Una comunità di monaci benedettini opera in un piccolo monastero in favore della popolazione locale aderendo all’antica regola dell'”Ora et Labora”. Il rispetto reciproco tra loro, che prestano anche assistenza medica, e la popolazione locale di fede musulmana è palpabile. Fino a quando la minaccia del terrorismo fondamentalista comincia a farsi pressante. Christian, l’abate eletto dalla comunità, decide di rifiutare la presenza dell’esercito a difesa del monastero non senza trovare qualche voce discorde tra i confratelli. Una notte un gruppo armato fa irruzione nel convento chiedendo che si vada ad assistere due terroristi feriti. Dinanzi al diniego vengono chieste medicine che vengono rifiutate perché scarse e necessarie per l’assistenza ai più deboli. Il gruppo abbandona il convento ma da quel momento il rischio per i monaci si fa evidente.
Una bambina buona e simpatica nasconde sotto le angeliche apparenze gli istinti di una feroce assassina (la nonna era una maniaca omicida). La piccola uccide un compagno di scuola per rubargli la medaglia e brucia vivo un uomo di fatica che la sospetta del delitto. La madre, sconvolta, medita di eliminarla perché non ammazzi più.
Eureka è un film del 2000 scritto e diretto da Shinji Aoyama. Presentato al Festival di Cannes 2000, ottenne la nomination per la Palma d’oro e vinse il Premio FIPRESCI e il Premio della Giuria Ecumenica.
In piccolo paese del Kyūshū un mitomane dirotta un autobus e giustizia quasi tutti i passeggeri. Scampano al massacro soltanto in tre: l’autista (il signor Sawai) e i giovanissimi Kozue e Naoki Tamura, fratello e sorella.
La serie narra le difficoltose vicissitudini di una tradizionale famiglia americana che vive in una sperduta fattoria, vicino a un paesino del Minnesota, nel periodo 1870–1890. Divisa in 9 stagioni, a cui si aggiungono un film pilota, un film speciale con spezzoni della serie e nuove scene, e tre film finali, i vari episodi toccano molti temi importanti e sempre attuali quali, ad esempio, l’adozione, l’alcolismo, il razzismo, le droghe, l’obesità, ecc.
Giandomenico Fracchia è un personaggio televisivo e cinematografico ideato e interpretato da Paolo Villaggio. Apparve per la prima volta nel programma Quelli della domenica nel 1968, ed è una delle tre principali maschere comiche di Villaggio assieme al professor Kranz e a Ugo Fantozzi.
Inviato da Londra ad Allenbury, l’ispettore di Scotland Yard John Clay deve indagare su una presunta rete di scommesse illecite che si svolgerebbero nell’ippodromo locale. Durante le indagini, Geoffrey Stewart, un ricco agente immobiliare della zona, scompare. A rapirlo, per poi ucciderlo, è il giovane Mark Paxton. Tutto sembra andare secondo i piani, finché il corpo di Geoffrey scompare. Poche ore dopo, un secondo cadavere appare in una pietraia. Per giunta vestito come il primo dei due morti ammazzati… Chi è morto e chi no?
Supercar Gattiger (超スーパーカー ガッタイガー Cho Supercar Gattiger?) è una serie televisiva anime giapponese creata da Hitoshi Chiaki (ispirata ad un manga di Hideharu Imamichi, pubblicato dalla rivista Terebi), e prodotta dalla Wako Productions. Si compone di 26 episodi e fu trasmessa dal canale Tokyo Channel 12 tra il 1977 e il 1978.
Il professor Kabuki presenta al mondo la sua nuova invenzione: il Gattiger, veicolo ad energia solare che si crea con l’unione di cinque auto. Durante la conferenza, il professor Kabuki nomina il team di piloti a cui è affidata la guida del prototipo e rivela al mondo il pericolo celato dietro l’organizzazione criminale dei “Demoni Neri”. Dopo l’annuncio, il professor Kabuki viene assassinato, e con la sua scomparsa il figlio Joe scopre che la madre, che si credeva morta, è in realtà viva e per trovarla dovrà affrontare la malefica scuderia. Da qui iniziano le sfide automobilistiche del cartone, sullo stile di Falco il superbolide: gare dalle condizioni più avverse e nei posti più ostili del Pianeta. I nostri eroi gareggiano per sconfiggere i Demoni Neri ed impedire a loro di conquistare il mondo tramite il monopolio dell’energia solare.
