Un film di David Lynch. Con Jack Nance, Charlotte Stewart, Jean Lange Titolo originale Eraserhead. Horror, b/n durata 100 min. – USA 1977. MYMONETRO Eraserhead – La mente che cancella valutazione media: 3,96 su 41 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Harry Spencer (Jack Nance) è un tipografo solitario e non del tutto giusto che vive, poco piacevolmente, in un desolato appartamento nei sobborghi di una grande città. Costretto a sposare la fidanzata Mary (Charlotte Stewart) rimasta incinta, vede che la progenie è una specie di mostro. Ma questo non è che l’inizio. È il film che ha lanciato la carriera di David Lynch, uno degli autentici geni del cinema degli ultimi trent’anni, che qui ha dato libero sfogo alla sua bizzarra creatività, senza alcun condizionamento produttivo o commerciale. Girato in bianco e nero, è un lungo e lucido incubo che associa momenti di surreale comicità ad altri di disturbante inquietudine, in un insieme unico, spiazzante e affascinante. La trama non ha molta importanza, anche se c’è e ha una delirante linearità: quello che conta è la genialità delle soluzioni visive e la malsana poesia che si sprigiona da sequenze memorabili per la potente suggestione. Lunare l’interpretazione di Jack Nance (1943-1996), destinato a una carriera di secondo piano sino all’assurda morte in una rissa. Ecco cosa si può fare con un budget di soli 100.000 dollari quando c’è il talento.
Edit 12 Luglio 2024: sostituita versione m720p con questa molto migliore.
A Desert Springs (California), in una clinica termale per vecchi, Pinky (Spacek), diciottenne depressa, fa amicizia con la più anziana Milkie (Duvall), patetica integrata. In disparte c’è la pittrice Willie (Rule). Formeranno una trinità senza uomini. Splendido o insopportabile? Affascinante o irritante? Enigmatico o aperto a diverse interpretazioni? È certamente un film complesso, quasi ipnotico, sul triangolo padre-madre-bambino. È una grande metafora su un’America desolata. Premio a Cannes per S. Duvall. Breve apparizione, come Mr. Nelson, del vecchio regista John Cromwell.
Il film, tratto dal romanzo di Pierre Benoît, racconta la storia di due ufficiali che, dopo essersi smarriti nel deserto, scoprono Atlantide e la regina Antinea della quale si innamorano.
Un film di Jacques Feyder. Con Stacia Napierkowska, Jean Angelo, Georges Melchior, Marie-Louise Iribe, Paul Francescki, Add-el-Kadr Ben Alì Fantastico, durata 145′ min. – Francia 1921. MYMONETRO L’atlantide valutazione media: 2,50 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Dal romanzo di Pierre Benoît. Due ufficiali francesi, sperduti nel Sahara, scoprono un mondo ignorato dalle carte geografiche, dove regna su una tribù di Tuareg la bella e crudele Antinea che li irretisce. Film di altissimo costo per l’epoca, ebbe grande successo. Girato nel Sahara marocchino. Attori ridicoli
Appena sposata con Jean, comandante di una chiatta a motore, Juliette va a vivere a bordo dell’Atalante con un vecchio marinaio, un ragazzo e 3 gatti. Annoiata e irritata dalla gelosia del marito, se ne va a Parigi. Jean riparte con l’ Atalante . Tempo dopo si ritrovano. 2° lungometraggio di J. Vigo che, già malato durante le riprese, morì il 5 ottobre 1934 all’età di 29 anni, meno di un mese dopo la 1ª proiezione pubblica del film, tagliato di una ventina di minuti, edulcorato e ribattezzato Le chaland qui passe , dal titolo di una canzone di moda (inserita a forza tra le musiche di M. Jaubert), versione francese di “Parlami d’amore, Mariù” di C.A. Bixio, lanciata da V. De Sica. Dopo essere riapparso in edizioni volenterosamente ricomposte nel 1940 e nel 1950, fu restaurato con scrupolo filologico nel 1990. In contrasto con la maggior parte del cinema francese dell’epoca, è un film di poesia attraversata da bagliori surrealisti (come la sequenza subacquea, resa popolare dalla sigla di “Fuori Orario” su RAI3): il naturalismo zoliano vi si sposa con l’immaginazione lirica dell’invisibile. Fragile, incerto nella sua dolce linea narrativa, qua e là balbettante, è un film arrischiato e trasgressivo di rottura che punta sulla sdrammatizzazione e il rifiuto dello psicologismo, e mette l’accento su momenti privilegiati, particolari curiosi, figure che appaiono e scompaiono senza logica. Per la sua forza erotica ed eversiva è stato accostato a Rimbaud e al primo Céline.
