Come suggerisce il sottotitolo, ” La guerra in tasca ” , è una piccola storia personale; una storia secondaria incentrata sulle esperienze di un ragazzo di undici anni durante la Guerra di un anno e sulla sua comprensione del vero significato della guerra. Una svolta significativa per il franchise di Gundam all’epoca, Gundam 0080 ha ricevuto ampi consensi dalla critica.
India Stoker è una ragazza sensibile e introversa, che vive con la famiglia in una bella villa isolata nella campagna americana. Il giorno del suo diciottesimo compleanno, l’amato padre muore in un incidente e, a casa Stoker, si presenta lo zio Charlie, fratello più giovane del padre, della cui esistenza India è sempre stata tenuta misteriosamente all’oscuro. Il sudcoreano Park Chan Wook debutta in lingua inglese con un cast e un copione che sembrano di sua diretta emanazione, tanto rispondono alle caratteristiche di eleganza, claustrofobia sociale e confidenza con l’inquietudine che fanno da sempre il suo cinema. Come già in Thirst non c’è scandalo alcuno nel vampirismo secondo Park. Il morso è quello del desiderio, al quale i personaggi del film non possono resistere, anche se ognuno di loro imparerà a suo modo a gestirlo. E non c’è sangue, in scena: l’arma rappresentata dalla cintura ha, anzi, la funzione del laccio emostatico, che trattiene, rigonfia, prepara. Sostituiscono il liquido rosso: il vino, di cui lo zio Charles è intenditore, e l’inchiostro nero delle lettere da lui vergate, che si porta appresso la reminiscenza del romanzo epistolare che rese (Bram) Stoker immortale (e in questo capitolo, leggerissimo, appena accennato, possiamo annoverare anche il ragno che si arrampica sulle gambe di India, possibile trasformazione zoomorfa del nuovo inquilino). La prima metà del film contiene le soluzioni visive più interessanti e la sensazione che tutto possa accadere; probabilmente la sensazione più importante, e oggi più rara, che lo spettacolo cinematografico possa riservare. La rivelazione della natura eccezionale della protagonista apre il film, ma impiegherà poco meno della sua intera durata per esplicitarsi. Siamo, infatti, anagraficamente e metaforicamente – come sempre in questi casi- sulla soglia della maturazione, della fuoriuscita dalla bambagia dell’infanzia e della scoperta di sé, innescata dal primo turbamento sessuale. Ma Park, appunto, non racconta la deflagrazione, preferendo concentrarsi sul momento preparatorio, sull’accumulo della tensione e della domanda. In questo senso, il triangolo domestico tra il pericoloso zio Charlie, la silenziosa ragazzina sul punto della ribellione e la patetica vedova di plastica incarnata da Nicole Kidman è carico di efficaci echi hitchcockiani e nabokoviani e dà luogo ai momenti più espressionisti e riusciti del film. Parabola della liberazione dalla morsa ereditaria, attraverso il suo superamento e parziale inglobamento, Stoker , giunto a maturazione, anziché chiudersi su se stesso si apre alla vita, in un finale diurno, splendidamente fotografato.
Young Goon è un cyborg, Il-Soon un ladruncolo che fa proprie le caratteristiche dei volti altrui. O almeno, così credono. Entrambi vivono in un ospedale psichiatrico dalle pareti verdi (e imbottite), trascorrendo le giornate insieme ad altri particolarissimi pazienti: una donna decisamente sovrappeso che divora tutto il cibo che le capiti a tiro, un ragazzo che ritrova la sua dimensione camminando all’indietro, “malati” che – ciascuno a suo modo – creano a loro immagine e somiglianza, qualcosa di congeniale per passare il tempo. L’universo di Park Chan Wook, dopo la consacrazione a icona mondiale del cinema (grazie alla trilogia della vendetta e all’apprezzatissimo Old Boy) torna, per sua stessa ammissione, “ad assomigliare a un giardino di infanzia, dove le ossessioni dei bambini possono, talvolta, non coincidere con la visione del mondo pretesa dagli adulti”. Proprio in questa metafora si gioca la boutade di I’m a Cyborg, But That’s Ok, nel tentativo di ritrovare un gioco spassoso con cui catturare lo spettatore, lasciando il sospetto, però, di non riuscire appieno nell’intento.
