Archive for Aprile, 2024


I classici del cinema – Sfida infernale – Cisl Lombardia

Un film di John Ford. Con Henry Fonda, Linda Darnell, Victor Mature, Cathy Downs, Walter Brennan.Titolo originale My Darling Clementine. Western, Ratings: Kids+16, b/n durata 97 min. – USA1946. MYMONETRO Sfida infernale * * * * 1/2 valutazione media: 4,76 su 13 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

È il racconto classico della sfida combattuta all’OK Corral di Tombstone il 26 ottobre 1881 tra lo sceriffo Wyatt Earp, i suoi fratelli e il giocatore-beone Doc Holliday da una parte e il clan dei fratelli Clanton dall’altra. Quando John Ford dirigeva i suoi western muti Earp era ancora vivo, capitava sul set e si ubriacava giocosamente con le comparse. Ford gli offriva il caffè e si faceva raccontare la grande sfida. Anni dopo ha riprodotto a memoria quelle schegge di vita di frontiera e la manovra militare che ebbe per teatro il Corral. È un western molto bello, un classico e il più accorato di Ford. I personaggi esprimono una sorta di “gentilezza dei prodi” e vivono nell’atmosfera d’una canzone di gesta carica di nostalgia. Ford è imbevuto dello spirito reale della vita di frontiera, riproduce fedelmente lo stile con cui cowboys e fuorilegge rischiavano l’esistenza in un crogiuolo arroventato come Tombstone.
E il film è la più esatta – se non storicamente, come spirito – ricostruzione tra le molte che sono state fatte sull’episodio. Henry Fonda dipinge Wyatt Earp come un classico westerner onesto e crepuscolare: un personaggio quasi timido, il pistolero convertitosi in tutore della legge. La sua figura suggerisce i momenti più distesi del racconto: il riposo con un piede sulla seggiola inclinata e l’altro sulla balaustra della veranda, i colloqui intensi con Clementine, la memorabile scena del ballo. Ma la grande figura del film, un epico signore della frontiera degno di Francis Bret Harte, è “Doc” Holliday: un sorprendentemente bravo Victor Mature, medico con vocazione alla pistola, tubercolotico come nella miglior tradizione romantica, poeta maledetto che sa a memoria Shakespeare e che completa il monologo dell’ Amleto azzoppato dal patetico vuoto di memoria del vecchio attore. E deliziose, anche se un po’ in ombra, sono le figurine femminili: l’impetuosa, ardente Chihuahua di Linda Darnell, una sanguemisto dalla scollatura densa di profumo, e la magica Clementine, preziosa nella sua sommessa malinconia, tutta giocata su toni grigi poetici. Come quasi sempre in Ford la leggenda del West approda alla poesia e sfavilla in momenti di grande forza, anche se l’azione spesso cede alla descrizione lirico-nostalgica. Tra la storia e la leggenda Ford anche questa volta ha stampato la leggenda. Ma il vigore del sentimento dei personaggi, le figurine disegnate a tutto tondo, la ricchezza del racconto e la splendida descrizione dei paesaggi magistralmente fotografati nell’amata Monument Valley danno al film il tocco più prezioso dell’autenticità.

My Darling Clementine (1946) on IMDb
C'era una volta il West - Film (1968) - MYmovies.it

Un film di Sergio Leone. Con Charles Bronson, Henry Fonda, Claudia Cardinale, Jason Robards, Gabriele Ferzetti. Western, Ratings: Kids+13, durata 167′ min. – Italia 1968. MYMONETRO C’era una volta il West * * * * - valutazione media: 4,21 su 108 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Cinque personaggi si affrontano intorno a una sorgente: Morton (Ferzetti), magnate delle ferrovie, ha bisogno dell’acqua per le sue locomotive e fa eliminare i proprietari legittimi, i McBain, dal suo feroce sicario Frank (Fonda); Jill (Cardinale), ex prostituta, vedova di un McBain; il bandito Cheyenne (Robards), accusato della strage dei McBain; l’innominato dall’armonica (Bronson) che vuole vendicare il fratello (Wolff), assassinato da Frank e i suoi sgherri. Su un soggetto scritto dal regista con Dario Argento e Bernardo Bertolucci e sceneggiato con Sergio Donati, è una sorta di antologia del western in negativo in cui si ricorre ai suoi più scalcinati stereotipi. 3 attori americani di scuole diverse e il più famoso dei 3 (Fonda) scelto contro la parte. Il set non è più l’Andalusia, ma la Monument Valley di John Ford. In un film ricco di trasgressioni, Leone dilata madornalmente i tempi drammaturgici, contravvenendo alla dinamica del genere. Sotto il segno del titanismo si tende al teatro d’opera e alla sua liturgia. Dall’epica del treno, della prima ferrovia transcontinentale, si passa alla trenodia, al canto funebre sulla morte del West e dello spirito della Frontiera. Come in Sam Peckinpah.

