Dal 1° al 3 luglio 1863 a Gettysburg (Pennsylvania) si svolse la più grande e sanguinosa battaglia (cinquantamila morti) della guerra civile. Le truppe sudiste del generale Robert E. Lee furono sconfitte da quelle nordiste al comando del generale George G. Meade. Scritto dal regista e basato sul romanzo The Killer Angels di Michael Shaara, prodotto dalla società televisiva di Ted Turner, fu messo in onda nei Paesi anglofoni in 3 puntate; esiste una versione per l’homevideo che dura quasi 6 ore. Piuttosto accurato, dal punto di vista storico-militare, nella descrizione della battaglia, ne rimuove sistematicamente la crudeltà e l’orrore: le morti sono tutte gloriose, pulite, istantanee, così come sono tutti valorosi, nobili e in buona fede sia gli unionisti sia i confederati. Sulle ragioni della guerra totale? Silenzio. I personaggi principali sono il generale Longstreet (Berenger), sudista contrario alla schiavitù; il docente Joshua Chamberlain (Daniels), soldato in nome dell’abolizionismo; il capo supremo dei confederati R.E. Lee (Sheen).
Dopo alcuni anni nel carcere di San Quentin per omicidio l’ex combattente Roy Tucker (G. Hackman) viene fatto evadere e ospitato in una villa dove ritrova la moglie (C. Bergen). Gli si propone, in cambio dell’ottenuta libertà, di assassinare un importante uomo politico. Se rifiuta, ne andrà di mezzo la moglie. Epilogo tragico. Tratto da un romanzo di Adam Kennedy, è un altro film sulla sindrome del complotto, assai diffusa _ almeno al cinema _ negli anni ’70, con obliqui rimandi all’assassinio di John F. Kennedy e riferimenti espliciti a misteriose organizzazioni di cui la delinquenza organizzata sarebbe soltanto una delle componenti. A qualsiasi livello, è indifendibile.
Louie è una serie televisivastatunitense trasmessa dal 2010 al 2015 dal canale FX. La serie televisiva è scritta, diretta, interpretata, montata e prodotta dal suo stesso ideatore, il comicostand-upLouis C.K.,[1] che recita una versione fittizia di se stesso: un comico e padre divorziato che cresce le sue due figlie nella città di New York. La serie ha un formato piuttosto libero ed atipico, caratterizzato da storyline per lo più sconnesse e da segmenti (descritti come «sketch estesi»)[2] che ruotano attorno alla vita di Louie, intervallate da performance stand-up dal vivo. La serie è liberamente ispirata alla vita di Louis C.K., e lo mostra sul palco come un comico e giù dal palco come un padre di due bambine appena divorziato. Ogni episodio è costituito da due storie che possono essere collegate tematicamente o meno, oppure da un’unica storia che dura per tutto l’episodio, spesso composta da diverse scene connesse tra loro. Le scene sono intervallate da performance comiche originali di C.K., che solitamente hanno luogo in piccoli locali di cabaret di New York, tra cui Comedy Cellar e Carolines a Manhattan. Nella prima stagione vengono mostrate occasionalmente brevi conversazioni tra Louie e il suo terapeuta.
Le storie mostrate nella serie sono generalmente distinte le une dalle altre, anche se saltuariamente alcuni personaggi ricorrenti (come Pamela, amica di Louie) creano una fittizia continuity tra gli episodi. In varie occasioni, infatti, la continuità non è tenuta in considerazione. Ad esempio, in due differenti episodi vengono mostrate due attrici e due personaggi molto diversi per interpretare il ruolo della madre di Louie.[8] Come spiegato da C.K., «ogni episodio ha il proprio scopo, e semplicemente non importa se va a scombinare lo scopo di un altro episodio».[9] Alcune storie, inoltre, si svolgono al di fuori della normale linea temporale della serie, come nell’episodio God in cui Louie viene mostrato durante la sua infanzia, oppure in Oh Louie, che si svolge nove anni prima che iniziasse la sua carriera di comico. L’episodio pilota include sequenze di una gita scolastica e di un imbarazzante primo appuntamento, mentre gli episodi successivi affrontano una grande varietà di temi, tra cui il divorzio, il sesso, la depressione, l’orientamento sessuale e il senso di colpa cattolico.
Due fratelli camionisti, Joe e Paul Fabrini, sono sfruttati dal datore di lavoro. In un incidente Paul perde un braccio, mentre Joe è coinvolto in un processo di omicidio dalla moglie del principale che ha ucciso il marito. Da un romanzo di Albert Isaac Bezzerider, uno dei migliori polizieschi di taglio sociale che erano una specialità della Warner di quegli anni. Dialoghi scoppiettanti di Jerry Wald e Richard Macaulay, un quartetto di attori eccellenti.