Da Parigi, François torna nel villaggio della sua infanzia per curare i postumi della tubercolosi. Appena arrivato, incontra un vecchio amico diventato panettiere e intravede Serge, minato dall’alcolismo forse per via dell’infelice matrimonio con Yvonne, che gli ha dato un figlio nato morto, ed è di nuovo incinta. Mentre stringe una relazione con la diciassettenne Marie, François cercherà di prendersi cura di Serge, mettendolo davanti alle sue responsabilità. Considerato il primo film della Nouvelle Vague, La beau Serge coniuga una sceneggiatura improntata al dramma sociale con i ricordi personali di Claude Chabrol che, dopo la militanza critica nei Cahiers du cinéma, poté esordire grazie ad un’eredità inaspettata avuta dalla moglie. È lo stesso regista a tornare, così come vediamo fare al protagonista, nel paese di Sardent (Creuse) in cui aveva trascorso l’infanzia durante i quattro anni dell’Occupazione, imparando a conoscere una realtà fatta di giovani amori e alcolismo sociale. L’attaccamento squisitamente affettivo, eppure svegliato dalla distanza critica di chi ha conosciuto anche la vita in città, è uno dei motivi di maggior interesse di un lavoro capace di dare veridicità ai luoghi mostrati, licenziando una topografia filmica del tutto affidabile in cui lo spettatore è, da subito, immerso. Nulla sembra essere cambiato nel villaggio, non il dottore incapace, non l’affittacamere impicciona, non i giochi in piazza dei bambini, eppure la mancanza di realizzazione ha segnato la vita dell’amico Serge, uno che “soffre più di tutti gli altri”, e una diffusa assenza di speranza non porta più fedeli a partecipare alle messe di un sacerdote comprensivo e disilluso: François, interno ed esterno al luogo, tenta nel miglior modo di rendersi utile, di attivarsi in favore del bene anche a rischio di minare la propria integrità emotiva e fisica, si pensi soltanto a quella sequenza finale che riecheggia Bresson. Vagamente ispirato all’amico Paul Gégauff, il personaggio di Serge rappresenta per Chabrol il simbolo del tempo perduto, in un’impressionante continuità tra diario personale e riscrittura drammatica che è cuore pulsante di un’opera imperfetta, ma sempre coinvolgente, illuminata da momenti magici, la nevicata, e argute notazioni antropologiche, la festa da ballo. Con un budget iniziale irrisorio, poi rimpolpato da un salvifico premio di qualità, La beau Serge venne presentato al Festival di Cannes fuori concorso, riscuotendo consenso di pubblico anche nella successiva distribuzione in sala: il successo inaspettato, spinse Chabrol a lanciarsi in fretta nella produzione di I cugini con la stessa troupe. Interpreti di entrambe le pellicole, Jean-Claude Brialy e Gérard Blain diventano, in breve, il volto del nuovo movimento, prima di Jean-Pierre Léaud e Jean-Paul Belmondo. Un esordio dolente e sincero.
Storia di uno sceriffo messicano che, per riscuotere 100 dollari, ammazza dodici uomini. I 100 dollari sono, ovviamente, un simbolo: l’eroe ammazza per legittima difesa e gli tocca in premio persino la ragazza. Tratto da un romanzo di Elmore Leonard, girato in Spagna e diretto da un noto regista di Broadway al suo esordio nel cinema, è apprezzabile per l’uso dello spazio e dei paesaggi montagnosi (fotografia di Gabor Pogany), l’attenzione ai particolari tattici, insolite soluzioni narrative, qualità che non riscattano del tutto la convenzionalità di fondo.