Once Upon a Time in the West (1968) on IMDb

Un film di Sam Peckinpah. Con William Holden, Ernest Borgnine, Warren Oates, Robert Ryan, Edmond O’Brien. Titolo originale The Wild Bunch. Western, durata 134 min. – USA 1969. MYMONETRO Il mucchio selvaggio * * * * 1/2 valutazione media: 4,71 su 33 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

L’azione si svolge al confine messicano durante la rivoluzione di Pancho Villa. Un gruppo di banditi accetta di depredare per denaro un carico di armi destinate ai ribelli. Il colpo riesce sennonché uno dei malviventi, scoperto mentre nasconde una cassa del prezioso carico, viene torturato e ucciso. I suoi compagni, per vendicarlo, sparano sui regulares uccidendoli, ma rimanendone anche vittime. Il regista ha dipinto un affresco anticonformista descrivendo una realtà di miseria e squallore, lasciando parlare i peones messicani con il loro dialetto. Film importante; uno dei manifesti del tramonto del western. Mentre Butch Cassidy, l’altro grande western decadente, uscito nello stesso anno, è tenero e nostalgico, questo film è crudele e cinico.

The Wild Bunch (1969) on IMDb
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Un film di Howard Hawks. Con Kirk Douglas, Dewey Martin, Arthur Hunnicutt, Elizabeth Threatt, Barbara Hawks, Bon Belloe, Booth Coleman, Buddy Baer. Titolo originale The Big Sky. Western, b/n durata 112 min. – USA 1952. MYMONETRO Il grande cielo * * * * - valutazione media: 4,31 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

Missouri 1832. Jim (Douglas) e Bill (Martin) si incontrano e diventano amici, vanno a caccia e fanno baldoria. A S. Louis finiscono in gattabuia, ma escono grazie all’intervento di un commerciante che intende opporsi allo strapotere della Compagnia delle pellicce: risalirà il Missouri fino alle terre dei Piedi neri, forte di un eccezionale ostaggio, la figlia del capo indiano, che costituirà appunto da lasciapassare. Durante il viaggio la donna, misteriosa e silenziosa, coltiva i suoi sentimenti. Straordinario capolavoro western, opera di un regista che quattro anni prima aveva firmato un’altra pietra miliare del genere, Il fiume rosso. Hawks si poneva dunque nell’eccellenza dei film sull’ovest, a pochissima distanza da John Ford. Il film contiene tutti i grandi temi della frontiera, in maniera decisamente “fisica”: magnifica la natura, così come i tempi dell’avventura, e tutt’altro che banali gli intrecci dei rapporti. Hawks è stato titolare di minor mito rispetto a Ford, i suoi film sono più vicini a una buona verità. Una certa critica considera questo autore per certi versi più attendibile e completo di Ford stesso. Il grande cielo, del 1952, fa parte della più bella stagione del western (esattamente coetaneo di Mezzogiorno di fuoco), quando il cinema era ancora “muscolarmente” forte ed era perfezionato, ma capace di temi vasti positivi e ingenui che avrebbero resistito ancora per poco.

The Big Sky (1952) on IMDb
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Un film di Howard Hawks. Con John Wayne, Walter Brennan, Montgomery Clift, John Ireland. Titolo originale Red River. Western, b/n durata 125 min. – USA 1948. MYMONETRO Il fiume rosso * * * * 1/2 valutazione media: 4,67 su 10 recensioni di critica, pubblico e dizionari.


Un cowboy, Tom Dunson, lascia una carovana e assieme a un vecchio amico decide di diventare allevatore. Un giovane orfano, Matthew Garth, diventerà il suo figlioccio. Passano quindici anni e Dunson è diventato un ricco allevatore. Tra lui e il giovane Matthew c’è grande accordo. Ma Dunson si è trasformato. È duro e spietato con chi osa contrastarlo. Matthew lo affronta, lo disarma e lo abbandona al suo destino. Sarà il giovane a condurre una mandria di 8000 capi, ma senza l’intenzione di privare Dunson della sua proprietà. Dopo una lunga marcia Matthew giunge ad Abilene e vende la mandria a un ottimo prezzo. Nel frattempo giunge Dunson, che lo ha seguito con l’intenzione di vendicarsi. Ingaggiano un violento corpo a corpo, interrotto dall’intervento di Tess, la ragazza di Matthew. Sarà lei a far comprendere ai due uomini che l’affetto che li lega è ancora forte. Ora l’azienda di Dunson recherà anche il marchio di Matthew. Chi volesse porre Il fiume rosso in cima alle sue preferenze non sbaglierebbe. Il film, che da molti anni circola in Italia in un’edizione mutilata di circa mezz’ora, è epico senza sconfinare nella convenzione hollywoodiana.

È rivoluzionario nello svolgimento del racconto, specie quando rappresenta la spietatezza di Dunson. La stessa ferocia che Wayne sfodera in Sentieri selvaggi. Tutto il racconto è il paradigma della letteratura western, Ford compreso. Due maestri di tale grandezza sono accumunati dal tema e dal suo svolgimento. Gli attori non a caso sono gli stessi. Naturalmente lo stile Hawks si evidenzia nei tempi del racconto, che sono più larghi rispetto a Ford, più incline al sentimentalismo di stampo irlandese. Hawks è americano nel tratto epico e nella raffinatezza dei dialoghi. Le sequenze da ricordare sono numerose e hanno ispirato buona parte dei western. La partenza notturna della mandria è stata rifatta da Dick Richards in Fango, sudore e polvere da sparo, con un ostentato omaggio al maestro. Sorprendente la presenza del ventottenne Montgomery Clift, nel suo primo e unico western. Il suo modo di guardare l’interlocutore e la sua intensità erano merce rara a quei tempi. Ma la sinergia che sprigiona la coppia Wayne-Clift è frutto proprio della loro diversità e dimostra come il bistrattato John Wayne fosse un notevole attore. I critici del tempo si erano sbizzarriti nel cercare elementi di giudizio che conducessero i personaggi nei dintorni di una tragedia greca. Una presunta e malcelata omosessualità dei due protagonisti è il tema ossessivo, che come una maledizione si era abbattuto sui compilatori dei “Cahier” e sui loro malridotti epigoni. Impossibile raccontare un’amicizia virile senza dovere fare i conti con la psicanalisi, di cui hanno tanto bisogno numerosi cinefili, che ammorbano le limpide acque delle avventure en plein air.