Basato sul blog, poi divenuto romanzo, di Kim Ho-sik. L’impacciato Gyun-woo si imbatte in una ragazza ubriaca e finisce accidentalmente coinvolto nelle sue disavventure. Man mano che la ragazza procura ogni genere di guai a Gyun-woo, quest’ultimo finisce per innamorarsene sempre più. Ostacoli invisibili ma persistenti, però, impediscono all’amore di sbocciare in libertà. Volendo trovare un modello esemplare di tutto ciò che rende speciale il miglior cinema popolare sui sentimenti dell’Estremo Oriente, per le stesse ragioni che decreterebbero il disastro in un’analoga produzione americana, My Sassy Girl calza come nessun altro. Divenuto negli anni prima successo di pubblico, poi cult e infine prototipo di commedia romantica con un tocco di insolito (ma le molteplici derivazioni non sono mai state neanche lontanamente all’altezza dell’originale), My Sassy Girl ha fatto storia per virtù forse poco appariscenti, ma rese indimenticabili dalla felice combinazione di casting e situazioni incastrate come in un mosaico che dà l’impressione di non poter essere riprodotto senza una sola tessera al posto giusto. La struttura è inusuale, con una suddivisione “sportiva” della narrazione in primo tempo, secondo tempo e tempi supplementari, ideale per poter alternare un registro basso – commedia quasi slapstick, a base di zoom e velocizzazioni, con gag talvolta ordinarie – e uno più solenne, in cui a prevalere è il melò come lo intendono laggiù in Corea. Ossia semplice e minimalista, senza mai lasciar trapelare la mano del burattinaio – solitamente pronto a estorcere lacrime dal pubblico con ogni mezzo – ma conducendo comunque per mano lo spettatore laddove l’intreccio desideri. Annegato nel sottotesto del film e camuffato tra i tentativi embrionali di sceneggiatura della protagonista – nascosto,proprio come i messaggi sepolti dei due amanti – risiede il segreto legato al racconto Shower di Hwang Sun-won e alle ragioni per cui il melò significa quintessenza di cinema coreano. My Sassy Girl riesce a spingere sul pedale del romanticismo e a tuffarsi nelle braccia del melodramma senza patemi d’animo proprio, perché sa indossare i panni della commedia (apparentemente) convenzionale e ingannare così se stesso come gli spettatori, grazie alle smorfie del pacioso Cha Tae-hyun (successivamente typecasted in questa sorta di maschera sociale del ragazzo indeciso se crescere davvero) e alle trovate di una poliedrica Jun Ji-hyun. Bellissima ma capace di “sporcare” il suo fascino al servizio di una parte complessa e stratificata almeno quanto lo è la vita stessa, la giovane Jun Ji-hyun sfoggia un talento abbacinante nel tratteggiare i molteplici risvolti di un personaggio in cui è il segreto che serba nel cuore a condizionare ogni azione, anche la più inspiegabile. Oltre due ore – il director’s cut ammonta a 137 minuti – senza l’ombra di una caduta di tono o di un innesto fuori luogo, come se Kwak Jae-yong avesse trovato la soluzione perfetta per un cocktail semplice negli ingredienti quanto impossibile da replicare per chi non sa centellinare adeguatamente le dosi. Superfluo aggiungere che dei vari tentativi di imitazione il peggiore è risultato il remake hollywoodiano, con Elisha Cuthbert a tentare vanamente di riprendere gesti e atteggiamenti della Ji-hyun.