Per ogni pellicola uscita sul mercato italiano vengono dati oltre al titolo tradotto, quello originale, dati sulla produzione, l’anno di uscita i nomi del regista e degli interpreti principali oltre alla trama e ad una piccola analisi critica. Concludono la panoramica del film la durata, suggerimenti per gli spettatori (adulti, ragazzi, bambini, ecc), e giudizi del pubblico e della grafica. Sul libro stampato ci sono descritti circa ventimila titoli mentre sul cd-rom si arriva a ventiquattromila, in quest’ultimo trovate circa settemila schede corredate di fotografie di scena o riproduzioni della lodandina.
Il libro
È composto da 2048 pagine oltre alle descrizioni dei film trovate anche una selezione di cortometraggi, particolarmente italiani e di recente produzione, che sono stati segnalati ad alcuni festival. Negli indici invece trovate titoli originali,, autori, registi affermati, ma anche attori principali. Non mancano informazioni su premi Oscar, migliori film con maggior attenzione a quelli della Mostra del Cinema di Venezia. Sono anche riportati i maggiori siti internet che si occupano di cinema.
I Cahiers du cinéma sono la più prestigiosa rivistacinematograficafrancese. È stata fondata nell’aprile 1951 da André Bazin e Jacques Doniol-Valcroze, raccogliendo l’eredità della Revue du cinéma e riunendo i membri di due circoli cinematografici parigini: Objectif 49 (Robert Bresson, Jean Cocteau and Alexandre Astruc, etc.) e il Ciné-Club du Quartier Latin. Tra i collaboratori figuravano Eric Rohmer, Jacques Rivette, Jean-Luc Godard, Claude Chabrol e François Truffaut. Gli articoli dei Cahiers reinventarono le basi della critica cinematografica. L’elaborazione della politica degli autori riconobbe per la prima volta il valore dei film hollywoodiani di Alfred Hitchcock, Howard Hawks, Robert Aldrich, Nicholas Ray, Fritz Lang, e Anthony Mann, ma soprattutto di registi come Jean Renoir, Roberto Rossellini, Kenji Mizoguchi, Max Ophüls e Jean Cocteau, in polemica con il cinema francese del periodo. L’articolo di Truffaut Su una certa tendenza del cinema francese (1954) è considerato il manifesto del movimento cinematografico originato dagli ex-redattori dei Cahiers passati alla regia, detto Nouvelle Vague. Dopo Eric Rohmer, caporedattore dal 1957 al 1963, la guida passò a Jacques Rivette. L’attenzione si spostò dagli Stati Uniti alle cinematografie nazionali emergenti, mentre si faceva avanti una politicizzazione che esplose in particolare nel 1968. I Cahiers furono guidati, per qualche anno, da un collettivo di ispirazione maoista. Più tardi, con Serge Daney e Serge Toubiana, le posizioni politiche si sono gradualmente smussate, ma non si è ridotta l’influenza critica della rivista, né la sua capacità di produrre, dalle file dei suoi collaboratori, nuovi registi francesi (André Téchiné, Leos Carax, Olivier Assayas, Patrice Leconte). Nel 1998, Le Editions de l’Etoile (la casa editrice dei Cahiers) è stata acquisita dal gruppo Le Monde. Quest’ultimo nel 2008 ha ceduto la società editrice al gruppo anglosassone Phaidon Press. La rivista è stata diretta da Jean-Michel Frodon (affiancato da Serge Bozon) fino al 2009. Il comitato di redazione è formato da Hervé Aubron, Stéphane Delorme, Charlotte Garson, Ludovic Lamant, Elisabeth Lequeret, Thierry Lounas, Vincent Malausa, Thierry Meranger, Cyril Neyrat, Eugenio Renzi, Jean-Philippe Tessé, Antoine Thirion. Nel luglio 2009 Stéphane Delorme rimpiazza Frodon come caporedattore ed è affiancato da Jean-Philippe Tessé.