Red River (1948) on IMDb
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La cosiddetta Trilogia del dollaro, altrimenti conosciuta come Trilogia dell’uomo senza nome, comprende i tre primi film western diretti dal regista romano Sergio Leone e aventi per protagonista un giovane Clint Eastwood, con le colonne sonore di Ennio Morricone.

Benché non fosse nelle intenzioni di Sergio Leone i tre film vennero considerati parte di una trilogia grazie al successo della figura enigmatica dell’Uomo senza nome (Clint Eastwood, che indossa gli stessi abiti e recita con la stessa mimica in tutti e tre i film). Il buono, il brutto, il cattivo viene considerato da molti un prequel, poiché il personaggio di Eastwood trova gradualmente gli abiti che indossa negli altri due film. Inoltre, nell’ultimo film la Guerra di secessione americana è in pieno svolgimento, mentre nel secondo probabilmente è già conclusa. In realtà Sergio Leone non ha mai dato ulteriori informazioni sull’argomento. Leone, probabilmente, non rinuncia a scherzare e la questione dell’antefatto non va presa alla lettera: è uno dei tanti modi che il regista usa per giocare con i personaggi e con il pubblico. Secondo i ricordi di Carlo Verdone, che nel 2009condusse uno speciale su Sky dedicato alla carriera di Sergio Leone dal titolo Verdone racconta Leone, il regista aveva chiesto alla produzione americana attori di spicco come Charles Bronson ed Henry Fonda. Essi, non conoscendo Leone, chiesero molti soldi pur di non fare i film. Al regista fu allora suggerito un giovane Clint Eastwood, reduce del successo della serie televisiva Rawhide.

All’interno della trilogia si sviluppa anche il personaggio caratteristico dell’Uomo senza nome: il protagonista è sempre lo stesso uomo, con gli stessi atteggiamenti e vestito sempre dello stesso sarape e dello stesso cappello. Occasionalmente il personaggio ha un nome. Per esempio, nella sceneggiatura de Il buono, il brutto, il cattivo viene chiamato Joe, anche se nel film quel nome non viene mai pronunciato. Gli altri personaggi lo chiamano semplicemente “il biondo”. Nel primo dei tre film viene chiamato Joe per tre volte, mentre nel secondo è conosciuto come “il monco”, per via dell’utilizzo della mano destra unicamente per sparare. Nella trilogia del dollaro la voce italiana di Clint Eastwood era di Enrico Maria Salerno.

A Fistful of Dollars (1964) on IMDb
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The Crown è una serie televisiva anglo-americana creata e scritta da Peter Morgan per Netflix. La serie è incentrata sulla vita di Elisabetta II del Regno Unito e sulla famiglia reale britannica.

Morgan ha pianificato sei stagioni da dieci episodi ciascuno per coprire tutta la vita della regina Elisabetta, con l’intenzione di cambiare il cast principale ogni due stagioni. Claire Foy interpreta la protagonista nei primi anni del suo regno, affiancata da Matt Smith nei panni del principe Filippo e Vanessa Kirby nel ruolo della principessa Margaret. La serie è girata agli Elstree Studios nell’Hertfordshire, oltre che in varie location nel Regno Unito.

The Crown racconta la storia della regina Elisabetta II dal suo matrimonio nel 1947 ai giorni nostri. La prima stagione copre gli anni che vanno dal 1947, anno del matrimonio tra Elisabetta e Filippo di Edimburgo fino allo scoppio della crisi di Suez nel 1956. La seconda stagione coprirà un arco temporale di nove anni, fino al 1964.

The Crown (2016) on IMDb

Serie veramente ben fatta, ho visto le prime quattro stagioni e mi sono piaciute molto.

Il Leone d’oro al miglior film della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia viene assegnato annualmente al film votato come migliore.

Prima del 1942, la Coppa Mussolini era “doppia” (miglior film italiano e miglior film straniero). I festival dal 1940 al 1942 non si svolsero nella città lagunare e per questo motivo non sempre vengono riconosciuti; i film vincitori di quelle tre edizioni furono comunque premiati con la “Coppa Mussolini”.

Per quel che riguarda i “buchi” dell’elenco: la Mostra del 1946 e i relativi premi non sono da includere nel conteggio ufficiale delle edizioni, dal 1969 al 1972 la Mostra si svolse senza assegnazione di premi, mentre nel 1973 non venne organizzata. Nel 1974, 1975 e 1976 venne organizzata solo una sezione “cinema” nell’ambito della Biennale. Nel 1977 e 1978 venne organizzata solo una retrospettiva cinematografica sempre nell’ambito della Biennale. Nel 1979 la Mostra tornò ad essere organizzata ma senza assegnare premi.

