Alla vigilia della 2ª guerra mondiale, un giovanotto che lavora in una fabbrica di munizioni del Nevada è accusato ingiustamente di sabotaggio. Si nasconde, incontra una ragazza che l’aiuta a smascherare i veri sabotatori. Coinvolgente thriller bellico girato con molti mezzi che si conclude con la famosa sequenza mozzafiato sulla statua della Libertà. C’è un uso ripetuto del teleobiettivo. Alla sceneggiatura collaborò la squisita Dorothy Parker.
Roddy, primogenito di una famiglia benestante, viene espulso da scuola, accusato di un furto commesso dal suo amico Tim. La famiglia lo allontana e tutti i suoi amici lo abbandonano, così decide di andare a Parigi, dove spende i pochi soldi che ha. Roddy comincia a lavorare come ballerino, ma presto diventa vittima dell’alcolismo. Sogna di andarsene dall’Europa, verso una delle colonie inglesi, ma quando cerca di partire alcuni marinai lo riportano indietro, confidando in una ricompensa da parte dei suoi familiari…
Per una serie di incredibili coincidenze, Manny Ballister viene scambiato per un ladro che ossessiona un’intera città con i suoi furti. L’uomo deve provare la sua innocenza, ma le persone che potrebbero aiutarlo sembrano scomparse dalla circolazione. La moglie di Manny è quella che risente in modo più drammatico della situazione.
Iconiugi Smith, che pur bisticciando spesso si amano teneramente, scoprono un bel giorno di non essere ufficialmente sposati, perché il loro matrimonio, per un disguido burocratico, non è valido. Prima di regolarizzare la posizione, lui farà sospirare a lungo la sposina per ammorbidirne il carattere.
Un giovane inglese giunto in Australia verso il 1830 conosce la misteriosa Lady Considine, una nobile che è fuggita con uno stalliere il quale per amor suo ha commesso un omicidio. L’uomo è stato condannato alla deportazione in colonia e la moglie lo ha seguito. Ormai indifferente al marito, è divenuta alcolizzata. L’invidiosa governante dei Considine mette il giovane in cattiva luce presso il padrone di casa.
Scienziato USA, specialista in congegni antimissilistici, finge di passare al servizio dei comunisti e con la fidanzata si reca a Berlino Est e a Lipsia, s’impadronisce di una formula segreta. Il rientro è rocambolesco. 50° film di Hitchcock, scritto da Brian Moore e riscritto da Keith Waterhouse e Willis Hall (non accreditati). Non è uno dei suoi film più riusciti anche perché, trasformata la formula segreta in un tipico MacGuffin, cioè un pretesto, Hitch s’interessa soprattutto al conflitto psicologico tra i due protagonisti, sui dubbi che lei, ignara (una Andrews fuori parte, imposta dall’Universal), ha sulla fedeltà personale e patriottica di lui. Memorabili momenti di suspense. L’uccisione di Gromek è da antologia. Spionaggio alla terza potenza e risvolti di umor nero.
Un pescatore dell’isola di Man, Pete, ama Kate, ragazza figlia di un albergatore. Non avendo però il coraggio di andare dal padre di lei a chiedergli la benedizione per il matrimonio, prega un suo amico, Philip, di farlo al posto suo. Riceve un netto rifiuto poiché troppo povero e, col cuore a pezzi, parte alla ricerca di fortuna: Kate gli promette che lo aspetterà e Philip che veglierà su di lei fino al suo ritorno. Col passare del tempo i due giovani però si innamorano ma mostrano i loro sentimenti solo dopo la notizia della morte di Pete. La verità, invece, è che il pescatore è riuscito a scampare ad un terribile naufragio e, fatto ritorno sull’isola, ignaro della relazione tra i due, sposa comunque Kate. Il figlio che la ragazza aspetta è però di Philip, al quale Kate aveva chiesto di fuggire insieme a lei, ma dal quale aveva ricevuto un netto rifiuto a causa del timore del ragazzo di rovinare la sua carriera di magistrato. Kate non regge alla disperazione e cerca il suicidio in mare: viene salvata, ma, secondo la legge inglese, deve presentarsi in tribunale come imputata. Il giudice del suo processo è proprio Philip, che viene accusato in aula dal padre di Kate che nel frattempo ha scoperto tutto. Il ragazzo è ora costretto ad assumersi le proprie responsabilità e ad abbandonare l’isola di Man con Kate e il loro figlio, sotto lo sguardo di una folla minacciosa ed ostile
Un sacerdote che ha preso i voti dopo una delusione d’amore viene accusato di assassinio. Egli conosce il colpevole che si è confessato subito dopo il delitto, ma naturalmente non può parlare. Al processo viene assolto per insufficienza di prove e rischia di essere linciato dalla folla; il vero assassino, temendo che la moglie, presa dal rimorso, dica la verità, la uccide e si scopre.