Tutto il cinema dalla A alla Z è il biglietto da visita del “Mereghetti” che torna in libreria in edizione aggiornata, in tempo per fungere da strenna natalizia. Il Dizionario dei film 2011 si presenta nella consueta versione corposa ed editorialmente curata in tre volumi, contenuti in cofanetto. I primi due riportano le schede dettagliate di 25.000 pellicole – tutto il meglio della cinematografia mondiale dai fratelli Lumiére all’ultimo Leone d’Oro di Venezia, consegnato fra le polemiche a Sofia Coppola, regista di Somewhere, e al campione d’incassi Inception di Christopher Nolan. Come prova dell’incessante “lavoro dietro le quinte” condotto da Paolo Mereghetti con il suo gruppo di affiatati collaboratori, basterà aggiungere che, rispetto alla precedente edizione, nel nuovo “Mereghetti” sono stati inseriti 4.000 nuovi lemmi. Ogni film si presenta corredato da una sorta di “carta d’identità” comprensiva del titolo in italiano e di quello originale, dell’anno e luogo di produzione, della durata e del cast principale. Ogni lemma è completato dalla sinossi e da un approfondito giudizio critico. Immancabili, poi, le classiche “stellette”, vero marchio di fabbrica del “Mereghetti”, in grado di comunicare al lettore con un colpo d’occhio il giudizio complessivo sull’opera.
Da una nave giunta da Orano a New Orleans sbarca un armeno, sospetto portatore di peste, e viene subito ucciso. Un medico coraggioso e la polizia cercano di bloccare una possibile epidemia. Serpeggia il panico. Un “nero” di prima classe, di taglio semidocumentaristico. Suspense, atmosfera, azione, e una suggestiva descrizione dell’ambiente portuale nello stupendo bianconero di Joe McDonald. Oscar per il soggetto a Edward e Edna Anhalt.
Nell’U.C.0096, il conflitto noto come “incidente di Laplace” si è concluso con lo scioglimento del gruppo di reduci di Neo Zeon “Maniche”. Sia il Gundam Unicorn che il Banshee sono stati presumibilmente smantellati. Con la rivelazione del testo originale della “Carta dello Universal Century”, l’esistenza dei newtype e dei loro diritti è diventata di pubblico dominio. Un anno dopo, nell’U.C. 0097, nulla è però cambiato nella sfera terrestre, nonostante queste rivelazioni. La ricomparsa dell’unità RX-0 Gundam 3 Phenex, “fratello” dell’Unicorn e del Banshee, due anni dopo la sua scomparsa, porta la Federazione Terrestre a lanciare l’operazione “Phoenix Hunt” per catturare il mobile suit. Il ministro Monaghan Bakharov della Repubblica di Zeon dirige segretamente un’unità Zeon con lo stesso obiettivo servendosi dell’ufficiale operativo Erica Hugo. Mineva Lao Zabi, la principessa fantoccio di Zeon, intuisce le ambizioni di Monaghan, ma non è in grado di intervenire direttamente.
All’inizio siamo in presenza del solito serial killer. Ma ben presto l’attenzione si sposta su Tracy, una Nicole Kidman abilissima nel delineare un personaggio ambiguo che si confronta senza falsi pudori con le dark lady del noir riuscendo a non sfigurare.
Il film racconta i fatti fondamentali della carriera e della vita privata di Alì. Si parte dal 1964, dal primo incontro con Liston che diede a Clay il titolo mondiale dei pesi massimi. Il match era truccato ma nel film non viene detto. Viene accreditata la tesi che fu Malcolm X a portare il campione sulla via dell’Islam. Il gran capo dei musulmani neri riceve il ragazzo e gli cambia il nome. Alì, chiamato alla armi rifiuta di partire. Sono gli anni del Vietnam. Il pugile dice la famosa frase, che gli costerà cinque anni di inattività, “i Vietcong non mi hanno fatto niente”. Non può più combattere. Rimane senza un dollaro. Il gran capo religioso lo espelle. Lo riprende quando Alì tornerà a combattere con borse miliardarie. A Kinshasa, nello Zaire, viene organizzato l’incontro del secolo, con Foreman. La città africana, preferita a New York e Las Vegas, assume un altissimo valore simbolico. È il 1974, Alì ha 32 anni e ritorna in possesso del titolo. Il film si chiude col campione esultante sul ring. Mann, nonostante la trama fortemente cinematografica, non ha colto l’occasione.