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Regia di Gianfranco Rosi. Un film Da vedere 2013 Genere Documentario, – Italia2013durata 93 minuti. Uscita cinema giovedì 19 settembre 2013 distribuito da Officine Ubu. – MYmonetro 2,95 su 7 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Intorno al Grande raccordo anulare di Roma (GRA) si svolgono diverse esistenze. Un nobile piemontese decaduto che vive con la figlia in un appartamento in periferia (accanto ad un dj indiano), un pescatore d’anguille, un esperto botanico che combatte per la sopravvivenza delle palme, un paramedico con una madre affetta da demenza senile, delle prostitute transessuali, un nobile che vive in un castello affittato come set per fotoromanzi, alcuni fedeli che osservano un’esclisse al Divino Amore attribuendola alla Madonna e delle ragazze immagine di un bar.
Nonostante sia raccontato in maniera non lineare, incrociando le diverse storie che il regista ha scelto di seguire, Sacro GRA appare come un road movie che non attraversa nulla, come se il regista avesse solcato un territorio fermandosi in diversi punti per documentarne l’eterogeneità. Invece è un cerchio il percorso battuto in due anni di lavorazione, tragitto che per antonomasia non conduce a nulla ma collega tutto.
Intorno alla mastodontica struttura che racchiude Roma Rosi ha studiato l’elemento umano, come sempre avviene nei suoi documentari che partono da un paesaggio per indagare i suoi abitanti. In questo caso il paesaggio umano che si muove nel paesaggio urbano a pochi metri dal raccordo, visto attraverso il montaggio che il regista fa delle decine di ore di materiale girato, diventa un paesaggio cinematografico.
Se il cinema di finzione ha la capacità di fondare la mitologia dei luoghi realmente esistenti in cui sceglie di ambientare le sue storie, Sacro GRA scarta subito la soluzione più semplice solitamente lasciata ai documentari e riprende pochissimo il raccordo in sè. Sono gli uomini a definire il luogo e non viceversa, un’umanità assurda, paradossale e imprevedibile. Persone e caratteri che la realtà sembra ereditare dal cinema (tanto che ci si chiede cosa si sia ispirato a cosa).
Si fa infatti fatica ad accettare la realtà documentaristica delle storie di Sacro GRA tanto il loro svolgersi pare in linea con i dettami e gli stilemi dei generi del cinema. Alcuni segmenti ricordano le commedie italiane anni ’50, altri hanno personaggi che parlano di “antipasti della vendetta” e di attacchi come in un film di guerra, altri sono apertamente grotteschi e caricaturali, altri ancora non disdegnano il dramma intimista della vecchiaia o il kammerspiel, con una finestra a fare da frame nel frame.
In ogni caso è la capacità fuori dal normale di Gianfranco Rosi di posizionare la videocamera (quindi scegliere il suo punto di vista sugli eventi) a provocare la trasfigurazione del reale in mitologia del cinema. Come se fosse andato ai confini del mondo (e invece, lo si ripete, ha solo girato in tondo) Rosi riesce a distruggere ogni convenzione documentarista per trovare il cinema nella realtà attraverso lo sguardo e raccontare così il paesaggio umano più vicino a noi (dopo i narcos di El sicario e i messicani di Below sea level). Nato ad Asmara, con nazionalità italiana e americana, nell’85 si trasferisce a New York dove studia alla New York University Film School. Il suo primo mediometraggio, Boatman, risale al 1993 e viene presentato in vari festival internazionali. In seguito presenta alla Mostra del Cinema di Venezia Afterwords, nel 2001, e Below Sea Level, nel 2008, che si aggiudica i premi Orizzonti e Doc/It. Il film vince anche il premio come miglior documentario al Bellaria Film Festival, i Grand Prix e il Prix des Jeunes al Cinéma du Réel del 2009, il premio per il miglior film al One World Film Festival di Praga, il Premio Vittorio De Seta al Bif&st 2009 per il miglior documentario ed è nominato come miglior documentario all’European Film Awards 2009.
Del 2010 è invece il lungometraggio El sicario – Room 164, film-intervista su un sicario messicano che vince diversi premi. Dirige inoltre varie pubblicità progresso, ma il successo vero e proprio arriva nel 2013, quando il suo documentario Sacro GRA, che racconta vite difficili intorno al Grande Raccordo Anulare di Roma, vince il il Leone d’oro al miglior film alla 70ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia.

Sacro GRA (2013) on IMDb

Regia di Laura Poitras. Un film Da vedere 2022 con Nan GoldinAlfonse D’amatoEd KochJohn MearsheimerCookie MuellerCast completo Titolo originale: All the Beauty and the Bloodshed. Genere Documentario, – USA2022durata 113 minuti. Uscita cinema domenica 12 febbraio 2023 distribuito da I Wonder Pictures. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 – MYmonetro 3,47 su 25 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Nel 2018, insieme all’associazione da lei fondata, PAIN (acronimo di Prescription Addiction Intervention Now), la nota fotografa Nan Goldin è protagonista di un’azione di protesta presso il MET di New York. È la prima di una serie di contestazioni plateali che puntano alla cancellazione del nome della famiglia Sackler (fondatrice e proprietaria di una delle più importanti case farmaceutiche statunitensi) dall’elenco dei nomi dei sostenitori e dalle sale o donazioni a loro intitolate. Il primo passo simbolico per denunciare le micidiali ricadute del fenomeno noto come “epidemia degli oppioidi”, il consumo massiccio e indotto di farmaci a base di ossicodone (che provocano una forte dipendenza e portano a dipendenze maggiori): centosettemila morti per overdose negli Stati Uniti solo nel 2021, con tutte le conseguenze sociali ed economiche derivanti.