Mary è una studentessa thailandese all’ultimo anno di liceo. Mentre prova a concentrarsi sullo studio per l’esame di maturità insieme all’amica del cuore Suri, la ragazza si ritrova ad affrontare cambiamenti improvvisi che sconvolgono la sua vita serena e la spingono a provare nuovi sentimenti d’amore. Le pressioni degli adulti sulla necessità di pianificare il futuro aumentano e le certezze acquisite sembrano crollare. Tra compiti in classe, lunghe chiacchierate con l’inseparabile amica e i primi batticuore, Mary si sforza di trovare la propria strada e di dare un senso alla sua vita, proprio nel momento in cui tutto sembra volersi sottrarre al suo controllo.
Una gang di 5 membri, guidata da Seok-Tae, rapisce un bambino di nome Hwa-Yi e i suoi membri crescono il bambino come loro figlio. Il bambino è ora di 17 anni e si è trasformato in un killer letale. Con la partecipazione all’attività criminale del padre, Hwa-Yi viene a conoscenza del proprio passato. Hwa-Yi mette mano alle proprie armi per scoprire chi è veramente.
Da un paese della Toscana nell’agosto 1944 un gruppo di uomini, donne e bambini fugge dai tedeschi nel rischioso tentativo di raggiungere la zona già occupata dall’esercito americano. Favola generosa di molte bellezze tra cui le immagini che come le rondini passano in folla, in continua oscillazione tra ricordi personali e memoria collettiva, cronaca e fantasia, epica ed elegia. Anticipa i temi di Claudio Pavone sulla Resistenza come guerra civile. Premio speciale della giuria a Cannes. Una delle 4 partiture musicali _ e la più calda _ scritte da Nicola Piovani per i Taviani. Fotografia: Franco Di Giacomo.
L’adolescente Mitsuko è costretta ad assistere mentre i genitori fanno l’amore. La madre la imprigiona in una cella dotata di uno spioncino. Quando la madre di Mitsuko muore, il padre obbliga la giovane a prendere il posto della compagna.
Dalla commedia (1956) di Diego Fabbri: bellina si fa passare per hostess in modo da comporre il mosaico della sua felicità alternando il suo amore fra tre uomini. Con l’aiuto di M. Fondato in sceneggiatura, il regista tenta inutilmente di cambiare senso alla programmatica pièce di Fabbri, ma l’operazione non gli riesce. Un aborto.
Coppia di coniugi inglesi ritrova, a contatto col Sud, una speranza di comunicazione e comprensione reciproca, uscendo dalla noia e dalla solitudine. Il migliore dei 4 Rossellini con la Bergman. Ignorato dal pubblico, poco compreso e strapazzato dalla critica italiana, esaltato da quella francese: “Con l’apparizione di Viaggio in Italia tutti i film sono improvvisamente invecchiati di dieci anni” (J. Rivette, 1955). Influenzò il cinema moderno degli anni ’60. “Seppe portare ad un altissimo livello il suo stile limpido, senza fronzoli, tutto aderente alle cose, alla realtà del momento, semplificando ancor di più, depurato da ogni incrostazione drammaturgica, il contenuto drammatico dell’azione” (G. Rondolino). Scritto, su una sceneggiatura quasi inesistente, da Rossellini e da Vitaliano Brancati. Fotografia di Enzo Serafin, Aldo Tonti, Luciano Trasatti con Aldo Scavarda operatore alla macchina. Vari titoli sul mercato anglofono: Strangers ; Journey to Italy ; The Lonely Woman ; Voyage to Italy .