Moglie di un diplomatico sconvolta dal suicidio del figlio dodicenne, Irene si accosta prima al marxismo e poi alla religione, dedicandosi a opere di beneficenza e allontanandosi dal suo ambiente finché, per soffocare lo scandalo, la chiudono in clinica. Scritto dal regista con S. De Feo, M. Pannunzio, I. Perilli, B. Rondi, fa parte – con Stromboli e Viaggio in Italia – di una trilogia delle donne inquiete che hanno in comune la solitudine. Diseguale, vanta momenti di grande intensità in una sceneggiatura un po’ rigida e dimostrativa. Fotografia: Aldo Tonti. Musica: Renzo Rossellini. Prodotto da Ponti/De Laurentiis (Lux), fu distribuito negli anni in diversi montaggi: impossibile stabilire la versione “originale”. A Venezia ’52 premio internazionale della giuria. Nel 2009 edito da Dolmen in 2 dischi. Edizione imperdibile che comprende un’intervista (40′) a Elena Dagrada, un documentario (60′) di C. Lizzani, interventi di giovani autori, un saggio di A. Aprà.
Nel consacrarsi a una passione che non sarà mai ricambiata, una romantica viennese trasforma la sua infatuazione per un pianista in un’ossessione amorosa che la consuma fino alla morte. Da un racconto di Stefan Zweig uno dei più squisiti “film di donna” della storia del cinema, immerso in un clima magico e, insieme, ossessivo. In mano d’altri poteva uscirne una storia sentimentale strappalacrime. Ophüls ne fa un capolavoro romantico.
Il lato oscuro è quello degli USA dopo l’11-9-2001, durante le 2 presidenze di Bush Jr. Il taxi è del contadino afghano Dilawar che si era messo a fare il taxista. Nel 2002 fu arrestato dalla Milizia Militare USA e 5 giorni dopo morì per le percosse e le torture subite, nella prigione di Bagram, come sospetto complice terrorista di Al Qaeda e dei talebani. Il ricorso alla tortura negli interrogatori, adottata dalla CIA e dall’esercito USA, è il tema centrale di questo nauseante e impietoso docudrama del documentarista Gibney ( Enron – L’economia della truffa ), frutto di una laboriosa inchiesta che dall’Afghanistan passa all’Iraq (le famigerate fotografie del carcere di Abu Ghraib) e alla sofisticata prigione di Guantanamo. Sfilano soldati che eseguirono gli interrogatori, 2 giornalisti del New York Times che fecero scoppiare lo scandalo, detenuti innocenti torturati, generali che trasmisero o permisero gli atroci abusi, il personale dell’amministrazione Bush, lo stesso Bush e i suoi principali consiglieri legali che riuscirono ad aggirare le regole della Convenzione di Ginevra per la tutela dei diritti dei prigionieri di guerra. Notizie preziose: l’FBI si dissociò dalla CIA; solo il 7% dei presunti terroristi furono catturati da forze USA; tutti gli altri denunciati e consegnati dagli alleati; nel carcere di Bagram la temperatura arrivò a 65 °C. Voce narrante: Luigi La Monica. Oscar 2007 per il documentario. Inosservato in Italia.
Gus è un ragazzino di 10 anni, che decide di fuggire di casa a causa del violento padre. Rompe così il suo salvadanaio, si autocostruisce delle prolunghe per le gambe per poter guidare, e ruba una Ford Mustang. Qui inizia il suo viaggio, ed il suo sogno, ovvero partecipare al “Motorama”, un concorso organizzato dalla compagnia petrolifera Chimera. Il gioco, aperto a tutti, consiste nel collezionare delle figurine che vengono date ogni tot di carburante acquistato presso una stazione della Chimera. In queste figurine possono celarsi delle lettere, ed il concorrente che riuscirà a completare la parola “Motorama”, potrà essere eleggibile per un premio di 500.000$
Quando Lee Long (Hiroshi Miyauchi), un campione di shorinji kempo e agente della narcotici di Hong Kong, scompare durante un’indagine sulle attività di una società fittizia chiamata Central Export, sua sorella, Tina (Sue Shiomi), viene chiamata a continuare le indagini al suo posto.
Uno scapolo impenitente affitta per le scappatelle di tre amici sposati un appartamento nel quale s’installa una bella sociologa che si fa passare per donnina di facili costumi e, tenendoli a bada, li studia. Commedia che vorrebbe essere pepata e cerca in affanno di diventare maliziosa senza riuscirci per colpa di un’inerte e prolissa sceneggiatura contro la quale gli interpreti lottano invano.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.