In quanto parte di una generazione che ha avuto grande familiarità con le droghe, sopravvissuta lei stessa a un’overdose e alla tragica sottovalutazione dell’AIDS, Goldin è particolarmente decisa a combattere la battaglia. E racconta senza filtri alla macchina da presa di Laura Poitras, che la segue per tre anni, molte questioni personali.

Quella originaria è strettamente legata a una concezione impropria e criminale della medicalizzazione, che ha portato al suicidio della sorella Barbara. Un trauma da sempre negato e censurato dalla famiglia.

La guerra americana in Iraq (My Country, My Country), il terrorismo islamico e Guantanamo (The Oath), Julian Assange e Wikileaks (Risk), Edward Snowden (Citizenfour): con la stessa intraprendenza e sprezzo del pericolo, per il suo ultimo film, in concorso a Venezia 2022, Laura Poitras continua a scegliere contesti e individui di eccezionale resistenza e anticonformismo. Ma in All the Beauty and the Bloodshed (“tutta la bellezza e lo spargimento di sangue”, una citazione che ha a che fare con “Cuore di tenebra” di Joseph Conrad, il cui senso è svelato nel finale) la traccia investigativa, giornalistica, caratteristica suoi lavori precedenti, ha uno spazio meno preponderante, affidato in parte agli interventi di Patrick Radden Keefe (autore di “L’impero del dolore”, libro inchiesta sulla dinastia Sackler, che finanzia anche università come Harvard, ed è costruito sulla fortuna del Valium).

In primo piano sta invece quasi sempre l’insieme dell’opera di Nan Goldin, intrecciata a una biografia selvaggia, ai margini. Classe 1953, cresciuta in un sobborgo borghese per poi essere data in affido e aver vissuto nel nomadismo ribelle tra varie sottoculture, Goldin è nota per le sue sequenze di diapositive proiettate come film prima nei locali underground e poi nelle gallerie, la più nota delle quali è “The Ballad of Sexual Dependency”.

Una serie di scatti realizzati tra fine anni ’70 e anni ’80, nella comunità artistica libera e trasgressiva di New York, dove Goldin ha trovato la sua famiglia d’elezione. Quella che ritrae in foto intime, spesso di nudo, in interni ordinari quando non squallidi, a messinscena zero. Una costellazione di dropout da discografia dei Velvet Underground, un’umanità di drag queen, prostitute, performer, punk, persone amate. Molte decimate dall’HIV, identificato come malattia degli omosessuali maschi e anche questo, proprio come l’abuso di farmaci oppioidi, sottovalutato dalla politica.

All the Beauty and the Bloodshed (2022) on IMDb

Regia di Krzysztof Zanussi. Un film con Maja KomorowskaScott WilsonEwa DalkowskaVadim GlownaDanny Webb. Titolo originale: Rok spokojnego slonca. Genere Drammatico – Polonia1984durata 106 minuti.

Siamo nel 1946, la seconda guerra mondiale è terminata da poco e in una piccola città – che ora fa parte della Polonia ma prima era tedesca – una giovane vedova, Emilia, incontra un soldato americano, Norman, che deve indagare sui crimini di guerra. Entrambi, sconvolti dalla guerra, arrivano lentamente a capire che il passato non conta: per quanto possa essere stato difficile e pieno di sofferenza, l’amore e la speranza sono sempre possibili. Premiato con il Leone d’oro alla Mostra di Venezia.

A Year of the Quiet Sun (1984) on IMDb

Edit 20/4/24 I subita che ho integrato nel file sono difettosi e si fermano al 15° minuto. Nella cartella trovate un file .srt con i subita funzionanti (tradotti con google, potrebbero esserci delle imprecisioni)

Regia di Audrey Diwan. Un film Da vedere 2021 con Anamaria VartolomeiKacey Mottet KleinLuàna BajramiLouise Orry-DiquéroCast completo Titolo originale: L’evènement. Genere Drammatico, – Francia2021durata 100 minuti. Uscita cinema giovedì 4 novembre 2021 distribuito da Europictures. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +13 – MYmonetro 3,11 su 27 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Francia, 1963. Anne ama la letteratura e ha deciso di farne un mestiere, fuggendo un destino proletario. Sui banchi è brillante, sulla pista da ballo altrettanto. Tra una birra e un twist, dribbla gli uomini che la desiderano come in un romanzo rosa. Ma Anne preferisce la letteratura alta e affonda gli occhi blu tra le pagine di Sartre e di Camus. In un ambiente e in un Paese che condanna il suo desiderio e guarda con diffidenza alla sua differenza, Anne scopre un giorno di essere incinta e privata della libertà di decidere del proprio corpo e del proprio futuro. Intanto conta le settimane e cerca disperatamente di trovare una soluzione.

L’événement non è un film da cui si esce indenni. Adattamento del romanzo omonimo di Annie Ernaux, è la storia cruda di una ragazza al debutto della vita per cui è inimmaginabile avere un bambino e rinunciare ai suoi sogni.

Prima della legalizzazione dell’aborto e l’arrivo della pillola contraccettiva, l’interruzione della gravidanza per una donna era un campo di battaglia, il teatro di un vero dramma. L’evento del titolo accade quindici anni prima la Loi Veil, che segna un pre e un dopo. Nella Francia degli anni Sessanta, medici e pazienti rischiavano la prigione in caso di aborto. Prima che una legge consentisse a una donna il diritto all’interruzione volontaria, le donne non avevano scelta e non potevano scegliere di non avere un figlio. Rischiavano la propria salute abortendo clandestinamente e giocandosi a dadi il destino.

