Stella Dallas è una giovane ragazza di provincia che subisce un forte colpo alla morte del padre. Per risollevarsi dalla sua disperazione sposa, forse troppo in fretta, l’altolocato Stephen, con il quale non ha nulla in comune. Dopo la nascita della figlia, Laurel, i due coniugi si separano e prendono strade diverse. Stephen fa ritorno a New York ma presto Stella si rende conto che sua figlia non avrà mai buone possibilità di crescere in maniera sana se resterà con una madre sola e incapace a badare a lei.
Una figlia del popolo sposa un giovane aristocratico, ma presto lo disgusta con i suoi modi rozzi. Anche la vita della figlia forse sarebbe rovinata da quella madre sboccata e volgare, se questa, comprendendo i problemi della ragazza, volontariamente non si escludesse dalla sua vita, pur di farla felice.
Un vecchio astronomo, Mel, una notte viene colpito da una luce abbagliante, che sveglia tutti gli abitanti della città, e riconosce la profezia della nascita del Salvatore. Insieme a molti pellegrini si mette in viaggio sino alla città imperiale, in una lunga marcia che dura sei giorni e sei notti, mentre tanti stanchi e sfiduciati abbandonano. Dopo aver incontrato altre due carovane, e seguiti dalle truppe del preoccupato tiranno, giungono infine alla culla del Bambino, tra le rovine di un castello, dove depongono i doni prima di fuggire avvisati da un altro prodigio. Metafora ambiziosissima, ma poco riuscita, di Olmi sul difficile cammino dell’umanità verso la salvezza.
Nella comunità ebraica di Montréal 1948 l’arrampicata sociale del giovane Duddy Kravitz che s’inventa imprenditore, speculatore finanziario, produttore cinematografico per realizzare il suo sogno di radicamento, integrazione e ricchezza, sacrificandogli parentele, amicizie, amori. Da un romanzo (1959) del canadese Mordechai Richler che ha brio e ritmo, quasi per intero costruito sui dialoghi, adattato dall’autore. Con American Graffiti , lanciò un bravissimo R. Dreyfuss, ma lo sono altrettanto D. Elliott come regista e R. Quaid, innocente sempliciotto. La riduzione privilegia la dimensione comica del romanzo, mettendo la sordina ai suoi significati sociali. Orso d’oro a Berlino 1974.
Due agenti della Buoncostume di Los Angeles, piuttosto anticonformisti, sono incaricati di un’indagine su una squillo d’alto bordo e su un night-club dove si spaccia droga. 1° film di Hyams che veniva dal giornalismo televisivo. È un poliziesco svelto, vivace, divertente, ma convenzionale, di livello medio. Fu criticato negli ambienti gay perché mette in caricatura gli omosessuali.
Una prostituta ha ucciso il suo cliente per legittima difesa. I parenti, timorosi dello scandalo, cercano di evitare un processo dimostrando la sua infermità mentale. Ma la donna si ribella. Lei è perfettamente sana di mente (il babbo adottivo magari ha qualche tara…) e ottiene il proseguimento del dibattito.
Con poca voglia ma parecchia obbedienza alla madre, Giulio entra in un collegio prestigioso per rampolli benestanti. Dalle sembianze asburgiche, la struttura è una nota palestra per la futura classe dirigente, rigida e spietata. Il ragazzo è immediatamente attratto da Edo, dalla personalità a lui opposta, anticonformista e incline alla ribellione. In complicità si oppongono al bullismo imperante e in totale segretezza, iniziano a trascorrere nottate in un locale di prostitute. Gli effetti attesi non tarderanno a presentarsi.
Da un manga di Akimi Yoshida. Abbandona moglie e figlie per fuggire con l’amante. Poi anche sua moglie scappa per rifarsi una vita. Le sorelle Sachi, Yoshino e Chika restano sole nella casa della nonna materna. Quando il padre muore, si recano al funerale e conoscono la 13enne Suzu, che lui ebbe con la nuova compagna, e decidono di accoglierla con loro. Il funerale è l’occasione per le 3 sorelle di intraprendere un viaggio di crescita personale nei ricordi. L’incontro con una sorella minore mai vista risveglia un istinto familiare che va al di là di qualunque pregiudizio e colpa genitoriale. Il cinema di Hirokazu è un placido e tranquillo fluire della vita. Il regista caratterizza i suoi personaggi con tratti di semplicità e quotidianità che catturano lo spettatore. Un’opera delicata, senza colpi di scena clamorosi e a effetto, che racconta, come in un diario di una città di mare (dal titolo originale), l’intrecciarsi di esistenze normali e, proprio per questo, splendide.