Dal romanzo di Leon Uris. Nel 1962 un agente francese fornisce alla CIA le prove della presenza di missili sovietici sull’isola di Cuba. “Un vero disastro” (Hitchcock). Non piaceva alla produzione, non piacque al pubblico e nemmeno ai critici. Per la prima volta nella sua carriera Hitchcock non sapeva come concludere una storia. Girò – si dice – 5 finali. Un’edizione USA in DVD ne riporta 3.
Il sesto film muto di Alfred Hitchcock, The ring-Vinci per me!, era uno di quelli che più soddisfava il regista inglese, ed è anche il primo realizzato con il direttore della fotografia Jack Cox, che lavorò con lui fino al 1933. Il protagonista è Jack Sander (Carl Brisson), un pugile che si esibisce nelle fiere di paese – detto “One Round” perché vince sempre alla prima ripresa – e che viene battuto dal campione australiano Bob Corby (Ian Hunter), che finisce anche per insidiargli la moglie (Lilian Hall-Davies). Ma sarà proprio sul ring che Jack si prenderà una doppia rivincita, battendo il rivale e riconquistando la donna. Vivace e ricco di finezze registiche che hanno finito per fare scuola, il film si segnala anche per le straordinarie qualità dinamiche del montaggio. Il titolo originale ha una pluralità di significati: si riferisce infatti sia al ring del pugilato, che alla fede matrimoniale, che a un braccialetto regalato dal rivale del protagonista, emblema dell’adulterio.
Otto persone si rifugiano a bordo di una scialuppa di salvataggio dopo che la nave è stata affondata da un sottomarino tedesco. Reazioni e crisi di ognuno di loro; c’è anche un tedesco che finge di non capire l’inglese: è un capitano del sottomarino, spietato e crudele come deve essere un tedesco.
Durante un viaggio in treno dai Balcani verso Londra, Iris Henderson (Margaret Lockwood), una giovane inglese, si mette alla ricerca di un’anziana signora, Miss Froy, conosciuta durante il viaggio e poi misteriosamente scomparsa. Tutti i passeggeri, così come il personale di bordo, negano di averla mai vista, e cercano di convincere la ragazza che si tratta di un frutto della sua immaginazione. Sempre più allarmata, Iris si imbatte in Gilbert Redman (Michael Redgrave), un giovane studioso di musiche popolari con il quale la sera precedente aveva avuto un vivace battibecco, che però cerca di aiutarla. Le indagini alla fine aiuteranno a svelare il mistero: il treno è pieno di spie, e Miss Froy, che è un agente segreto, è stata catturata, e alla fine tutti i passeggeri si ritroveranno a Scotland Yard. Questa commedia nera costituisce l’unico caso in cui Hitchcock prestò esplicitamente la sua attenzione alla politica che, nel periodo, attanagliava l’Europa a causa dall’insorgenza del nazismo. E’ infatti uno dei suoi rari film situati in un preciso contesto storico, l’immediato anteguerra pieno di minacce e ambiguità. Schierato su posizioni interventiste, Hitchcock approfitta degli ostacoli che l’eroina incontra e che nutrono la suspense del film, per denunciare l’indifferenza e l’egoismo delle scelte politiche inglesi.
Lo spione di turno è il proprietario di un cinema londinese. Ottima libera trasposizione de L’agente segreto di Conrad, girata da Hitchcock in patria prima del trasferimento a Hollywood.
Da una pièce teatrale di Charles Bennett, sceneggiata da A. Hitchcock. Fidanzata a un ispettore di Scotland Yard, Alice White uccide con un pugnale un pittore che nel suo atelier aveva cercato di violentarla. Un delinquentello, testimone del fatto, la ricatta; braccato dalla polizia, precipita e muore. Il fidanzato le impedisce di raccontare la verità alla polizia. Il caso è chiuso. Dopo una prima versione muta, fu in gran parte rigirato col sonoro e distribuito nel giugno 1929 con grande successo. 2 mesi dopo, quasi alla chetichella, circolò nelle sale non ancora equipaggiate anche la versione muta. Dura 10 minuti in meno, ma è più intensa, svelta e meglio equilibrata. Opera di incipiente maturità, thriller carico di libidine in cui Hitchcock sperimenta l’uso di suoni e rumori, ma non il parlato.