Emancipato con cognizione dalle questioni di coscienza, L’événement è soprattutto un’esperienza fisica, un viaggio corporale così freddo e preciso, così netto e frontale da sentire il gemito delle spettatrici in sala quando una sonda abortiva penetra il sesso della protagonista. Audrey Diwan gira in 4:3 e camera in spalla negandoci la via di fuga. Non abbiamo scelta, sentiremo da vicino tutte le emozioni di Anne. Come per la protagonista il mondo fuori non esiste. Non c’è fuori campo per noi e non c’è nessuno per lei, nessuno pronto ad aiutarla, a sostenerla, a consigliarla, a dirle anche solo che andrà tutto bene.

Non esistono personaggi empatici nel film di Audrey Diwan, secco come uno schiaffo ma riparatore come una carezza perché a prevalere alla fine è il corpo finalmente ‘liberato’ di una donna. Delle donne. Come in ogni libro di Annie Ernaux, il peccato è originale e la vergogna finisce per travolgere. Tutto il mondo si beffa delle sue protagoniste, che smettono di mangiare o di studiare come Anne, che perde la concentrazione e rischia l’avvenire letterario.

Happening (2021) on IMDb
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Un film di Clint Eastwood. Con Ryan Phillippe, Jesse Bradford, Adam Beach, Barry Pepper, John Benjamin Hickey. Guerra, durata 130 min. – USA 2006. uscita venerdì 10 novembre 2006. MYMONETRO Flags of Our Fathers * * * 1/2 - valutazione media: 3,63 su 70 recensioni di critica, pubblico e dizionari.

È il 1° film di guerra che prende spunto da una fotografia; il 1° dove i combattimenti sono raccontati con l’ottica di un infermiere; il 1° in cui tre soldati, che negano di esserlo, recitano la parte di eroi, trasformati in simboli utili per raccogliere, in war bonds , 14 miliardi di dollari, necessari per continuare la guerra e vincerla; il 1° che, con la stessa regia, ha per gemello e contraltare un film che racconta la stessa storia dal punto di vista del nemico ( Lettere da Iwo Jima ). Ispirato a un libro (2000) di James Bradley, figlio di John “Doc” Bradley, uno dei 6 (il marinaio-infermiere, gli altri erano marines) che il 25 febbraio 1945, 4 giorni dopo lo sbarco, innalzarono (due volte) la bandiera sul monte Suribachi, gesto immortalato dal fotoreporter Joe Rosenthal, premiato con il Pulitzer. Prodotto da Steven Spielberg, sceneggiato da Paul Haggis e William Browley Jr., è un film corale scomponibile in 3 livelli temporali a incastro: a) il presente (interpretati da attori, i vecchi superstiti sono intervistati dal narratore Bradley); b) i combattimenti sull’isola vulcanica che durarono 35 giorni (e vi morirono quasi 20 000 giapponesi e più di 6000 marines); c) la tournée attraverso gli USA dei tre sopravvissuti dell’alzabandiera. Nato da uno pseudo-evento, precursore dell’era delle guerre-spettacolo condotte con la gestione delle loro immagini e l’occultamento di quelle sgradevoli, è un film labirintico e complesso nella sua semplicità, avvicinabile più che a Salvate il soldato Ryan al cinema di Samuel Fuller, secondo il quale “in guerra non esistono eroi, ma soltanto sopravvissuti”. Oltre al suo tema centrale – l’analisi dell’iprocrisia, della retorica, del patriottismo conclamato – emerge il tema, anzi il sentimento, della malinconia struggente dei tre superstiti che, trasformati in grotteschi eroi mediatici, ritornano alle loro vite banali. La vicenda del pellerossa Ira Hayes (Beach) – cui nel 1964 Johnny Cash dedicò una ballata – è eloquente. A questa materia corrispondono con ammirevole coerenza la regia di Eastwood, la trasparenza classica della sua scrittura, l’ironia riflessiva, il gusto per le ombre e le penombre.

Flags of Our Fathers (2006) on IMDb

Regia di Todd Phillips. Un film Da vedere 2019 con Joaquin PhoenixRobert De NiroZazie BeetzFrances ConroyMarc MaronCast completo Titolo originale: Joker. Genere AzioneAvventura, – USA2019durata 122 minuti. Uscita cinema giovedì 3 ottobre 2019 distribuito da Warner Bros Italia. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: V.M. 14 – MYmonetro 3,68 su 41 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Arthur Fleck vive con l’anziana madre in un palazzone fatiscente e sbarca il lunario facendo pubblicità per la strada travestito da clown, in attesa di avere il giusto materiale per realizzare il desiderio di fare il comico. La sua vita, però, è una tragedia: ignorato, calpestato, bullizzato, preso in giro da da chiunque, ha sviluppato un tic nervoso che lo fa ridere a sproposito incontrollabilmente, rendendolo inquietante e allontanando ulteriormente da lui ogni possibile relazione sociale. Ma un giorno Arthur non ce la fa più e reagisce violentemente, pistola alla mano. Mentre la polizia di Gotham City dà la caccia al clown killer, la popolazione lo elegge a eroe metropolitano, simbolo della rivolta degli oppressi contro l’arroganza dei ricchi.

Si presenta con una carta, il Fleck di Todd Phillips, ma non è una carta da gioco: è il documento di una malattia mentale, che lo rende un emarginato, un rifiuto della società, come ci dice la prima sequenza del film, sovrapponendo al suo volto la cronaca di una città allo sbando, sommersa dalla spazzatura fisica e metaforica.

