Un postino di Parigi innamorato perso di una cantante lirica ha registrato la voce della sua diva. Una ragazza, prima di venire assassinata, ha registrato una denuncia in cui un’alta personalità della polizia è accusata di sfruttamento della prostituzione. Tutto il film è giocato sulla folle corsa del postino che è in possesso di entrambe le registrazioni. Il film è piaciuto poco alla critica, ma molto al pubblico (anche americano).
Una coppia di americani, Jessie e Roy, aderenti a una Chiesa protestante che si occupa di aiuto ai bambini in Cina, decide di utilizzare per il ritorno la linea ferroviaria transiberiana. I due hanno come compagni di viaggio in cabina lo spagnolo Carlos e la sua compagna Abby i quali dichiarano di pagarsi i viaggi lavorando come insegnanti di lingue e poi di arrotondare con la vendita di oggetti di artigianato esportati illegalmente: In questo viaggio hanno con sé numerose matrioske russe. A una fermata Roy scompare e Jessie finisce con il trovarsi da sola con Carlos per il quale prova attrazione. Sarà lei a baciarlo per prima per poi sfuggire al suo tentativo di rapporto sessuale colpendolo con una trave di legno… L’incubo è solo cominciato. Un thriller ferroviario/turistico (anche se dopo averlo visto non verrà a molti il desiderio di percorrere la Transiberiana) ben riuscito questo film di Brad Anderson noto da noi per l’ossessivo L’uomo senza sonno. La tensione cresce progressivamente e i colpi di scena, tutti logicamente giustificabili, non mancano. Il mistero degli spazi attraversati dal treno nonché l’enigmaticità di una Russia in cui, come afferma il luciferino personaggio interpretato da Ben Kingsley, “Quando c’era il comunismo gran parte della popolazione viveva nell’ombra mentre oggi muore alla luce del sole” aggiungono fascino alla storia. Il treno poi, sin dalle origini del cinema (La grande rapina al treno, 1903) è un mezzo di trasporto del tutto congeniale alla costruzione di atmosfere di tensione. Se poi ci si aggiunge la menzogna grazie alla quale, come ricorda un adagio russo, si può andare avanti nella vita ma poi non si può tornare indietro, il gioco è fatto. Anderson sa condurlo magistralmente grazie anche al faccino innocente di Emily Mortimer. Se qualcuno faticasse a ricordare dove può averla vista di recente, prima di cercare nelle biografie pensi a Woody (non Harrelson ma Allen).
In un atelier di alta moda a Roma cinque modelle sono uccise, una dopo l’altra, ciascuna in modo diverso. Il film codifica il thriller all’italiana, già sperimentato dal regista in La ragazza che sapeva troppo di cui condivide la debolezza logica della storia, cioè della sceneggiatura di Marcello Fondato. Fonte di ispirazione per D. Argento. Bava ne approfitta per testare, con Ubaldo Terzano, l’impiego del colore con un irrealismo che diventa barocchismo senza freni, e seminare false piste: i personaggi si confondono tra loro e con i manichini dell’atelier: “Il pathos della morte e lo shock del sadismo, in questo modo, vengono messi a distanza.” (A. Pezzotta). Ebbe noie con la censura.
Intorno al 1750 il maggiore Rogers ha l’incarico di fare rilevamenti topografici nel territorio degli indiani Algonchini che sono bellicosi e infidi. Deve fare i conti con un rinnegato spione, Lupo Nero e la bella Natula. Figlio di Maurice, regista francese emigrato negli USA, J. Tourneur lasciò il suo segno nel cinema fantastico, ma diresse anche alcuni ariosi western. Questo è il cocktail di due film per la TV. Ambientazione insolita.
Nonostante sia un tvrip da Rete 4 è di buona qualità
1908: nel West sei uomini e una donna partecipano a una massacrante corsa a cavallo lunga ottocento miglia. Gli ultimi tre rimasti, con la donna in testa, avranno bisogno di molta iniziativa. Anche se la struttura della storia lo induce a una sorta di ripetizione e a un po’ di monotonia, R. Brooks riesce a imporre le sue qualità di robusto e generoso narratore, in una intelligente metafora della vita.
Teleromanzo su uno dei poliziotti più famosi del mondo, il sergente di polizia americano Joe Petrosino, che alla fine del secolo scorso dichiarò una guerra senza quartiere alla Mano Nera, il primo stanziamento della mafia siciliana in USA. Petrosino cerca le radici della malapianta fino in Sicilia. Bel successo personale di Adolfo Celi, che recitò con i capelli neri (cosa che non gli accadeva da un ventennio).