Un film di Joachim Trier. Con Anders Danielsen Lie Titolo originale Oslo, 31. august. Drammatico, durata 95 min. – Norvegia 2011. MYMONETRO Oslo, August 31st valutazione media: 1,50 su 1 recensione.
Anders ha 34 anni, è un bel ragazzo e proviene da una famiglia per bene ma è profondamente tormentato per aver sprecato molte opportunità nella vita e aver deluso le persone intorno a lui. Ora si avvia alla conclusione del suo programma di disintossicazione dalla droga, in campagna. Nell’ambito di questo programma è autorizzato ad andare in città per sostenere un colloquio di lavoro. Anders approfitta dell’occasione per trattenersi fuori la notte, girovagando e incontrando le persone che non vede da molto tempo. Indagine emotiva e quasi fisica di una crisi esistenziale, il film di Joachim Trier, nonostante la buona regia, morbida, e la prova eccezionale del protagonista Anders Danielsen Lie, è un film sbagliato perché manca completamente l’obiettivo prefissatosi. L’intenzione di Trier è quella di mostrare come, nella verde, giovane e ricca Norvegia, dove pare che non esistano possibili storie da raccontare, i conflitti interni alla classe media esistono eccome. Le possibilità di scelta rispetto al proprio futuro, altrove negate in partenza, qui sono moltiplicate e possono sollevare aspettative non facili da soddisfare e grandi drammi. Eppure, l’impressione che non può non cogliere, alla visione di Oslo, August 31st , è proprio che la storia non ci sia, neanche tra le pieghe dell’osservazione e del pedinamento. I gesti di Anders non si scartano mai neanche un secondo da un percorso più che noto -la ribellione, l’alcool, il furto-, che sarà probabilmente obbligato nella vita ma non al cinema. La sua lenta marcia verso l’immobilità finale viene posta a contrasto con il dinamismo sociale della città e la sua incapacità di darsi una nuova identità, pacificata e “pulita”, col suo mutare rapidamente e continuamente forma. Ma anche questo è un discorso abbozzato, col ricorso alle immagini in Super8 dell’inizio, e non portato né in lunghezza né in profondità. Un’occasione mancata.
Due butteri maremmani (in fuga dopo una maledetta rapina) vagabondano per la Toscana (siamo negli anni del Risorgimento) facendo strani incontri. Notevole esordio del giovane Lucchetti che realizza un “conte philosophique” alla Voltaire (cioè un discorso serio sotto vesti di favola) ambientato in un’Italia mai esplorata dal cinema.
Nei suoi ultimi anni, Rossellini dichiarò d’aver perso la fiducia nel cinema e di volersi dedicare soprattutto a produzioni televisive didattiche. Questo è il primo e, forse, il migliore. Assistiamo alla morte del cardinal Mazarino; alla decisione del giovane re di governare da solo; all’arresto, eseguito da D’Artagnan, dell’intendente alle finanze Fouquet; al trasferimento della corte a Versailles; alle innovazioni, tutte originate da motivi politici, nella moda e nel cerimoniale di corte.
Non ho trovato migliore di questa comunque accettabile nonostante sembri un vhsrip
Regia di Kou Matsuo. Un film Titolo originale: Kidô Senshi Gandamu Sandaboruto Dissenba Sukai. Genere Animazione – Giappone, 2016, durata 70 minuti. Uscita cinema martedì 16maggio 2017 distribuito da Nexo Digital. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 Valutazione: 3,00 Stelle, sulla base di 1 recensione.