Primo stand-alone sul più famoso villain della DC Comics, il film di Todd Phillips esplora dunque la nascita di un mostro prodotto dalla società stessa, creato e nutrito da illusioni e delusioni, maltrattamenti fisici e psichici, nell’epoca che mescola spettacolo pubblico e degrado morale.

Ambientata nei primi anni ’80, l’origin story diretta, prodotta e co-scritta da Phillips colma i vuoti strategici lasciati nel passato del personaggio, mescolando le indicazioni di Alan Moore e Brian Bolland con la cronaca vera americana e con l’omaggio al cinema coevo di ScorseseRe per una notte e Taxi Driver in particolare. Parallelamente alla costruzione narrativa della maschera di Joker, siamo invitati ad assistere alla costruzione interpretativa del personaggio che Joaquin Phoenix compie sotto i nostri occhi, trasformandosi fisicamente in altro da sé, aggiungendo energia man mano che perde peso, liberandosi progressivamente dal diktat del sorriso socialmente conveniente (“It’s so hard to be Happy all the time”) per riscrivere radicalmente e alla propria maniera le regole della commedia della vita.

Joker (2019) on IMDb

Regia di Lav Diaz. Un film Da vedere 2016 con Charo Santos-ConcioJohn Lloyd CruzShamaine BuencaminoNonie BuencaminoMichael De Mesa. Titolo originale: Ang babaeng humayo. Genere Drammatico, – Filippine2016durata 226 minuti. distribuito da Microcinema. Valutazione: 3,50 Stelle, sulla base di 2 recensioni.

1997. Trent’anni dopo la sua incarcerazione per un delitto che non ha commesso, Horacia viene rimessa in libertà. Inizia così il percorso della donna alla ricerca del suo passato: il marito, la figlia ormai adulta, il figlio scomparso e l’uomo che l’ha fatta arrestare ingiustamente. Non sarà facile per Horacia rimettere insieme la propria esistenza, frammentata come quella del suo paese, le Filippine, in un momento storico dominato dalla paura, dalla violenza e dallo smarrimento identitario.
Lav Diaz si è ispirato al racconto di Tolstoj “Dio vede la verità ma non la rivela subito” per raccontare il modo in cui la casualità dell’esistenza ci conduce in direzioni impreviste senza che alcuno possa arrogarsi il diritto di stabilire ciò che per noi è davvero positivo. Ancora una volta il regista-sceneggiatore-montatore-direttore della fotografia filippino prende possesso del tempo e dello spazio e lo dilata a seconda delle esigenze della storia che racconta, e che si dipana davanti ai nostri occhi con la calma dell’attesa: quella di Horacia, ma anche la nostra, nell’aspettare la materializzazione degli innumerevoli piccoli miracoli.

The Woman Who Left (2016) on IMDb

Regia di Lorenzo Vigas. Un film Da vedere 2015 con Alfredo CastroLuis SilvaJericó MontillaCatherina CardozoMarcos MorenoCast completo Titolo originale: Desde allà. Genere Drammatico, – VenezuelaMessico2015durata 93 minuti. Uscita cinema giovedì 21 gennaio 2016 distribuito da Cinema. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: V.M. 14 – MYmonetro 3,54 su 7 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

A Caracas Armando, 50enne proprietario di un laboratorio odontoiatrico, sottoposto ad abusi dal padre quando era piccolo, vive in solitudine. Paga giovani sbandati che rimorchia per strada perché si spoglino a casa sua. Senza toccarli. L’incontro con il giovane Elder – orfano di padre, sottoproletario violento e anch’egli vittima di una società machista – sconvolgerà la vita di entrambi. Tremendo film, asciutto e rigoroso, originale e profondo, sul “danno”, sulla difficoltà a non ripetere gli errori subiti, sulla mancanza di trasmissione di etica e ideali, sulla orfanaggine più profonda. Forse anche, ma in seconda battuta, metafora sui rapporti di potere e sopraffazione delle classi sociali. Leone d’oro al film dell’esordiente Vigas, prima presenza del Venezuela nella storia di Venezia.

From Afar (2015) on IMDb

Regia di Roy Andersson. Un film Da vedere 2014 con Holger AnderssonNisse VestblomLotti TörnrosCharlotta LarssonViktor GyllenbergCast completo Titolo originale: En Duva Satt På En Gren Och Funderade På Tillvaron. Genere Commedia drammatica, – Svezia2014durata 100 minuti. Uscita cinema giovedì 19 febbraio 2015 distribuito da Lucky Red. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: +16 – MYmonetro 3,38 su 6 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Un anziano muore d’infarto mentre stappa una bottiglia; un’attempata insegnante di flamenco tocca il suo giovane allievo che la rifiuta; una taverniera zoppa offre da bere a giovani squattrinati per un bacio; in un bar irrompono soldati del ‘700 e il re Carlo XII (1682-1718) che si invaghisce del barista; militari inglesi del primo ‘900 ustionano vivi schiavi africani in un cilindro metallico che trasforma le loro urla in musica sublime per ricchi bianchi. Sono alcuni di 39 tableaux vivants , ognuno un piano-sequenza, a volte parzialmente intersecati. 5° lungo del regista svedese, il 1° in digitale, con Canzoni del secondo piano (2000) e You, the Living – Gioisci dunque o vivente! (2007) completa un trittico sull’esistenza umana che ha la forma di un puzzle. È un film pittorico, ispirato a Otto Dix (1891-1969) e Georg Scholz (1890-1945), che comunica, più che con le parole – ridotte a tormentoni di luoghi comuni -, attraverso immagini impeccabili, tutte in toni diversi, ma ugualmente spenti, di beige-verde (fotografia di István Borbás e Gergely Pálos), al fine di indurre contemplazione e riflessione. Lo fa col tocco leggero dell’ironia, fondendo tragico e comico, tanto da suscitare la smorfia e il sorriso allo stesso tempo. Andersson chiama la sua poetica “trivialismo”, o anche “super-realismo”, perché per lui l’essenza dell’uomo sta nella coscienza della propria banalità. La sua è una poetica dell’umiltà e del distacco ironico contro ogni superomismo e ogni fanatismo. Le si attaglia una sentenza di Pascal: “L’uomo è solo una canna, la più fragile della natura; ma è una canna che pensa”. Leone d’oro a Venezia 2014. Distribuisce Lucky Red.

