Due squinternati investigatori cercano un ladro di gioielli nel mondo del teatro della rivista: pretesto per riproporre una collana di scenette comiche degli anni ’50. Girato nel 1954 alla ICET di Milano e distribuito soltanto 5 anni dopo, è, come film, inesistente: soltanto pellicola impressionata. Sfilano Raimondo Vianello, Tino Scotti, le sorelle Nava, Bruno Dossena, The Rocky Mountains All Time Stompers.
Berit è una ragazza che è già finita in riformatorio a causa di una difficile vita familiare. I genitori provano una profonda ostilità l’uno per l’altra e la madre ha nei suoi confronti una proiettività priva di amore. La ragazza, dopo aver tentato il suicidio, incontra un marinaio rientrato a Goteborg al quale si concede in breve tempo. L’uomo è tentato di non rivederla ma poi inizia con lei una relazione che la spinge a confidarsi raccontandogli un passato che suscita la sua gelosia retroattiva. Giunto alla sua quinta regia Bergman mostra qui una particolare attenzione al cinema neorealistico italiano. Rossellini sembra essere la sua fonte d’ispirazione in un film in cui gli esterni sono soprattutto dedicati a mostrare la quotidianità del lavoro in una città portuale. Questa scelta favorisce una riflessione che, partendo dalla vita di coppia e dai sentimenti (o dalla loro distorsione), si apre a una denuncia dell’assetto sociale di una società come quella svedese considerata da molti in Europa come un modello. I primi ad essere sottoposti alla lente d’ingrandimento sono i servizi sociali e coloro i quali si occupano delle giovani da ‘redimere’. Ne viene rilevata la scarsa attenzione nei confronti della ricerca delle cause di ciò che viene considerata devianza in favore di una rigida applicazione delle regole. Ciò su cui però decide di appuntare con forza la propria critica è il doppio regime in materia di aborto. Berit avrà modo di denunciare esplicitamente che l’aborto clandestino viene praticato a due livelli: quello garantito e in guanti bianchi per i ricchi e quello a rischio della vita per chi non si può permettere i costi del primo. Il finale è di quelli a doppia lettura: apparentemente posticcio e troppo solare lascia comunque aperta una domanda nello spettatore sul futuro dei due protagonisti che restano comunque dei soggetti non allineati al conformismo del tempo.
I subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Girato da Buñuel in un momento di transizione, questo film è uno dei meno noti e riusciti del grande regista. Valerio, medico condotto in Corsica, deve difendere un amico, Renzo. Costui, cacciato dal fondo che lavorava, ha perso la moglie stroncata della fatica e si è vendicato uccidendo il ricco padrone.
L’audio nella versione italiano non è granché purtroppo.
Negli anni ’20 Cornelius, vanaglorioso critico musicale, fa visita a Felix, violoncellista di fama mondiale, per completare la sua biografia. Nella grande villa neoclassica, mentre Felix rimane invisibile, ne incontra la moglie e sei donne, tutte innamorate di lui. 26° film di I. Bergman, il 1° a colori (preziosa fotografia di Sven Nykvist), 4ª e ultima delle sue commedie con risvolti di farsa grottesca (l’irresistibile sequenza dei fuochi artificiali). Più che nelle altre, è evidente la contaminazione col teatro: tolti 5 minimi movimenti, la cinepresa è ferma. Nel suo libro Immagini (1990-92) I. Bergman lo sbriga in tre righe, definendolo “completamente artefatto”. Quasi tutti i critici lo maltrattarono, accusandolo persino di cattivo gusto, nonostante l’ineccepibile eleganza stilistica. È sicuramente la sua commedia più acida e sbeffeggiante, un divertito tiro al bersaglio contro i critici, ma non sono risparmiati censori, impresari, artisti. E donne. Da affissione una battuta attribuita a Goethe: “Il genio è colui che riesce a far cambiare idea a un critico”.