Un uomo dal passato burrascoso sposa controvoglia l’amante, poi la lascia per dedicarsi al ring. Sotto la guida di un buon allenatore ottiene successi e ricchezza. Montatosi la testa e cambiato manager ne seduce la moglie e, dopo poco tempo, perde il contratto. Pentito, ma solo apparentemente, torna dalla moglie del vecchio allenatore.
Un giovane fotografo sposa la grintosa arredatrice Patsy. Quando la moglie viene uccisa da un colpo di fucile, sparato da un misterioso cecchino, anche il fotografo acquista un fucile e si mette a sparare sulla gente.
Edit 12 Luglio 2024: ripropongo perchè avevo messo un altro film nel link
Usciti dalle tombe e dalle cripte, gli zombi sono ormai padroni del mondo, anche se un manipolo di uomini, asserragliati in un bunker, tenta di organizzare un’ultima resistenza. George Romero riprende il filone degli “zombi” che gli diede la notorietà. Ma ormai il “genere” è esausto, anche s’è ancora apprezzabile il mestiere con cui il regista di Pittsburgh orchestra le sue orripilanze.
Il film che ha fatto riscoprire il talento di Loach a molti anni da Family Life. Premio Speciale a Cannes nel 1990. Diverso dai film realistici dell’ultimo periodo ma non meno duro con le istituzioni britanniche. Il film ha avuto problemi di censura nel suo Paese. Siamo a Belfast dove viene assassinato un avvocato statunitense in cerca di prove per un’inchiesta. Il governo britannico mantiene una posizione molto ambigua. La donna dell’avvocato vuole far luce sull’accaduto con l’aiuto di un agente. Grandi interpreti e ottima regia. In Italia purtroppo è uscito solo in videocassetta.
Per comprare un bel vestito da prima comunione, Bob Williams (Jones), operaio disoccupato di Manchester, s’arrabatta con lavori in nero, s’indebita, rischia la vita, provoca la morte di uno strozzino. Scritto da Jim Allen, 9° film per il cinema di K. Loach, è divertente e ironico, arrabbiato ma lucido, amaro ma non rassegnato, intessuto di una ricca tematica sociale e sostenuto da una forte spinta morale, interpretato da attori semiprofessionisti o dilettanti che risultano più veri del vero. In questo microcosmo, raccontato senza concessioni al manicheismo populista, né schematiche forzature ideologiche, la religione cattolica è una struttura sociale alla quale fare riferimento e che in qualche modo s’oppone al neoliberismo thatcheriano.
Confine Italia-Slovenia, 1994. Un bambino fugge da un gruppo di profughi vessati da un violento capobanda. Profondo nord italiano, oggi. Un tecnico specializzato, Pietro, viene chiamato a riparare una centrale elettrica con annessa diga che subisce frequenti guasti. A dare una mano a Pietro è Lorenzo, uno strano tipo coinvolto in traffici più o meno leciti e innamorato di Rio de Janeiro, la cui vocazione di morituro è preannunciata dalla sua abitudine ad allargare le braccia come il Cristo Redentore. Il paesino montano è popolato da molte brutte facce e l’assenza di corrente non è sempre casuale. In paese si aggira anche la zoologa Lana che, malgrado i rischi per la sua incolumità, procura da mangiare a un orso non dissimile dal fratellastro di Lorenzo, Secondo, che vive seminascosto dentro la centrale. La foresta di ghiaccio è una favola nera e nordica popolata di mostri e di creature selvagge, e Claudio Noce ce la racconta alternando le mille gradazioni dell’oscurità alla luce abbagliante della neve. Ci sono boschi impervi, un Pollicino che deve ritrovare la strada, una Cappuccetto Rosso che va a sfidare l’orso (invece del lupo), e una serie di agnelli sacrificali destinati al macello. In questa chiave, il film di Noce è riuscitissimo: giuste le atmosfere, coinvolgente la fotografia, incalzante il montaggio. Funziona molto meno l’aspetto noir del racconto, perché la storia è convoluta ed eccessivamente oscura, e né la sceneggiatura né il montaggio ci aiutano a decifrarla. Con tutto il rispetto per la necessità di mantenere i segreti e rivelare gradualmente i misteri, Noce chiede allo spettatore uno sforzo eccessivo per riassemblare i pezzi di un puzzle complicato e privo di tessere importanti. Visivamente, La foresta di ghiaccio è una conferma del talento registico di Noce, già evidente nel suo primo lungometraggio, Good Morning Aman. Noce sta dentro le storie che racconta, rivelandoci i suoi personaggi per frammenti, e permettendo alla fisicità dei luoghi e degli attori di esprimersi in tutta la sua forza primordiale: ad esempio la scena di sesso ne La foresta di ghiaccio è realistica e potente, un’anomalia nel panorama cinematografico italiano. È sintomatico che al centro della storia ci sia un generatore, perché il cinema di Noce è energia delle immagini, e trasmissione ben veicolata di corrente vitale. Anche la simbologia è usata qui in modo sapiente: dai ponti che sono alternativamente tramite e minaccia, alle bestie feroci che rifiutano l’addomesticazione, alla diga che argina e contiene un impeto che, se liberato, può avere conseguenze devastanti. Il che rende ancora più importante una maggiore cura nella comunicazione della storia, una maggiore attenzione nel prendere per mano lo spettatore che, soprattutto in un noir, va guidato, pur presentandogli sapientemente indizi e rivelazioni, altrimenti perde il filo della trama, e l’interesse. L’idea di trattare un tema come quello dell’emigrazione non in forma di trattato sociale ma di film di genere è preziosa: poi però le regole di quel genere vanno rispettate, e la comprensibilità, pur nella complessità dell’intreccio narrativo, è una di queste.