 Un piccione seduto su un ramo riflette sull'esistenza
(2014) on IMDb

Regia di Rainer Werner Fassbinder. Un film Da vedere 1982 con Brad DavisFranco NeroJeanne MoreauLaurent MaletHanno PoschlCast completo Titolo originale: Querelle. Genere Drammatico – Germania1982durata 106 minuti. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: V.M. 18 – MYmonetro 3,26 su 3 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Le peripezie – il calvario? – del marinaio Querelle (Davis) che sbarca a Brest e va incontro al suo destino di contrabbandiere d’oppio, sodomita, assassino. Ultimo film di Fassbinder, in concorso a Venezia nel settembre dello stesso anno e distribuito in Italia (dopo una bocciatura in censura) con 48 m (meno di 2 minuti) in meno e il titolo del romanzo (1947) di Jean Genet da cui è tratto. Sebbene la tematica della violenza e della sopraffazione che dominano i rapporti umani sia costante nel cinema di Fassbinder, anche nei suoi film di taglio omosessuale ( Le lacrime amare di Petra von Kant , Il diritto del più forte ), non sembra felice il suo incontro con Genet che tende a fare un’esaltazione mistica dell’abiezione e del delitto. Fassbinder non è mai stato un mistico. A livello figurativo il fascino del film è innegabile per la glaciale sapienza luministica (giallo, arancio, blu) e la stilizzazione teatrale della scenografia, ma forte è il sospetto che si tratti di un film manieristico e decorativo, sia pur di un manierismo di alta classe. C’è stilizzazione, non stile.

 Querelle de Brest
(1982) on IMDb

Regia di Roger Michell. Un film con Anne ReidDaniel CraigPeter VaughanAnna Wilson Jones, Danira Govich. Genere Drammatico – Gran Bretagna2003durata 112 minuti. – MYmonetro 3,13 su 6 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Rimasta vedova e impreparata alla vecchiaia, la provinciale sessantenne May è accolta nella bella casa londinese del figlio Bobby e poi in quella più povera di sua figlia Paula e inizia di nascosto una relazione con l’amante di lei, il falegname anticonformista Darren, scoprendo finalmente i piaceri del sesso. Nonostante le apparenze, il linguaggio registico del poliedrico Michell conta più della sceneggiatura di H. Kureishi, tratta da un racconto in Il corpo (2002), che pure ha il merito di trasgredire il tabù dell’inconoscibile e misconosciuta sessualità dell’alta età femminile. Dopo una 1ª parte apprezzabile per finezza psicologica e descrizione ambientale, Kureishi impregna l’invettiva di Gide (“Vi odio, famiglie!”) di una misantropia nichilista, venata di misoginia. Inquinano, nel loro crudo naturalismo, l’ultima mezz’ora e persino l’unico personaggio positivo, la protagonista May che la teatrante Reid impersona con un’intensità dolce, non priva di durezza ribelle. Girato in esterni a Shepherds Bush Green, quartiere di Londra, con un’incursione nella nuova Tate Gallery.

 The Mother
(2003) on IMDb

Regia di André Øvredal. Un film Da vedere 2023 con Corey HawkinsAisling FranciosiLiam CunninghamDavid DastmalchianChris WalleyCast completo Titolo originale: The Last Voyage of Demeter. Genere Horror, – USA2023durata 118 minuti. Uscita cinema giovedì 10 agosto 2023 distribuito da 01 Distribution. Consigli per la visione di bambini e ragazzi: V.M. 14 – MYmonetro 3,10 su 6 recensioni tra criticapubblico e dizionari.

Whitby, Inghilterra, agosto 1897. La nave mercantile russa Demeter si è incagliata sugli scogli e dell’equipaggio non c’è traccia. Viene ritrovato soltanto il diario di bordo del capitano Eliot. Porto di Varna, Bulgaria, 4 settimane prima. Demeter sta per partire ed è a corto di uomini. Al gruppo si unisce anche Clemens, un medico inglese che ha appena salvato la vita a Toby, il nipote del capitano. Durante la traversata però iniziano a verificarsi dei fenomeni premonitori. Viene trovata una giovane donna, Anna, nella stiva, in pessime condizioni di salute e inizialmente è considerata come una clandestina. Poi viene sterminato tutto il bestiame. All’inizio si pensa a un’epidemia. La verità invece è molto più tragica.

The Last Voyage of the Demeter (2023) on IMDb