Altai & Jonson è una serie a fumetti italiana di genere umoristico e poliziesco creata da Tiziano Sclavi e disegnata da Giorgio Cavazzano[1]. Esordisce sul settimanale Corriere dei Ragazzi nel 1975 e si conclude nel 1985
Altai e Jonson sono una coppia di investigatori, entrambi disincantati, malinconici ma onesti tutori della legge e sgangherati ma molto diversi fra loro, il primo è giovane e mingherlino mentre il secondo è più maturo, che vive e lavora a San Francisco[1][3]. L’atmosfera che vi si respira è quella tipica dei film e dei romanzi hard boiled e i due protagonisti tentano di sbarcare il lunario risolvendo misteri, spesso però poco redditizi[3]. Il quartier generale dei due detective è in un ufficio non troppo ben messo. Sono perennemente senza un dollaro e guidano uno scassatissimo Volkswagen Maggiolino. Nonostante gli scarsi mezzi, riescono a risolvere in maniera brillante anche i casi particolarmente strampalati e apparentemente irrisolvibili.
Cani sciolti è una mini serie a fumetti di 20 numeri pubblicata in Italia dalla Sergio Bonelli Editore, esordita a novembre 2018 sotto l’etichetta Audace.[1][2][3][4] A causa delle bassissime vendite è stata interrotta con il numero 14. Gli ultimi 6 numeri che dovrebbero uscire in 2 volumi non hanno ancora una data di pubblicazione.
Pablo, Lina, Deb, Milo, Turi e Marghe, studenti di una ventina d’anni, iniziano una lunga amicizia a Milano durante le proteste giovanili del 1968. I sei ragazzi sono molto differenti per carattere e temperamento, però hanno in comune la loro condizione di “cani sciolti”, partecipando alle rivolte senza tuttavia essere inquadrati in alcun tipo di partito o organizzazione politica.
Si riuniscono alla fine degli anni ’80, in occasione di una esposizione commemorativa del 68, e faranno un resoconto delle loro vite e dei molti cambiamenti avvenuti. Attraverso le loro esistenze, il fumetto mostra al lettore circa venti anni di storia italiana.
Dai romanzi di Loriano Machiavelli. Antonio Sarti è un poliziotto bolognese venuto dalla gavetta, che risolve una serie di casi basandosi soprattutto sull’intuito e la conoscenza degli uomini. Gli è compagno é riluttante alleato nelle sue imprese un pregiudicato privo di un braccio.
La maschera che Michael Myers indossa per coprire le fattezze del suo volto, è stata creata ispirandosi al volto del capitano Kirk di Star Trek.
1963. Nella città di Haddonfield, Illinois, il ragazzino di 6 anni, Michael M. Myers (Michael Myers), nato il 19 ottobre 1957, durante la notte di Halloween uccide la sorella maggiore che gli stava facendo da baby-sitter. Da allora Michael rimane in un ospedale psichiatrico sotto l’osservazione dello psicologo Samuel Loomis. Passati quindici anni Michael evade nella notte di Halloween e ritorna ad Haddonfield.
The Wire è una serie televisivastatunitense prodotta dalla HBO e trasmessa in USA dal 2 giugno 2002 al 9 marzo 2008, con 60 episodi nell’arco di cinque stagioni. Il titolo The Wire, si riferisce alle cimici e a tutti gli strumenti di intercettazione utilizzati nelle indagini di polizia, che nel serial hanno sempre un notevole rilievo. La serie, il cui autore è David Simon, si piazza al nono posto nella classifica stilata da Writers Guild of America tra le serie meglio scritte di sempre
La trama dell’opera è basata sulla lotta tra una speciale unità di polizia e una potente banda che controlla il traffico di droga. La particolarità e l’innovazione della serie sta, oltre che nell’accurato realismo dei personaggi, siano essi poliziotti o membri delle gang, nel narrare passo dopo passo l’indagine di polizia, dalla nascita all’evolversi fino alla conclusione.
Arizona 1874. Un ex bandito redento è costretto dallo zio a unirsi a una banda di malviventi. Anche i suoi occasionali compagni di viaggio, una cantante da saloon e un baro, vengono coinvolti in una rapina in banca. Elimina i banditi, ma paga cara la sua vittoria. Sceneggiato da R. Rose (La parola ai giurati) su un romanzo di Will C. Brown, è un western un po’ troppo parlato, ma diretto con energia dall’ottimo Mann che si giova della splendida fotografia di E. Haller. Un Cooper rugoso che sta sempre bene in sella.
