Una notte in un bar un marinaio racconta a uno sconosciuto, incontrato in uno strano posto, le bizzarre, fantastiche avventure che ha vissuto durante un lungo viaggio intorno al mondo e nell’aldilà. Su uno schema romanzesco classico il cileno R. Ruiz inventa un caleidoscopio di immagini e di microstorie (quasi 1000 inquadrature) in cui, sotto le forme del romanzo d’appendice, si nascondono verità eterne e antichi miti. “È il trionfo del falso come principio costitutivo del cinema” (F. Grosoli).
En rachâchant è basato sul racconto Ah! Ernesto! (1971) di Marguerite Duras in cui il bambino Ernesto non vuole più andare a scuola perché tutto ciò che gli viene insegnato sono cose che non sa. Ciò che interessa a Straub e Huillet è evitare di mostrare ciò che vede lo scrittore, affermando: “non possiamo illustrare ciò che vede, ciò bloccherebbe l’immaginazione… Ciò che ci interessa è il testo che sarà incarnato negli esseri viventi, i dialoghi ma non il trama della storia… Non può esserci un film in cui il testo è più parte delle persone che nei nostri film! Necessariamente perché ci sono mesi di lavoro, i testi entrano nel loro tessuto nervoso. Questa è una forma di cultura popolare”. En rachâchantaffronta questa tensione tra la conoscenza legittima insegnata nelle scuole e la cultura popolare. Qui è lo studente che arriva con un sistema pedagogico nuovo e rivoluzionario. Il film è una lezione che insegna una forma di resistenza all’istituzione, e affronta una riflessione politica sul sistema educativo, oltre che sulla condizione dei bambini.
Scacciato dai genitori perché ha messo incinta una domestica, Karl Rossman giunge negli Stati Uniti sperando di trovare aiuto presso uno zio ricco. Sue peripezie alla ricerca di un lavoro. Da Amerika (1927) _ e dal racconto Lo scomparso _ di Franz Kafka di cui i due registi, marito e moglie, danno una lettura materialistica, rimuovendone la dimensione metafisica: è una translucida “rappresentazione dei rapporti di classe nella società moderna, rapporti che sono ingiusti proprio in quanto incomprensibili da parte degli sfruttati” (A. Crespi). L’alienazione che il film descrive è nei fatti, non nelle psicologie dei personaggi. Il linguaggio usato è funzionale alle intenzioni, specialmente nell’uso del fuoricampo in funzione narrativa. È un film raffinato e rischioso in cui la sperimentazione linguistica mette continuamente a repentaglio la comunicazione. Da vedere in edizione originale con sottotitoli.
Asterix nacque in seguito a lunghe discussioni fra i suoi due creatori, il disegnatore Uderzo e lo sceneggiatore Goscinny: il primo infatti avrebbe voluto fare del proprio personaggio un eroe classico, forte, valoroso e nerboruto, simile a quello del precedente lavoro della coppia “Oumpah-Pah” mentre lo scrittore optava per un antieroe dal fisico minuto e di dimensioni ridotte e più abile con il cervello che con la forza bruta.[4] La versione finale del personaggio, pur mediando fra questi estremi, risente maggiormente della visione di Goscinny, mentre Obelix è più simile alle idee di Uderzo.[4]
Il nome Asterix deriva dal francese “asterisque” (asterisco) nella sua doppia valenza di “piccola stella” ma anche di “rimando a fondo pagina”, con l’aggiunta del suffisso -ix che nel fumetto caratterizza i nomi di praticamente tutti i Galli e derivato dal nome celtico del condottiero Vercingetorige (Vercingetorix).[4][5] Goscinny ha affermato scherzosamente che il nome, iniziando per “A”, sarebbe stato un vantaggio per quando il suo personaggio sarebbe stato elencato nelle enciclopedie.
Nel 2005 il semiautistico, bizzarro amministratore di un piccolo fondo finanziario capisce che le grandi banche hanno gonfiato un’enorme bolla finanziaria manipolando i titoli di credito sui mutui immobiliari e scommette tutto sul crollo delle loro quotazioni in Borsa. Tutti lo prendono per pazzo, ad eccezione di 5 outsider : l’amministratore delegato di una piccola società finanziaria, un dirigente di Deutsche Bank, 2 giovanissimi broker e un ex broker convertito all’ecologismo. Al suo 7° LM (di cui solo 2 usciti in Italia) McKay, anche sceneggiatore con Charles Randolph, ha cavato dal romanzo The Big Short: Inside the Doomsday Machine (2010) di Michael Lewis quello che tecnicamente è un documentario sulle cause dell’attuale grande depressione mondiale. Ma è riuscito a trasformarlo in un thriller finanziario mozzafiato che è al tempo stesso un giallo a soluzione anticipata carico di suspense, una satira tagliente e arguta dei cowboy della finanza USA e un’opera di raffinata e benemerita divulgazione scientifica. Il segreto della sua magia è mostrare, in parallelo, la faccia virtuale della Borsa e la corrispondente faccia reale delle cose fisiche e delle singole vite umane. Cast formidabile e medaglia d’oro a Pitt che l’ha anche prodotto. Da vedere a scuola per far capire come va il mondo. Magari per cambiarlo.