Un film di Henry Hathaway. Con Chill Wills, Diane Varsi, Don Murray Titolo originale From Hell to Texas. Western, durata 100 min. – USA 1958. MYMONETRO L’uomo che non voleva uccidere valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Un giovane cowboy quacchero uccide accidentalmente il figlio di un ricco ranchero e si trova addosso i familiari della vittima. Farebbe una brutta fine perché, per motivi religiosi, non può sparare addosso agli avversari, ma un atto di generosità gli salverà la vita
Boris Yelnikoff, un tempo fisico di fama mondiale ed ora uomo anziano che ha già fallito un tentato suicidio (in seguito al quale la moglie lo ha lasciato), è in lotta con il mondo. Non c’è nulla che consideri positivo e anche le lezioni di scacchi che impartisce a giovani allievi divengono un’occasione di scontro. Finché, un giorno, non incappa in Melody, una giovane miss di provincia che è fuggita nella Grande Mela e dorme in strada. Il burbero Boris cede alle sue richieste e acconsente ad ospitarla per una notte che si trasformerà in mesi sino a divenire un matrimonio. Ma non tutto potrà proseguire pacificamente perché Marietta, la frustrata madre di Melody, riesce a rintracciare la figlia. E non è per nulla contenta di quelle nozze.
Alcuni personaggi del mondo della musica (tra cui Woody) rispondono a domande su un grande chitarrista del passato: Emmet Ray. Sono concordi nel considerarlo il numero due assoluto superato solo dal genio di Django Reinhardt. Di ciò era consapevole anche Emmet e se lo vedeva rinfacciare da chi gli stava accanto e lo accusava di essere incapace di far emergere il suo io più interiore. Ma a lui più dei sentimenti interessava la musica. Fin quando un giorno incontrò Hattie, una giovane sordomuta, con la quale iniziò una relazione stabile anche se costellata di problemi dettati dall’incostanza di un musicista valido ma destinato a rimanere un eterno secondo.
Durante la guerra di Corea, maggiore dell’aviazione USA sposa un’attrice giapponese. Ma c’è una seconda storia d’amore, delicata e triste che avrà una diversa conclusione. Tratta dal romanzo (1954) di James A. Michener, sceneggiato da Paul Osborn, è la versione riveduta, corretta e antirazzista di Madame Butterfly condotta su due binari. M. Brando (così, così) ha ceduto a un dramma strappalacrime con funzioni propagandistiche. 9 candidature e 4 Oscar: fotografia, scenografia e 2 attori non protagonisti (R. Buttons e M. Umeki).
Per risolvere il problema del sovraffollamento e della carenza energetica sulla Terra, l’umanità ha iniziato a colonizzare lo spazio, creando un numero di insediamenti denominati Side, e dando così inizio all’epoca conosciuta come Universal Century. Nell’anno U.C. 79 la colonia di Side 3, Zeon, dichiara la sua indipendenza dalla Federazione Terrestre, segnando il debutto della guerra di un anno. Amuro Ray è un ragazzo che vive a Side 7, una colonia fino a quel punto risparmiata dalla guerra, ma scelta dalla Federazione per svolgere un programma militare segreto. Quando le forze di Zeon vengono a sapere delle intenzioni dei federali, inviano una squadra di robot da combattimento mobile suit per intralciare i loro piani. Nei combattimenti che seguono su Side 7, Amuro scopre il prototipo di mobile suit terrestre RX-78 Gundam e riesce istintivamente a pilotarlo per distruggere gli attaccanti.