Parigi nel 1943, sotto l’occupazione nazista, un povero diavolo tira a campare facendo la borsa nera. Una notte deve trasportare quattro valigie in cui è nascosta della carne di maiale e, bisognoso di un compare, assolda un tizio conosciuto da poco. Costui è un pittore affermato che ha accettato solo per provare il brivido dell’avventura e molte volte durante il trasporto si ficca volutamente nei guai, con grande preoccupazione del poveraccio, cavandosela sempre grazie alla sua faccia tosta. Alla fine i due sono fermati dai tedeschi e, mentre il pittore verrà salvato da un ufficiale che ammira i suoi quadri, il borsaro nero finirà deportato. Alcuni anni dopo i due si rincontreranno.
Una donna nella sabbia bagnata ,si lascia trascinare dalle onde del mare e dopo poco emette un urlo di disperazione e liberazione.In questa sequenza iniziale c’e’ tutto il film di medea.Von trier ,dopo epidemic, torna alla macchina da presa e dirige un film decisamente interessante e profondo,prendendo la sceneggiatura di dreyer e riadattandola con delle sue creazioni personali.
Dalla tragedia (431 a.C.) di Euripide: abbandonata da Giasone, Medea, regina barbara della Colchide, ricorre alle arti magiche per far morire la rivale Glauce e completa la vendetta, uccidendo i due figli avuti dall’argonauta. È il 4° e ultimo film tragico e mitico di Pasolini, “mescolanza un po’ mostruosa di un racconto filosofico e di un intrigo d’amore” (P.P.P.) e occasione per affrontare il tema del passaggio dal vecchio mondo religioso-metafisico al nuovo mondo laico-pragmatico. Una metafora sul Terzo Mondo affidata alla disponibilità tragica (e insoddisfacente) della Callas. L’eclettismo figurativo e il gusto della contaminazione di Pasolini rivelano qui i loro limiti: è, forse, il più manieristico, squilibrato, algido dei suoi film, sicuramente il più ideologico.
Morto d’infarto da quattro giorni, Antony Zyro, avvocato difensore degli affiliati a Solidarno47 &3 (vittime della legge marziale del governo guidato dal generale Wojciech Jaruzelski) assiste non visto alle azioni della moglie Ursula, del figlio Jacek, degli avvocati che si occupano dell’operaio Dariusz, accusato di aver organizzato uno sciopero non autorizzato. 1° lungometraggio di Kieslowski scritto con Krzysztof Piesiewicz, suo coautore per Decalogo , e con le musiche di Zbigniew Preisner, è un amarissimo film di costruzione spiraliforme che cerca di coniugare un appassionato e dialettico impegno civile con una quieta tenerezza sul versante dei sentimenti e un’incursione nel territorio dello spirito. Com’è evidente nel personaggio della moglie e nel finale, qui la morte diventa “l’espressione concreta di ciò che è senza fine , e del fermarsi del tempo nell’eternità affettiva della memoria” (S. Murri). Sotto il segno di un onirismo funebre, è una storia d’amore attraversata dalla continua presenza di una casualità enigmatica, premonizioni, gesti fortuiti. In Polonia uscì nel 1986: fu attaccato dalla Chiesa cattolica per motivi etici, dal Partito e dall’opposizione per ragioni politiche.
Famoso industriale e attrice scompaiono alla stessa ora e nelle stesse circostanze. Ricompaiono e scompaiono due volte, tornando con un annuncio extraterrestre: al bando le armi atomiche! Col suo cinema della facilità e dell’imbroglio, adornato di brillanti paradossi e di esercizi di prestigio, Lelouch porta la sua pietruzza alla causa del disarmo nucleare.
Regista teatrale in crisi esistenziale e ossessionato dalle malattie e dall’idea della morte, Caden è circondato da un esercito di donne: la moglie Adele, pittrice che parte per Berlino con la figlioletta, Maria la (presunta?) amante di Adele, la sua psicanalista preoccupata solo dai suoi libri, la bella Hazel. Dopo una carriera di sceneggiatore Kaufman passa alla regia e sembra voler infilare in un solo film tutto quello che ha visto e imparato in una vita: il risultato è prolisso e ripetitivo. Ripescato dopo 6 anni, in seguito alla morte di Hoffman.