Sconvolta dalla morte accidentale di una giovane ammiratrice (Johnson), l’attrice Myrtle Gordon (Rowlands) continua a vederla in allucinazioni angoscianti ed è sull’orlo di un esaurimento nervoso. Sta collaudando una nuova commedia _ The Second Woman, scritta da un’anziana commediografa (Blondell) _ di cui non è soddisfatta perché troppo seriosa. Con l’aiuto del primo attore (Cassavetes), già suo amante, risolverà la situazione con l’ironia. Al suo 9° film Cassavetes elabora il suo paradosso sull’attore, mettendo in scena il Teatro come istituzione ufficiale al pari della Famiglia, centro dei suoi interessi di autore. La tesi, fin troppo esplicita, è che si recita nella vita quotidiana, mentre il teatro diventa il momento liberatorio della verità cui si arriva se si ha una conoscenza diretta della realtà e la si accetta in modo attivo. Disposto su 3 livelli che s’intersecano (vita, teatro, fantasia o allucinazioni), dà l’impressione, nella 2ª parte, di una certa prolissa verbosità. In questo film d’attori recitano tutti bene con l’eccezione di G. Rowlands che recita benissimo.
Dal romanzo Robinson Crusoe (1719) di Daniel Defoe. Un marinaio sopravvissuto a un naufragio approda a un’isola deserta alle foci dell’Orinoco e si organizza la vita prima da solo, poi con un selvaggio che battezza Venerdì. Nel suo 1° film a colori, che usa anche in funzione onirica, Buñuel fa un film sul silenzio (anche di Dio), la solitudine, la fraternità (ribaltando la funzione ideologica dei 2 personaggi), iniettandovi un tocco di sensualità.
Il segreto di Luca è una miniserie televisiva trasmessa dalla Rai nel 1969, basata sull’omonimo romanzo di Ignazio Silone edito nel 1956. Tratta di un’intricata storia di onore e sentimenti, nella quale un innocente viene condannato all’ergastolo. Affiorano problematiche umane e sociali di una società legata a valori morali e all’onore.
Luca Sabatini ritorna al suo paese dopo 40 anni di carcere, graziato perché il vero autore del delitto di cui era stato accusato ha confessato in punto di morte la propria colpa. Il suo ritorno coincide con l’arrivo in città di un uomo politico, Andrea Cipriani, il cui padre era grande amico di Luca. Dal momento in cui incontra Luca, Andrea abbandona i suoi impegni politici per occuparsi del caso dell’uomo, che, pur essendo innocente, aveva preferito non difendersi al processo. Egli indaga interrogando Don Serafino, l’ex-parroco di Cisterna, Ludovico, il mugnaio del paese, e sua moglie Agnese. Poi si reca a Perticara, il paese vicino, dove chiede informazioni a Gelsomina, la sorella di Lauretta, al tempo fidanzata di Luca.
Grazie all’aiuto di Don Serafino, Andrea scopre l’esistenza di una relazione di Luca con una donna sposata, Ortensia, di cui ritrova anche un diario. Rimane comunque irrisolto il mistero di dove l’uomo abbia trascorso la notte del delitto. Lo stesso Luca gli rivelerà il proprio segreto, per ringraziarlo del suo interessamento e per avergli consegnato il diario.
In un futuro imprecisato Tokyo è un territorio diviso tra gang rivali, con la polizia inerme a osservare le gesta dei delinquenti. Signore e padrone della rete malavitosa è il disgustoso Lord Buppa, dedito al cannibalismo e a sordide pratiche sessuali. Quando la figlia di una gang straniera, a Tokyo in incognito, finisce prigioniera di Buppa, tra le bande rivali si scatena la guerra, a colpi di mazze da baseball e rime hip hop.
Anno 0088 UC, la guerra civile tra l’AEUG ed i Titani si è appena conclusa con lo smantellamento della élite militare federale, ma Haman Karn ed i reduci di Zeon di base sull’asteroide Axis sono ancora intenzionati a far rivivere la gloria del Principato e degli Zabi. Proclamatisi Esercito di Neo Zeon dichiarano quindi guerra alla disastrata Federazione Terrestre, ma si troveranno di fronte ancora una volta l’AEUG. L’organizzazione è però uscita decimata dallo scontro precedente e, bisognosa di forze fresche, non esita a reclutare anche giovanissimi piloti, come il quindicenne raccoglitore di detriti di Shangri-La, una colonia di Side 1, di nome Judau Ashta, ed i suoi amici. Insieme piloteranno i mobile suit del Gundam Team, tra cui il nuovo potentissimo MSZ-010 Gundam ZZ.
Un bandito, d’una ferocia così esagerata da apparire quasi comica, rapisce una ragazza. Un commissario, altrettanto violento, non riesce ad incriminarlo.