Ambientato nella stessa Guerra di un Anno al centro della serie originale con Amuro Rey (in Italia noto anche come Peter) e Char Aznable, Mobile Suit Gundam: Thunderbolt – December Sky è però una produzione recentissima che racconta della battaglia in un remoto settore Thunderbolt. Qui la colonia spaziale terrestre di Side 4 è stata distrutta all’inizio della ribellione di Zion, che ora ne presidia le macerie con alcuni cecchini sui mobile suit Zaku. La federazione vuole però riprenderne il controllo e sfrutta la rabbia e la disperazione dei sopravvissuti di quell’attacco, tra cui spicca Io Fleming che vive ormai solo per la battaglia. Il suo rivale è Daryl Lorenz della Living Dead Division, ossia una pattuglia composta da reduci di altre battaglie che hanno subito amputazioni e per cui gli Zaku sono un modo di ritrovare la mobilità. Un conflitto spaziale dunque raccapricciante tra chi porta su di sé orrende ferite psicologiche e il complesso del sopravvissuto, e chi invece è fisicamente menomato ma è comunque obbligato a combattere, dove l’amputazione degli arti che finisce per diventare una grottesca risorsa.
Il costo della guerra è da sempre del resto il tema cardine della saga di Gundam, che non si è mai tirata indietro neppure dal mostrare la perversa esaltazione che suscita in chi combatte. E questo non è forse mai stato così vero come in questa nuova versione, che nasce da un manga, diventato poi una serie originale per il canale internet di Sunrise. Dai quattro episodi che ne costituiscono la prima stagione (la seconda è iniziata da poco e concluderà il 30 giugno 2017) è stato ricavato, con l’aggiunta di alcune nuove scene, il lungometraggio Mobile Suit Gundam: Thunderbolt – December Sky che infatti si chiude su una specie di trailer degli eventi futuri, dove il conflitto si sposterà dallo spazio alla Terra. Il film preferisce puntare sulla spettacolarità piuttosto che sui personaggi, tanto che il loro passato è solo velocemente raccontato per Io Fleming, figlio del sindaco di Side 4 che si è suicidato, o accennato in forma di sequenza onirica per Daryl Lorenz, che ricorda quando aveva ancora le gambe e correva sulla spiaggia. Ancora meno definite sono poi le figure femminili, da una parte una comandante che ricorre agli antidepressivi, dall’altra una dottoressa obbligata a usare la sua conoscenza per scopi bellici, per non dire dei personaggi secondari.
Mobile Suit Z Gundam (機動戦士 Z ガンダム,Kidō Senshi Zēta Gandamu?) è una serie televisivaanime di 50 puntate, prodotta dalla Sunrise nel 1985; appartiene alla saga dell’Universal Century di Gundam. Anno 0087 UC, sette anni dopo la fine della Guerra di un anno. All’indomani degli eventi narrati in Mobile Suit Gundam 0083: Stardust Memory (prequel realizzato successivamente), l’esercito della Federazione Terrestrecrea un corpo speciale di élite denominato Titani per dare la caccia ed eliminare le sacche di resistenza di Zeon. La brutalità dei metodi terroristici adottati dai Titani per raggiungere i loro scopi fa nascere in risposta due gruppi di resistenza, l’AEUG (Anti-Earth Union Group – Gruppo anti Unione Terrestre) e la sua emanazione terrestre Karaba (guidata dall’ex membro della Base Bianca Hayato Kobayashi e del quale farà parte anche Amuro Ray), che affronteranno la Federazione in quella che viene chiamata la Guerra di Gryps. La serie inizia con