Riccardo Finzi, diplomatosi detective per corrispondenza, viene a Milano e tra la scarsa fiducia generale si mette a indagare su un caso che la polizia non riesce a risolvere: l’uccisione in Brianza di una ragazza bene. Finzi risolve il “puzzle” e la polizia lo ringrazia come si fa con un grande detective da romanzo giallo
Ritratto in piedi del divo Giulio Andreotti (1919) all’epilogo paludoso della prima Repubblica, dal 1993, inizio del suo 7° e ultimo governo, al 1996, quando comincia il processo di Palermo. È un grottesco il 4° film di Sorrentino? In parte. Non è neanche satirico, se non verso i fedeli della sua corrente. È un dramma, questo ritratto di un personaggio blindato in cui il volto e la maschera sono inscindibili. Di un politico che si assume la responsabilità di praticare il Male per difendere e promuovere il Bene in favore dei cittadini – sudditi? – ignari. Di qualcuno che chiude in sé la forza simbolica del potere, quella reale di chi ha segnato 50 anni di storia italiana e una complessità psicologica tale da renderlo enigmatico e inquietante. Con qualche forzatura espressionista Servillo lo impersona in questa direzione in bilico tra realtà e mito, tra l’immaginario popolare e il giudizio impietoso che ne dà il Moro in disparte di Graziosi. Persino le ciniche battute che snocciola a ripetizione sono enigmatiche: frutto d’intelligenza, ma non di pensiero. Escluso Aldo Moro, non a caso solo due personaggi sono rispettati in quanto umani, la moglie (Bonaiuto) e la segretaria (Degli Esposti). È un dramma dissonante: diverte in superficie, ma in profondità impaurisce. Premio Speciale della giuria a Cannes 2008. 4 Nastri d’argento: regia, sceneggiatura (Sorrentino), attore protagonista e produzione; 7 David di Donatello: attore protagonista, attrice non protagonista (Degli Esposti), fotografia, musica, trucco, acconciatore, effetti visivi.
John Knox è un killer a contratto con due dottorati di ricerca (letteratura inglese e Storia degli Stati Uniti) a cui è stata diagnosticata una forma di demenza chiamata ‘malattia di Creutzfeldt-Jakob che non si può curare e che gli sta facendo perdere rapidamente la memoria. Prende accordi per incassare gli ultimi soldi prima di ritirarsi dall’attività e decide di portare a termine un ultimo lavoro con il suo partner Thomas Muncie. Ma qualcosa va storto.
Modesto cassiere di un supermercato lui, ‘eccellente’ avvocato lei, Ernest e Angela cenano insieme quasi per caso. Lui vorrebbe rivederla, lei no. Ma il destino decide altrimenti. Fermati dalla polizia lungo una strada deserta di Cleveland, un controllo di routine degenera.
Un film di Apichatpong Weerasethakul. Con Banlop Lomnoi, Sakda Kaewbuadee Titolo originale Sud Pralad. Drammatico, durata 118 min. – Francia, Thailandia 2004.
Due amici, di cui uno militare. Un’amicizia che si trasforma in amore gay e che vede poi uno dei due andare a cercare se stesso negli occhi di una tigre nel buio della foresta. Raccontato cosi’ “Sud Pralad” sembra un film criptico ma non se ne deve dire di piu’ per consentire allo spettatore di godere dell’atmosfera che lo penetra come l’aria umida della Thailandia. Film dai tempi dilatati ma al contempo densi perche’ costituiti dalla crescita di un tempo interiore che e’ quello della scoperta del sentimento e del mistero dell’essere piu’ profondo.
Il fiume Inguri segna il confine naturale tra la Georgia e la Repubblica di Abkhazia. I secessionisti hanno reclamato questa porzione del paese, cacciando brutalmente i georgiani che la abitavano. Proprio lungo questa tormentata frontiera, in primavera, lo scioglimento del ghiaccio dà vita a piccole isole itineranti, che si fanno e si disfano a seconda delle stagioni e dei capricci della natura. Un vecchio contadino e sua nipote adolescente si installano in questa terra di nessuno, costruendo una precaria baracca di legno, per coltivarvi il necessario per sopravvivere al rigido inverno. Quando sull’isola compare un ribelle ferito, il già fragile equilibrio di questa insolita coppia si spezza pericolosamente. Quello diretto dal georgiano George Ovashvili è un film che indaga tra le pieghe dei conflitti. In primo luogo, il difficile rapporto tra uomo e natura, cristallizzato nel tentativo ancestrale di dominare, a mani nude, un ambiente riottoso, pronto a sottrarre con violenza ciò che un attimo prima aveva dato. In seconda battuta, c’è la lotta fratricida tra due popoli, che si manifesta nella presenza dei soldati georgiani che pattugliano il confine con le loro barchette, alla ricerca dei ribelli. Sopraggiungono molesti, così come il rumore degli spari nella notte, a turbare la quiete della vita del contadino, scandita solo dai ritmi di un lavoro paziente, in balia della natura. Il terzo contrasto, non meno importante, è quello tra la prudente saggezza dell’uomo anziano e l’incosciente desiderio di emozioni della nipote sulla soglia dell’adolescenza. La routine lenta e faticosa che li unisce, al contempo li divide, determinando il sentore strisciante di una deflagrazione che non si consuma mai veramente. Almeno non a parole, in un’opera dove gli sguardi, le inquadrature – carrellate o movimenti di macchina a mano – e la fotografia in 35 mm – contano molto più dei dialoghi, ridotti all’osso per l’intera durata del film. Un film da festival, in cui la sceneggiatura è scarna, al pari delle battute, e il ritmo è dilatato. Un film dove l’immagine ha la meglio sulla parola, esibendoci, in tutto il suo crudele splendore, una natura tanto generosa quanto capricciosa. Il regista ce la mostra con estremo realismo, ai limiti del documentario. I due attori protagonisti contribuiscono a rafforzare questa poetica del reale, agendo davanti alla macchina da presa con grande naturalezza, parlando solo con gli occhi: solcato, lui, dalla fatica dell’età e dalle intemperie della vita – ma nonostante tutto determinato e teneramente preoccupato per la nipote – e animata, lei, da un bisogno di vita che la spaventa e la incoraggia al contempo. In questo deserto di comunicazione, non è tanto la parola a mancare, quanto le risposte alle domande che questa storia incompiuta di uomini suscita. Curiosità e desiderio di emozioni più forti che il regista non soddisfa, interessato più ai capricci della natura che a quelli degli uomini.