“Voi siete pieni di voglia di vivere. Io sono qui per dirvi no. Per morire”. Forse bisogna partire da questa dichiarazione programmatica per accostarsi al nuovo ultrapoliedrico pastiche dell’84enne Godard, che più invecchia più è avant-guardist , più spinge il suo innato sperimentalismo all’estremo. Impossibile, e comunque da tradimento, esporne una trama. È un collage anarchico di schegge di storie, analisi, aforismi, citazioni, immagini, suoni. Una sorta di Blob impazzito d’alto livello. Si può azzardare che protagonista ne è Roxy, il cane di Godard, araldo del “cinismo” (gli antichi cinici greci si fregiavano dell’appellativo “cani”), cioè di una filosofia della libertà assoluta basata sul rigetto totale della “civiltà” (“La TV fu inventata lo stesso anno in cui Hitler fu eletto cancelliere”). Ma ancor più che nei contenuti è cinico nella forma, un esempio attuale di “parresia”, cioè della capacità di dire, senza peli sulla lingua, verità scomode e irritanti: Godard usa 7 telecamere a diverse velocità, e quindi la stereoscopia e quanto di più avanzato e sofisticato la tecnologia offre, compreso il 3D, per bombardare la vista e l’udito dello spettatore con un fuoco di fila di urtanti, frastornanti, esasperanti provocazioni audiovisive. Eppure, in questo disorientante e respingente caos lucidamente organizzato, di quando in quando balenano visioni di sublime, lancinante bellezza, “alcuni momenti di grazia in un mare di cinismo intellettuale”. È, come altri film godardiani, un “vaniloquio narcisistico”, un esercizio di “nuova retorica del vuoto”? Oppure è un “film mistico” perché vuole azzerare tutte le false verità che ci assordano e ci assoggettano per aprirci a qualcos’altro che non può che presentarsi con la atterrente (non) identità del nulla? Se così fosse, il suo senso potrebbe essere lo stesso delle ultime parole pronunciate da Tommaso d’Aquino subito dopo l’esperienza dell’estasi: “Tutto ciò che ho scritto mi sembra paglia in confronto a quanto ho visto”. Inadeguato valutarlo in stellette. Premio della Giuria a Cannes 2014, ex aequo con Mommy di Xavier Dolan. Fotografia di Fabrice Aragno.
Nel Messico dominato dal dittatore Porfirio Diaz, Emiliano Zapata alla testa dei peones conduce, insieme a Pancho Villa, la lotta contro gli oppressori .
Cittadina della Francia Centrale. Pierre Maury ha una moglie costantemente ammalata ed ha intrecciato una relazione con Lucienne, moglie del sindaco Paul Delamare il quale chiede a lui, uomo di sinistra, di appoggiarlo nel corso delle imminenti elezioni. Mentre gli incontri tra i due amanti si intensificano, la moglie di Pierre muore. Morte naturale? È ciò che si vuole far credere. Intanto Hélène, figlia di primo letto di Lucienne, comincia ad insospettirsi per lo strano comportamento della madre. Vincitore del premio della critica al festival di Berlino questo film di Claude Chabrol può essere considerato un modello del suo modo di fare cinema. Il richiamo ad Eschilo con una citazione dalle “Eumenidi” (Oreste: “O Dea, a te decidere se io sono innocente o colpevole. Quale che sia il tuo verdetto io lo accetterò”. Minerva: “È difficile poter giudicare, quale mortale sarebbe in grado di farlo?”) sembra voler collocare la vicenda in un contesto tragico classico. Di fatto però ci ricorda che da sempre la rappresentazione delle vicende umane (a partire dal teatro) ha trasfigurato uomini e donne reali che qui verranno mostrati nella loro quotidianità e nelle loro meschinità. Perché di colpe ce ne sono in questa provincia francese. Sono quelle più eclatanti che si riassumono nell’omicidio ma anche quelle di una borghesia chiusa in se stessa e volgarmente attaccata ai propri piccoli intrallazzi. Non ci sono eroi (neanche tragici) in questa storia di tradimenti nei confronti dei coniugi ma anche nei confronti della collettività (vedi il comportamento di Delamare). Semmai c’è la speranza in una nuova generazione (rappresentata da Hélène) che non ha alcun timore reverenziale e che, soprattutto, vuole vederci chiaro. Anche a costo di far saltare tutti gli equilibri.