Montréal, dicembre 1989. Valérie, brillante studentessa all’École Polytechnique, sogna di diventare ingegnere aeronautico, nonostante le resistenze di superiori burocrati che ritengono incompatibili l’essere donna col fare carriera. Non la pensa diversamente ma in maniera più radicale uno studente del Politecnico, che armato di fucile e follia irrompe nell’Ateneo sparando e uccidendo soltanto le ragazze. Sopravvissuta miracolosamente all’attentato, Valérie proverà a ricostruirsi una vita in un mondo di uomini. Michael Moore nel suo Bowling a Columbine sosteneva che gli americani si ammazzano a revolverate tra loro molto più che in qualsiasi altro posto del mondo (quaranta persone vengono uccise ogni giorno da un’arma da fuoco negli States). Aveva provato ad analizzare in profondità le cause che conducono a questo scempio: le politiche sociali USA, il razzismo latente, la cultura della violenza. Per verificare le proprie convinzioni si era addirittura spinto fino alla periferia dell'”impero”, indagando sulla presenza delle armi nel territorio canadese e scoprendo che in Canada le morti da arma da fuoco sono centonovantasei all’anno contro gli undicimila degli Stati Uniti. Curioso che nel documentario, prodotto nel 2002, il filmaker in bermuda tacesse, o peggio omettesse, l’attentato all’École Polytechnique di Montréal, così prossimo a quello compiuto nel liceo di Columbine di Littleton in Colorado. Falsificata la verità per ottenere il suo obiettivo retorico, sette anni dopo ci pensa il film di Denis Villeneuve a scoprire il dark side del Québec, raccontando una giornata terribilmente qualsiasi in un ateneo che assomiglia a troppi. Il film come il suo assassino, entra armato e disarmante in una scuola senza chiedere permesso, cammina, osserva, si insinua nelle aule dove l’attentato rivelerà il segno apertamente antifemminista e misogino. L'”elefante” nella stanza separò gli studenti dalle studentesse, rivendicando il carattere politico del suo gesto, determinato a condannare il femminismo e il femminile. Polytechnique non è soltanto la gelida cronaca del martirio di quattordici persone ma una riflessione in bianco e nero sul potere coercitivo e sulla dittatura culturale che gli uomini hanno imposto alle donne. Una violenza trasversale e globale che colpisce il terzo mondo e non risparmia affatto il democratico occidente. Ogni risultato favorevole alle donne, ogni scatto di libertà femminile coincide con una regressione e una reazione maschile. Nonostante le migliori intenzioni e la nobile volontà di tenere viva la memoria di una strage efferata, Polytechnique smette troppo presto di denunciare per dare maggiore spazio al plot e alla resa spettacolare della morte. La morte delle protagoniste viene “esaltata” e sottolineata per lo spettatore da primi piani e dettagli, da effetti studiatissimi di luce e suoni che finiscono per mettere da parte la realtà dei fatti, producendo un vero e proprio shock. Una nota. Heidi Rathjen, una studentessa sopravvissuta del quarto anno dell’École Polytechnique, intraprese un duro braccio di ferro con il governo federale per ottenere una legge mirata allo stretto controllo delle armi da fuoco e al divieto delle armi d’assalto. La legge fu varata nel 1995 per poi essere obliata nel 2006 dal governo conservatore. In conclusione, il Canada sembra lontano dal paradiso e qualcuno dovrebbe dirlo a Michael Moore.
Nel Giappone studentesco degli anni ’60 e nell’ambito delle contestazioni, cresce l’amicizia tra Watanabe e la coppia formata da Kitsuki e Naoko. Quando Kitsuki si suicida, il dolore e la mancanza porteranno a un mutamento della relazione tra Watanabe e Naoko. Il compito era di quelli davvero ardui. Norwegian Wood è ormai libro-feticcio e racconto di formazione per moltitudini di giapponesi (e non solo), inesorabilmente conquistati dalla capacità di Haruki Murakami di rivolgersi a tutti pur trattando il più delicato dei temi, il sottile confine che separa l’Eros dallo Thanatos. Tran Anh Hung gioca, come è uso fare, di sottrazione, lavorando sul freno minimalista quando si tratta di scavare nelle passioni profonde che intercorrono tra i personaggi e lasciando che siano fotografia e musiche a condurre le danze.