La moglie di un professore a Monaco di Baviera ha un amante. Accortasi che lui l’ha fatta spiare e ha scoperto il tradimento, decide di uccidersi, ma cambia idea. Dal racconto Angst di Stefan Zweig. Sceneggiato con Sergio Amidei e Franz Treuberg, è il 5° e ultimo film di Rossellini con Ingrid Bergman e riflette la situazione di disagio in cui si trovavano. Il suo tema centrale è di nuovo l’incomunicabilità e l’incomprensione nella vita di coppia che, unito a quello della paura che opprime la donna infedele, dà al film “una tensione esistenziale che, pur nello schema rigido del racconto, accoglie una molteplicità di suggestioni” (G. Rondolino) e permette il passaggio dal privato al pubblico con una complessa scrittura registica di tragica intensità e di moderna penetrazione psicologica. Sottovalutato dai critici, ignorato dal pubblico. I. Bergman in gran forma. Rossellini ne girò 2 versioni, in tedesco ( Augst ) e in inglese ( Fear ); quella italiana, la migliore, è un incrocio delle due. Ne esiste un’altra – distribuita nel 1958 come Non credo più all’amore – più romanzata, con dialoghi cambiati.
Giappone, dalle parti di Fukushima. Vessato da un padre crudele, violento verbalmente e fisicamente, e da una madre assente, Sumida sogna la normalità dell’uomo comune. Chazawa invece sogna Sumida, difficile oggetto d’amore che richiede di essere domato oltre che catturato. Famiglie disfunzionali e teenager in difficoltà, squassati da istinti autodistruttivi, si vedono spesso su grande schermo e il tema men che mai è nuovo per il talentuoso Sono Sion, specie dopo l’abbraccio cosmico (e sostanzialmente definitivo) di Love Exposure. Ma quel che sconcerta – e che lo allontana da controparti occidentali dedite all’esplorazione di ambiti apparentemente similari (Solondz, Clark, Korine) – è la robustezza dell’idea di cinema che c’è alle spalle, l’impatto visivo e uditivo di opere che non temono di scalare su differenti registri narrativi e stilistici, anziché adagiarsi su ammiccanti cliché, per gridare il proprio insanabile dolore.
Il lombardo Nullo e la siciliana Carmela, operai in una fabbrica, s’innamorano. La donna, intossicata da esalazioni venefiche, muore. Nullo la vendica. Comencini taglia, alleggerisce alla lombarda il vino meridionale ad alto tasso alcolico di Ugo Pirro (soggetto e sceneggiatura) in una love story proletaria diseguale, ma ricca di momenti espressivi. Imperfetto, ma anche imprevedibile sullo sfondo di una suggestiva e malinconica Milano della cintura operaia. Fu capito dai critici francesi a Cannes, e la Sandrelli, di nuovo siciliana e doppiata controvoglia, è bravissima.
Il Servizio Segreto incarica Natalino, ex partigiano, ex detenuto di sinistra, ex idealista, di eliminare una spia ex nazista di passaggio a Roma. Scritto da due esperti sceneggiatori, Benvenuti e De Bernardi, il film è divertente, ha buon ritmo, ma è troppo pallottoloso e arruffato nella ricerca del finale giusto. Bravo Manfredi, ma anche il contorno dei caratteristi è saporito.
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