Top 10 è una serie a fumetti creata da Alan Moore e Gene Ha per l’universo America’s Best Comics della Wildstorm (una divisione della DC Comics).La prima serie è durata 12 numeri, seguita poi dalla miniserie Smax, dalla graphic novelQuelli del quarantanove e da un’altra miniserie, Top 10: Beyond the Farthest Precinct.Probabilmente verrà pubblicata una seconda serie di Top 10, ad opera di Zander Cannon e Gene H
La serie descrive le vite e il lavoro della forza di polizia di Neopolis, una città in cui chiunque, dalla polizia ai criminali ai civili, bambini e perfino i cuccioli, possiede dei superpoteri, costumi sgargianti e identità alternative.
linus è una storica rivistaitaliana mensile di fumetti, fondata da Giovanni Gandini e pubblicata inizialmente dalla casa editrice Figure nell’aprile del 1965.[1][2][3] Fu la prima rivista italiana dedicata esclusivamente ai fumetti[2][4], destinata a un pubblico adulto e con una spiccata caratterizzazione politica[5]. Il nome si riferisce all’omonimopersonaggio dei fumetti della celebre serie a striscePeanuts pubblicata sulle pagine del periodico.[6] Viene pubblicata da oltre 50 anni e nel 2015, per il cinquantesimo, le sono state dedicate varie mostre commemorative[7][8] oltre che una ristampa anastatica dei primi numeri
Il fortunato riscontro a due volumi che proponevano per la prima volta in Italia i fumetti dei Peanuts – Arriva Charlie Brown! (1963) e Il secondo libro di Charlie Brown (1964), editi da una casa editrice fondata appositamente per pubblicarli e che fino al 1968 continuerà a chiamarsi Figure s.r.l per poi prendere il nome dalla libreria di Gandini, la Milano Libri Edizioni[10] – convinse della buona idea di realizzare una rivista nella quale proporre fumetti analoghi e, a seguito di contatti con il distributore United Feature Syndicate, vengono acquisiti i diritti di altre importanti serie di fumetti a strisce americane[1][11] e, nell’aprile 1965, la nuova testata esordì pubblicata in un formato spillato di grandi dimensioni (20,5×27 cm); nel tempo il formato cambierà più volte diventando tascabile nel 1979 (15,5×21 cm) e dal 1981 brossurato a parità di formato fino al 1992 quando si ritorna al formato grande spillato.[3][6] Il nome della testata venne scelto riferendosi a uno dei personaggi principali dei Peanuts, celebre striscia a fumetti, in quanto «è un personaggio pieno di fantasia, è simpatico e ha un nome facile da dire e da ricordare».[6] Nel primo numero della rivista, l’editore Gandini così presentò la testata: «Questa rivista è dedicata per intero ai fumetti. Fumetti s’intende di buona qualità, ma senza pregiudizi intellettualistici. Accanto alle storie e ai personaggi più moderni e significativi come i “Peanuts” (…), la rivista intende presentare fumetti di avventura, classici per l’infanzia, inediti di giovani autori. L’unico criterio di scelta di questa “letteratura grafica” è quello del valore delle singole opere, del divertimento che ne può trarre il lettore, oggi; non quello di un interesse puramente documentario o archeologico. I classici della storia del fumetto che pubblicheremo saranno solo quelli veramente originali e ancora validi oggi, verificati a una lettura il più possibile disinteressata, scevra di mitologie. Cercheremo poi di presentare al pubblico italiano quei fumetti che ancora non conosce, di rivelargli tempestivamente le nuove scoperte di tutto il mondo, di tenerlo informato su quanto avviene e si dice in questo campo.»[6][12] Nel primo numero compariva anche, nella prima pagina, un’intervista di Umberto Eco a Elio Vittorini e Oreste del Buono fatta presso la libreria della moglie di Gandini, incentrata su «una cosa che riteniamo molto importante e seria, anche se apparentemente frivola: i fumetti di Charlie Brown».
Collana pubblicata dalla Panini dedicata a Jean Giraud, in arte Moebius. La collana è composta da dieci volumi a colori in grande formato (21,30 x 29 cm) piu uno speciale, che presentano le opere che hanno reso Moebius un maestro del fumetto riconosciuto a livello internazionale.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.