Char Aznable, diventato membro dell’AEUG con l’alias “Quattro Bajeena“, che attacca una base militare dei Titani nella colonia occupata di Green Noah a Side 7 per raccogliere informazioni sul nuovo prototipo di mobile suitfederale, il tipo RX-178 Gundam Mark II. Kamille Bidan, un giovane ed impulsivo newtype che vive nella colonia, si ritrova coinvolto suo malgrado ed aiuta l’AEUG a trafugare il Mark II. Infine si unisce all’AEUG, prima come pilota del Mark II, quindi come pilota del nuovo Mobile Suit Z Gundam (creato dall’AEUG e basato su un’idea di Kamille). Lo scontro tra le parti vedrà in un secondo momento l’ingresso in campo di una terza forza, quella di Axis, l’asteroide su cui alla fine della Guerra di un anno si erano rifugiati i sostenitori degli Zabi e della restaurazione del Principato di Zeon, guidati dalla giovane Haman Karn, reggente della piccola Mineva Zabi. Lista Episodi
Allo scopo di rilanciare la serie TV, nel 1981 Yoshiyuki Tomino e Yoshikazu Yasuhiko la ripresero traendone tre lungometraggi: Mobile Suit Gundam e Mobile Suit Gundam II: Senshi hen, distribuiti nel 1981, e Mobile Suit Gundam III: Meguriai uchū hen, proiettato nel 1982. Ognuno dei tre film ripercorre in ordine cronologico una parte della serie TV ed è composto soprattutto da animazioni tratte dalla stessa, anche se Tomino e Yasuhiko ritennero che alcune cose potevano essere migliorate. Furono così modificati diversi aspetti della sceneggiatura, ritenuti poco realistici e più adatti a una serie di super robot. Il G-Armor, ad esempio, viene completamente eliminato e rimpiazzato dai più realistici caccia di supporto Core Booster; nella tappa a Jaburo, ad Hayato viene fatto assegnare un Guncannon per sostituire il Guntank, che è un mezzo da combattimento terrestre; nel terzo film, infine, vennero aggiunte diverse nuove scene sulle battaglie di Solomon e di A Baoa Qu. La trilogia cinematografica è stata distribuita anche negli Stati Uniti, mentre in Italia i 3 film sono stati pubblicati anch’essi dalla Dynit direttamente in DVD
Mobile Suit Gundam F91 (機動戦士ガンダムF91,Kidō Senshi Gundam F91?) è un lungometraggio di animazione giapponeseprodotto dalla Sunrise nel 1991, il secondo ambientato nell’Universal Century della saga di Gundam. Edito in Italia dalla Dynit nel 2011, nel 2006 la Star Comics ne aveva già pubblicato anche l’adattamento manga, realizzato in un unico tankōbon da Daisuke Inoue nel 1991. Gundam F91 segna il ritorno alla saga dell’Universal Century dello staff di base della prima serie storica Mobile Suit Gundam, con Yoshikazu Yasuhiko al character design e Kunio Okawara al mecha design, nel tentativo di rilanciarla con un nuovo ciclo di avvenimenti e nuovi personaggi. Progettata inizialmente come una serie televisiva di 50 episodi, l’opera venne più prudentemente adattata in un film cinematografico per sondare il pubblico, tuttavia, sebbene qualitativamente eccellente, la pellicola non riuscì nell’intento, concedendo troppo a trame già sfruttate in precedenza, e il progetto venne definitivamente abbandonato.[1] È l’anno 0123 UC, sono ormai passati trent’anni dall’ultima rivolta delle colonie guidata da Char Aznable, ma il seme dell’indipendenza è ancora vivo tra gli abitanti dello spazio. Una nuova organizzazione militare, la Crossbone Vanguard, esce allo scoperto per rivendicare l’autonomia delle colonie orbitali.