Una coppia di anziani (Ryu, Higashiyama) partono dalla cittadina costiera di Onomichi per Tokyo a far una rara visita ai due figli sposati, un medico (Yamamura) e una parrucchiera (Sugimura), che li trattano come estranei e non hanno tempo di stare con loro. Soltanto una nuora vedova (Hara) si dimostra contenta della loro compagnia. I temi cari a Ozu _ l’instabilità della famiglia giapponese dopo la guerra, l’incomunicabilità tra generazioni, l’influenza negativa della vita urbana sui rapporti umani _ sono raccontati con un doloroso pudore, una estrema lucidità, un linguaggio di depurata semplicità che ne fanno uno dei suoi capolavori insieme con Tarda primavera e Il gusto del sakè. Importante è il personaggio della nuora che impersona la morale specifica del film, “mostrando che chi ha meno ricevuto è anche chi darà di più” (J. Lourcelles). Da vedere con i figli, specialmente se sono cresciuti.
Superman, mandato sulla Terra ancora in fasce dal pianeta Krypton, viene allevato da una coppia di contadini. Divenuto adulto, si fa assumere a New York come giornalista, sempre attento a non rivelare le doti eccezionali di cui è dotato. Nelle vesti di Superman, vola ovunque ci sia bisogno di ristabilire la giustizia. I suoi più terribili nemici tentano di distruggere la Terra con ordigni nucleari, ma il nostro lo impedisce.
Sono passati più di trent’anni da quando Top Gun uscì al cinema segnando un grande successo di botteghino e lanciando Tom Cruise nell’Olimpo hollywoodiano. Ora il pilota Pete “Maverick” Mitchell è pronto a tornare per scontrarsi con le sfide del futuro. Abbandonata la lotta alla concorrenza russa da Guerra Fredda, Maverick dovrà infatti vedersela con l’avvento dei droni e da ricorrenti ritorni dal passato. Vecchi e nuovi protagonisti saranno impegnati con quello che viene chiamato “dogfight”, ovvero il combattimento tra caccia, con il protagonista che pilota un F/A-18 Super Hornet.
Proveniente da un mondo remotissimo nello spazio e sconosciuto, una “goccia” gelatinosa assimila gli umani e diventa sempre più grande. È un film di fantascienza degli anni ’50, con le ingenuità e i trucchi maldestri dell’epoca, divenuto famoso in Italia alla fine degli anni ’80 grazie a una trasmissione TV di RAI3, curata da Enrico Ghezzi, Marco Giusti e C. Per la 1ª volta protagonista McQueen (ancora Steven). La canzone del titolo è di Burt Bacharach. Un seguito (Beware! The Blob, 1971) e un remake 30 anni dopo.
Grace è una vedova di guerra con due figli, Anne e Nicholas. Un giorno arrivano tre domestici e la donna mostra loro la casa ricordando che una porta non va mai aperta prima che sia chiusa l’altra. Ma i domestici conoscono l’abitazione, ci hanno già lavorato tre anni prima. C’è un segreto familiare: Anne e Nicholas dicono che da qualche tempo la mamma è diventata matta. Grace manifesta una personalità molto rigida, mentre Anne afferma che in casa, oltre al fratello, c’è un bambino. Nicole Kidman è ormai un’attrice per tutte le stagioni. Non c’è ruolo, non c’è film che non la vedano protagonista efficace e versatile, capace di reggere sceneggiature d’autore così come film commerciali. È il caso di quest’opera che vuole consolidare il suo status di Grace Kelly degli anni Novanta, tenendo presente il bisogno di non far adagiare troppo a lungo il pubblico in poltrona. Brividi e colpo di scena non mancano.
Fondatore del Jeet Kune Do, Bruce Lee è considerato tra i più influenti artisti marziali di tutti i tempi, nonché l’attore più ricordato per la presentazione delle arti marziali cinesi al mondo. I suoi film, prodotti a Hong Kong e a Hollywood, elevarono a un nuovo livello di popolarità e gradimento le pellicole di arti marziali e l’interesse per questo tipo di discipline in Occidente. La direzione e il tono delle sue opere influenzarono profondamente i film di arti marziali di Hong Kong che, fino ad allora, avevano mostrato più un senso teatrale che realistico delle scene.
Attingendo all’ultima pellicola di Bruce Lee, rimasta inaccessibile per 28 anni, John Little crea una straordinaria panoramica sulla sua vita, in parte documentario (contenente scene inedite girate dallo stesso Lee) e in parte esperienza cinematografica (grazie alle scene tratte dall’inedito).
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