Sono due fratelli pianisti, insieme sono un duo musicale. Cercano una cantante per creare maggiore attrazione. Fanno dei provini e la trovano, oltre che brava anche bella. Tanto che farà impazzire lo scapolo belloccio, con la disapprovazione dello sposato in sovrappeso. Per un po’ andranno avanti tra litigi e dopo che la donna si allontanerà, si separeranno definitivamente. Con una regia diligente, il film si fa notare soprattutto per la bravura dei fratelli Bridges e di Michelle Pfeiffer che ha anche una buona voce.
La serie racconta le avventure di molti personaggi che vivono in un grande mondo immaginario costituito principalmente da due continenti. Il centro più grande e civilizzato del continente occidentale è la città capitale Approdo del Re, dove si trova il Trono di Spade. La lotta per la conquista del trono porta le più potenti famiglie del continente a scontrarsi o allearsi tra loro in un contorto gioco di potere. Ma, oltre agli uomini, emergono anche altre forze oscure e magiche.
Frank, uno spacciatore che è anche cocainomane, sta per vivere la peggiore settimana della sua vita. Dopo aver venduto droga ottenendone meno di quanto previsto si ritrova in un grosso guaio. Deve rendere al serbo Milo una grossa somma a cui se ne aggiunge una esorbitante perché, mentre trattava un importante affare con uno svedese, è stato catturato dalla polizia e ha versato tutto il quantitativo di droga (avuta da Milo) nel lago. Ora deve trovare in tempi brevissimi tutti i soldi. Il film d’esordio di Nicolas Winding Refn è divenuto un cult nonostante non fosse nato sotto i migliori auspici. Refn si è sempre vantato di non avere nessuna ‘scuola’ di cinema alle spalle e suo padre Anders (montatore di film come Le onde del destino) riteneva che fosse sintomo di follia girare un’opera prima senza un minimo background professionale alle spalle. Nicolas gli ha dimostrato che invece era possibile realizzando un film in cui i difetti (se ci sono) scompaiono dinanzi alla tensione che pervade l’intero film. Si tratta di una progressione che, sia sul piano della sceneggiatura che su quello stilistico, accompagna Frank nei gironi sempre più cupi di un inferno in cui vive quasi da sempre (quasi, perché la scena con la madre fa intravedere un passato tanto remoto quanto diverso). È la Copenaghen dei locali notturni, delle stanze sul retro, degli alberghetti di quart’ordine quella che lo spettatore attraversa con Frank. Un uomo la cui personalità è come dominata dal pendolo di Edgar Allan Poe che ondeggia tra i due estremi della droga e del denaro e che può, ad ogni istante, togliergli la vita. Refn lo pedina con una macchina da presa mobilissima ma lontana dal Dogma vontrieriano che proprio allora tendeva a imporsi come stile assoluto nel cinema danese di qualità. Il suo è un modo di girare privo di autocompiacimenti, asciutto, a tratti quasi chirurgico. Salvo poi non rinunciare a mostrare, senza però cercare facili giustificazioni al suo agire, il sentimento che Frank prova nei confronti di Vicki. Un sentimento che, ogni volta che emerge anche solo per un istante, deve essere costantemente annullato quasi che il rischio di soccombervi sia troppo forte. In un film di uomini privi di scrupoli e capaci di esercitare la violenza sia in modo subdolo (come Milo) che brutale (come il suo braccio destro Radovan) Vicki conserva un suo ruolo che va seguito con attenzione perché è lo specchio in cui Frank cerca la parte perduta di sé.
Un devastante terremoto investe Seoul come un’ondata di roccia. Rimane in piedi un solo condominio, dove vivono il dipendente pubblico Min-sun e la sua compagna infermiera Myung-hwa. I residenti dell’edificio si ritrovano presto alle porte disperati in cerca di asilo e, dopo un’iniziale accoglienza, decidono di ricacciarli a vivere tra le macerie. Guidati da Yeong-tak, istituiscono il principio che il condominio è solo per i residenti e tutti devono aiutare al recupero e alla distribuzione di risorse, razziate dalle rovine circostanti. La comunità trova un suo equilibrio, ma questo viene destabilizzato dal ritorno al proprio appartamento una giovane residente, che ha viaggiato nella devastazione circostante ed è disgustata – come pure anche Myung-hwa – dall’osceno divario tra chi vive in modo relativamente agiato è chi è precipitato nella più nera miseria.