La Federazione Terrestre è colta di sorpresa dall’attacco lanciato per occupare le colonie di Side 4, ribattezzato Frontier, e così Frontier IV cade in breve tempo in mano alla milizia. Tra gli sbigottiti abitanti della colonia c’è il giovane studente di ingegneria Seabook Arno, che, oltre ad assistere impotente alla morte di molti suoi amici, nella circostanza scopre anche la vera identità della ragazza di cui è innamorato, Cecily Fairchild, la quale in realtà è Berah Ronah, erede della potente famiglia a capo della Crossbone Vanguard. Nel susseguirsi degli eventi Seabook ritrova anche la madre, scienziata di fama creduta morta, che invece si era isolata per lavorare ad un nuovo mobile suit, il cui nome in codice è Gundam Formula 91. Imbarcatosi su una corazzata federale, Seabook accetta a malincuore di pilotare il Gundam, per scoprire così di essere un potente newtype capace di determinare le sorti del conflitto insieme alla ragazza che ama.
Mobile Suit Gundam: Il contrattacco di Char (機動戦士ガンダム:逆襲のシャア,Kidō senshi Gundam: Gyakushū no Char?) è un lungometraggio di animazione giapponese prodotto dalla Sunrise nel 1988, ambientato nell’Universal Century della saga di Gundam. Nel 2005 la Star Comics ne ha pubblicato in Italia l’adattamento manga realizzato in un unico tankōbon da Koichi Tokita nel 1999, mentre l’edizione italiana del lungometraggio è stata pubblicata da Dynit. Char’s Counterattack è il primo lungometraggio originale ambientato nell’Universal Century, preceduto solo dalla riduzione cinematografica della prima serie Mobile Suit Gundam in tre film di montaggio. Segue in ordine cronologico la serie TV Mobile Suit Gundam ZZ del 1986 e vede il ritorno di Yoshiyuki Tomino ai registri seri e drammatici che connotano le prime due serie (Mobile Suit Gundam e Mobile Suit Z Gundam), presentando il confronto finale tra i due personaggi principali, Amuro Ray e Char Aznable. Il film è anche la prima produzione della saga di Gundam in cui viene impiegata la computer grafica, seppure in una sequenza di pochi secondi in cui si osserva una colonia ruotare lentamente nello spazio. È l’anno 0093 UC, sono passati quasi quattordici anni dalla fine della Guerra di un anno, ma nella Sfera Terrestre la pace è ancora un miraggio. La situazione nelle colonie spaziali è sempre tesa e Char, disperso da tempo, si è rifatto vivo come leader di Neo Zeon, la compagine già erede delle istanze di indipendenza dell’ex Principato fondata da Haman Karn.
Per raggiungere i propri scopi egli non esita a mettere di nuovo in pratica la tattica di far precipitare corpi celesti sulla Terra, al fine di causare una nuova era glaciale che ripulisca il pianeta da un’umanità ormai parassitaria. A contrastare i suoi piani c’è la Londo Bell, un corpo speciale dell’Esercito federale in cui milita anche Amuro Ray, che però fallisce nel tentativo di impedire la caduta dell’asteroideLuna 5 su Lhasa, in Tibet, dove ha sede il Governo federale. Grazie a questo micidiale colpo, Char costringe la Federazione ad un negoziato di pace durante il quale ottiene l’assegnazione di Axis, ormai in disuso, in cambio di un’ingente quantità d’oro e la consegna della propria flotta. In realtà, però, Char sta ingannando la Federazione Terrestre: invece di navi vere, invia al punto di rendez-vous una flotta di navi-fantoccio e nel frattempo si impossessa dell’arsenale nucleare stipato su Luna 2 per sistemarlo su Axis prima di lanciarla contro la Terra. La Londo Bell scopre però il piano ed ingaggia una durissima battaglia intorno all’asteroide, riuscendo solo in parte a vanificare l’azione di Char, il cui mobile suit Sazabi viene comunque distrutto da Amuro Ray con il nuovo RX-93 ν Gundam. Quando però tutto sembra perduto, con l’enorme roccia in caduta libera verso il pianeta, l’azione disperata di Amuro a bordo del suo mobile suit, aiutato da decine di altri dell’una e dell’altra parte, riesce nel deviarne la rotta. Il destino finale di Char e Amuro resta sconosciuto.
Non l’ho trovato nel mio archivio, lo sto cercando
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