Venne seguita da una seconda miniserie (V: The Final Battle) composta da 2 puntate e da una serie televisiva di 19 episodi, Visitors.
Decine e decine di dischi volanti giungono sulla Terra e si fermano sopra le principali città del nostro pianeta. Gli alieni prendono contatto con i terrestri e forniscono la spiegazione circa il loro arrivo: vengono dal quarto pianeta della stella Sirio e sono venuti sulla Terra in pace, bisognosi di alcune risorse che sul loro pianeta di origine stanno esaurendosi. Non tutti però sono disposti ad accettare la storia raccontata dai Visitatori al mondo intero. Fra questi, il reporter Mike Donovan, il quale sale di nascosto a bordo dell’astronave madre e si ritrova di fronte ad una realtà agghiacciante e pericolosa: gli alieni sono in realtà dei rettili, celati da un aspetto umano, che si cibano di animali ancora vivi.
In America Arcibaldo – interpretato da Carroll O’Connor – è un mito. Egli incarna tutti i difetti dell’uomo medio americano: è ignorante, pieno di pregiudizi razziali e sessuali, odia tutti coloro che disturbano la sua quiete domestica. E i primi a spezzare il silenzio che dovrebbe regnare sovrano sono la devota moglie casalinga Edith (Jean Stapleton), la figlia commessa Gloria (Sally Struthers) e suo marito Mike Stivic (Rob Reiner), un disoccupato polacco perennemente affamato che subisce una condanna terribile: vivere sotto lo stesso tetto del cinquantenne Arcibaldo, caposquadra ai docks della Pendergast Tool and Die Company. Quando torna a casa dal lavoro, Archie pretende che la moglie gli corra incontro e gli chieda “com’è andata oggi”; subito dopo siede nella sua poltrona (sulla quale non vuole si appoggi alcuno) e dice a Edith di portargli una birra. Tra i suoi passatempi preferiti c’è il tiro a segno nei confronti del genero Mike, che ha soprannominato senza affetto “testone”: ciò che Archie non gli perdona non è solo l’appetito; non gli perdona di essere di origini non americane (Arcibaldo è il personaggio più razzista della televisione: odia tutti i “diversi”, handicappati compresi); non gli perdona di essere liberal (quando Archie difende con calore Nixon e Reagan, la sola cosa che non gli va giù di Kissinger sta nel fatto che è tedesco); non gli perdona di essere uno studente (perché ritiene che la cultura sia non solo superflua ma addirittura dannosa, in ogni caso sostituibile da quel “buon senso comune” che non deve rispondere a tanti “perché?”; non gli perdona le effusioni con Gloria (lui che, quando Edith tenta di abbracciarlo, esclama irritato “non di fronte ai ragazzi”); ma forse più di tutto non gli perdona di essere penetrato, attraverso il matrimonio con la figlia, in casa sua, nel suo regno. Girata tutta in una stanza (il soggiorno), con qualche incursione furtiva in cucina o in camera da letto, una delle situation-comedy più popolari degli States trova il suo climax quando Archie entra in relazione con gli altri, che detesta nella loro totalità. In un’animata discussione con il genero, il nostro gli spiega che oltre la soglia di casa c’è “un mondo in cui cane mangia cane e il più cane vince”. I vicini sono i Jefferson, una famiglia di colore composta dal nevrotico George (Sherman Hemsley), dalla dolce Louise (Isabel Sanford), la migliore amica di Edith, e Lionel (Michael Evans), l’amico di Mike e Gloria
Mancano diversi episodi soprattutto nella seconda stagione ma è tutto quello che ho trovato.
Un film di Walter Hill. Con Isabelle Adjani, Bruce Dern, Ryan O’Neal, Ronee Blakley Titolo originale The Driver. Giallo, durata 90 min. – USA 1978. MYMONETRO Driver l’imprendibile valutazione media: 3,31 su 12 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Gioco di inseguimento fra il “Driver”, uno spericolato guidatore che si guadagna da vivere facendo l’autista per le rapine, e l’implacabile nevrotico poliziotto che ha giurato di acciuffarlo. Il detective non esita a organizzare una rapina (ricattando alcuni malviventi) all’unico scopo di far uscire il “Driver” allo scoperto.
Un uomo, costretto all’immobilità da un grave disturbo, è persuaso che la moglie lo tradisca con un ex innamorato. Per vendicarsi spedisce al procuratore distrettuale una lettera nella quale accusa la moglie di volerlo assassinare con la complicità dell’amante.
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