Nella versione h265 i subita sono stati tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni.
Un film di Gabriel Range. Con Hend Ayoub, Brian Boland, Becky Ann Baker, Robert Mangiardi, Jay Patterson, Jay Whittaker Titolo originale Death of a President. Thriller, durata 90 min. – Gran Bretagna 2006. – Lucky Red uscita venerdì 16marzo 2007. MYMONETRO Death of a President (Morte di un presidente) valutazione media: 2,50 su 34 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
19 ottobre 2007. Il Presidente degli Stati Uniti George W. Bush è in visita a Chicago dove tiene un discorso all’hotel Sheraton. In città è in corso un’imponente manifestazione contro la sua politica in Iraq. Non mancano scontri con la polizia. Dopo aver partecipato all’incontro in suo onore, Bush viene colpito da colpi d’arma da fuoco esplosi da un attentatore che riesce a fuggire approfittando della confusione. Le indagini, immediatamente avviate, si indirizzano su un cittadino di origine siriana che viene incriminato forzando la mano sulle prove a suo carico. L’uomo viene condannato ma… Gabriel Range realizza un mockumentary, un finto documentario su un fatto non accaduto, scatenando polemiche a non finire. Si tratta di incitazione all’omicidio di un Capo di Stato? Siamo dinanzi a un innocuo esercizio cinematografico con diritto di critica incorporato (a una delle Amministrazioni più disastrose della storia della democrazia americana)? O si tratta di un’operazione riuscita a metà? Che il film provocasse critiche era già scritto nel suo DNA originario e Range non ne fa mistero. Che invece pochissimi, sulla stampa statunitense, guardassero il cielo al posto del dito che lo indica è un fatto che stupisce.
Un marito vuol uccidere la moglie e la chiude nel suo appartamento sola con un “mamba” (il più velenoso e pericoloso dei serpenti). Ma la donna non si lascia ammazzare dal rettile. Anzi architetta una trappola per far fuori il consorte mascalzone.
Guidando attraverso il deserto, il giovane Jim raccoglie un autostoppista che presto si rivela un maniaco omicida. Un incubo su strada come Duel, ma qui il mostro ha una faccia e un carattere. Scritto da Eric Red, è un film violento che vive di spazi, polvere, asfalto, distanze, e dell’angoscia che si cela dietro l’imperativo categorico del viaggio.
Dal romanzo omonimo (1953) di Peter Viertel, ispirato in forma autobiografica alla lavorazione di La regina d’Africa (1951) di John Huston. Regista egocentrico, geniale e violento, prima di cominciare un film di avventure africane, John Wilson vuole uccidere un elefante. Piacevole, rilassato, levigato ma, come storia di un’ossessione (l’elefante come la balena melvilliana di Moby Dick), mancato e manieristico
Un miliardario vuole trasformare un percorso di golf in un’area di sviluppo, ma il presidente del club annesso non è della stessa idea. Tra i ricchi ed eccentrici soci del club, e i meno eccentrici e danarosi portamazze, c’è Danny, un caddie che è disposto a tutto pur di guadagnare i soldi necessari a mantenersi al college. A tratti ricalca vicende avvenute nella vita reale di Bill Murray, in una delle sue prime prove cinematografiche.
Comanche è una serie a fumetti creata da Greg (testi) ed Hermann (disegni).
Magnifica serie western franco-belga, ideata nel 1969 da Greg ed Hermann. Comanche è il nome della proprietaria del ranch in cui si aggira il malinconico ed umanissimo cow-boy Red Dust, qui alle prese con terribili attentati ferroviari e con una donna assai poco rispettabile.
Dopo Durango e Bouncer è la volta di una nuova interessante serie western francese, i cui autori sono ben noti agli amanti della bande dessinée, per gli assidui lettori della bédé allegata alla Gazzetta dello Sport. Dal 2 giugno 2017 la collana Gli Albi del West si apre infatti a Jim Cutlass, intrigante fumetto che nasce in modo abbastanza classico nel 1978 ed intraprende successivamente percorsi meno tradizionali.
Il primo episodio di Jim Cutlass è composto da solo 17 tavole ed è pubblicato in origine sulle pagine della celebre rivista Pilote, realizzato dai creatori di Blueberry, Charlier ai testi e Giraud ai disegni. A quelle prime 17 pagine ne sono poi aggiunte ulteriori 43 per ottenere le 60 tavole che caratterizano la per la prima edizione in volume del fumetto, pubblicata l’anno successivo col titolo di Mississippi River. Dopo quest’albo Jim Cutlass assiste ad una lunga sosta tornando tra i progetti di Charlier soltanto nel 1989, per i disegni di Christian Rossi. La prematura morte dello sceneggiatore vedrà il ritorno sulla serie di Giraud, in veste di sceneggiatore, per i disegni di Rossi. La nuova coppia artistica farà approdare il numero totale di albi del personaggio a sette.