Lou Jean (Hawn) va a far visita in carcere al marito (Atherton) e lo convince a evadere per accompagnarla a recuperare il loro bambino affidato a due anziani coniugi di Sugarland. L’inseguimento alla coppia, con un poliziotto che hanno in ostaggio, si trasforma in mastodontico schieramento di forze. Tragico epilogo. Riuscito esordio sul grande schermo del ventisettenne Spielberg con un dramma on the road ispirato a un fatto vero che diventa un lucido e amaro saggio sulla società americana dei consumi e sui meccanismi del potere.
Tornando dalla villeggiatura Anna ed Ester, due sorelle, e il figlioletto di una delle due sono costretti a fermarsi in un paese sconosciuto a causa di una grave crisi del male che sta uccidendo Ester. Il rapporto conflittuale tra le due donne esplode. Con qualche punta di esibizionismo, radiografia del sesso come violenza, malattia, presagio di morte è un film che ha dato scandalo, suscitato discussioni, provocato gli interventi della censura, subito manomissioni nel doppiaggio. “Quando oggi rivedo Il silenzio , devo ammettere che in qualche parte risente di una certa letterarietà … Per il resto non ho alcuna recriminazione da fare” (I. Bergman).
Un film di Steven Spielberg. Con Robin Williams, Dustin Hoffman, Julia Roberts, Bob Hoskins, Maggie Smith. Titolo originale Hook. Fantastico, durata 144 min. – USA 1991. MYMONETRO Hook – Capitan uncino valutazione media: 3,52 su 39 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Un film di Walt Disney, ma fatto con persone vere e non cartoni animati. Ecco una possibile descrizione della pellicola di Spielberg ispirata a Peter Pan. Il regista ha sempre cercato di diventare il nuovo Disney ma, ad esempio, coi cartoni animati come Fievel non è riuscito nell’intento. Forse qui ci è andato molto vicino. Regia di un cast di prim’ordine, in cui su tutti emerge Williams seguito da una grande Maggie Smith, che tutti vorrebbero come nonna, e a pari merito dalla coppia Hoffman-Hoskins, ovvero Uncino e Spugna. Julia Roberts è un “campanellino” piuttosto smorfioso come i bambini quando fingono di recitare. Oltre all’apparizione del cantante-attore Phil Collins ( Buster) nel ruolo di un poliziotto, c’è poi un piccolo cameo di Glenn Close, quasi irriconoscibile, che fa un pirata con tanto di baffi che viene giustiziato. Per quanto riguarda la storia è divisa in due parti: la prima è la vita normale di Peter Banning, avvocato amministrativo, la seconda è incentrata sulla sfida tra Capitan “Hook” Uncino e Peter Banning “Pan”. La molla che fa scattare tutto è il desiderio di Uncino di incontrare ancora il suo nemico, che nel frattempo è “cresciuto”. Alla fine tutti saranno felici e contenti tranne Uncino, ingoiato dal suo alligatore-orologio e la povera Campanellino innamorata di Peter che però è sposato e con prole. Come giocattolo funziona.
Un pugno di personaggi vive storie apparentemente indipendenti l’una dall’altra. In realtà ognuno di essi (c’è anche il regista Godard) aspira a trovare il significato della vita (almeno della propria).
Un film da un budget irrisorio, meno di duecento milioni di lire, per il grande regista americano. Un soldato in Vietnam accusa due suoi compagni di stupro ai danni di una ragazza vietnamita. Dopo aver scontato la pena i due assassini lo rintracciano in campagna dove abita con la famiglia.
Francia, anno di grazia 1123. Goffredo, nobile cavaliere, uccide incosapevolmente il padre della donna che ama. Avrà la possibilità di rimediare all’errore ingerendo una pozione magica che lo porterà indietro nel tempo quel tanto che gli consenta di rimediare al tragico errore. Per l’eccessiva dose ingoiata il cavaliere si ritrova invece, con il suo scudiero, 900 anni dopo. Di fatto ai nostri giorni. A contatto con la civiltà moderna e le sue storture, il cavaliere avrà più di una sorpresa, ma riuscirà a tornare infine ai suoi bei dì e a salvare in tempo il padre dell’amata. Una trama non originalissima, mutuata da Wells e da un racconto di Mark Twain, che in Francia ha battuto ogni record d’incassi. E per quanto il doppiaggio sottragga al divertimento originale, il successo risulta incomprensibile. Un film baciato dalla sorte, ma che presso il nostro pubblico non ha sortito alcun effetto. La regia non ha ritmo sufficiente e i personaggi sono francamente poco simpatici.
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