I sette episodi sono quindi ospitati sulla collana Gli Albi del West nell’arco di 5 volumi, di cui il primo e l’ultimo destinati a proporre due episodi mentre gli altri impegnati ad ospitare un’unica avventura. Il fumetto è ambientato nel Sud razzista dell’America in cui il protagonista Jim Cutlass, dagli ideali nordisti di libertà per i neri, eredita una piantagione di cotone. Il tono da western classico delle prime avventure prenderà delle direzioni insolite e persino sovrannaturali con il procedere degli episodi.
Loveless parlava originariamente di un uomo, Wes Cutter, che ha combattuto per il Sud nella Guerra Civile ed è stato catturato. Dopo aver trascorso del tempo in un campo di prigionia, torna nella sua precedente casa di Blackwater dopo che il Nord ha vinto per trovare la città sotto il controllo dell’Unione e la sua casa occupata. Poco dopo, a Cutter viene offerto un posto di sceriffo in città. [2]
I primi numeri del fumetto esplorano la relazione dinamica tra Cutter e la gente della città (la maggior parte dei quali lo odia), il destino della moglie di Cutter, Ruth, e i persistenti sentimenti di animosità tra Nord e Sud dopo la fine della guerra.
Dalla conclusione dei suoi primi numeri, Loveless è diventato un fumetto di maggiore narrazione cronologica e tematica. Le storie all’interno di Loveless , sin dal suo inizio e soprattutto nei suoi ultimi anni, ruotano attorno al razzismo e alle realtà più grintose della storia americana.
2° film di Straub, francese di nascita, formazione e spirito libertario, ma profondamente tedesco nel resto. Scritto, come tutti i suoi film, con Danièle Huillet dal romanzo Biliardo alle nove e mezzo di Heinrich Böll. È la storia di una grande famiglia della borghesia tedesca le cui vicende sono mediate dai simboli mistici di Böll (gli “agnelli” opposti ai “bufali” via via militaristi, nazisti, neocapitalisti) e condensate in brevi ellittiche scene che spaziano senza precise determinazioni da un’epoca all’altra. Il tutto sotto il segno di un’implacabile analisi critica di taglio brechtiano. Musica: Béla Bartók e Bach.
Un lungo piano-sequenza apre il film, percorrendo circolarmente la radura di un bosco toscano – palcoscenico primigenio calato nel silenzio della natura – dove 12 non attori leggono brani da Le donne di Messina (1949) e da altri libri di Elio Vittorini. Sono operai e contadini che descrivono le dure condizioni di vita e di lavoro dopo la fine della Seconda guerra mondiale. “Analogamente a un rito … o ad un ‘mistero’ laico le tragedie di sofferenze e sacrifici, i minimi gesti e movimenti della mdp ‘officiante’, assumono una rilevante, allusiva intensità espressiva.” (R. Chiesi). Fotografia: Renato Berta, Jean-Paul Toraille e Marion Befve.
I Fantastici Quattro (The Fantastic Four) sono un gruppo di supereroi dei fumetti, creati da Stan Lee (testi) e Jack Kirby (disegni), ispirandosi liberamente ai personaggi DC Challengers of the Unknown dello stesso Kirby. Esordirono nel primo numero della testata Fantastic Four (vol. 1[1]) nel novembre 1961 e pubblicata dalla Marvel Comics. La serie raggiunse presto il successo ponendo le basi per lo sviluppo dell’intero universo Marvel.
Il gruppo è formato da quattro personaggi che ottennero i loro poteri in seguito all’esposizione a raggi cosmici durante una missione scientifica nello spazio. I quattro sono:
Mr. Fantastic (Reed Richards), scienziato e leader del gruppo; oltre ad essere un genio della scienza, dotato di intelligenza straordinaria, ha acquisito la capacità di allungare e deformare a piacimento il proprio corpo come fosse fatto di gomma;
Donna invisibile (Susan “Sue” Storm), moglie di Reed e sorella maggiore di Johnny, la quale può rendere sé stessa e gli altri invisibili e creare potenti campi di forze;
Torcia Umana (Johnny Storm), fratello minore di Sue, che può prendere fuoco, lanciare fiamme e volare a grande velocità;
Cosa (Ben Grimm), il migliore amico di Reed e “braccio” del gruppo, trasformato in una creatura dalla pelle rocciosa e possiede forza e resistenza sovrumane; oltre ad essere un notevole pilota di veicoli, abilità derivata dal suo precedente lavoro di collaudatore di veicoli sperimentali;
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.