In una casa abbandonata di Londra, al numero civico diciassette, è custodito un prezioso collier che fa gola a tre fuorilegge, una giovane inglese, un vagabondo, uno sconosciuto ed un avventuriero, i quali si scontrano duramente per entrarne in possesso.Mentre la collana passa in modo repentino di mano in mano, la scena si sposta su un treno merci a seguito di un folle inseguimento tra i banditi in autobus. Sul convoglio i sospetti che attanagliano i personaggi sul fatto che uno di loro possa essere un detective si fanno così forti da originare una sparatoria vera e propria, con salti da un vagone all’altro e con l’uccisione del macchinista. Il treno, ormai senza controllo, finisce la sua folle corsa piombando su un traghetto ormeggiato in porto. Si salvano solo la ragazza e lo sconosciuto (che si rivela essere il detective) che, consapevoli del pericolo scampato, si abbracciano dalla gioia.
Un film di Alfred Hitchcock. Con Herbert Marshall, Nora Baring, Phyllis Konstam, Edward Chapman, Miles Mander.Titolo originale Murder!. Giallo, b/n durata 108 min. – Gran Bretagna 1930. MYMONETRO Omicidio valutazione media: 3,46 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Diana Baring è un’attrice di una piccola compagnia teatrale che viene accusata di omicidio perché è stata trovata vicino al cadavere di un’amica. Tra i giurati che la condannano c’è Sir John Menier, un celebre attore non convinto della sua colpevolezza che inizia ad indagare per non restare tutta la vita con il dubbio di avere compiuto un terribile errore giudiziario.
The Farmer’s Wife, il progetto successivo alla sceneggiatura originale di The Ring!, era tratto da un lavoro teatrale che aveva già avuto un considerevole successo, e ciò avrebbe potuto limitare le possibilità di intervento del regista. La commedia di ambiente rurale di Eden Philpott (il più clamoroso e duraturo successo sulle scene inglesi negli anni Venti), col senno di poi, non si può certamente definire il tipico materiale hitchcockiano. E, tuttavia, pare sia stata proprio una scelta di Hitchcock, il quale forse intendeva dimostrare di poter prendere del materiale apparentemente già fissato nell’immaginario del pubblico e trasformarlo in qualcosa di personale (o forse, più cinicamente in questo frangente, sapeva di poter confidare in anticipo su un sicuro successo di cassetta). Quale sia stata la sua motivazione, ne risulta un film mirabilmente congegnato: perfino l’inusuale pletora di dialoghi originali rimasta nella sceneggiatura di Hitchcock e Stannard viene in qualche modo assorbita nel ritmo cinematografico complessivo. La vicenda narra della difficile situazione in cui si viene a trovare un agricoltore di mezza età del Devon dopo la morte della moglie e le nozze dell’unica figlia. L’uomo decide di sposarsi di nuovo, ma le prime proposte che fa, a quattro donne, inadatte per varie ragioni, vengono tutte fermamente respinte. Alla fine, nella più classica convenzione dello stile comico-romantico, si accorge che la risposta giusta era lì, sotto il suo naso, nella persona della governante per tanto tempo ignorata. Il cast funziona come un ensemble strumentale sotto l’impeccabile direzione di Hitchcock e il film rimane genuinamente divertente e, a tratti, perfino commovente: una delle poche commedie pure di Hitchcock, che ci ricorda il suo grande talento, quando ha scelto di cimentarsi nel genere.
Un film di Alfred Hitchcock. Con Isabel Jeans, Robin Irvine, Franklin Dyall, Ian Hunter, Frank Elliott, Enid Stamp-Taylor, Ben Webster.Titolo originale Easy Virtue.Drammatico, b/n durata 72′ min. – Gran Bretagna 1927. MYMONETRO Fragile virtù valutazione media: 2,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Easy Virtue fu l’unico contatto professionale di Hitchcock con un’altra eminente personalità dello show business inglese: Noël Coward, anch’egli nato nel 1899, ma tra i due non vi fu nessun contatto diretto: l’adattamento del fortunato dramma di Coward “su una donna con un passato e una famiglia di sani princìpi” (fatto dallo stesso Hitchcock con la collaborazione dei consueti Eliot Stannard e Ivor Montagu) è molto libero, con innumerevoli tagli sui dialoghi originali, e molte delle vicende che sul palcoscenico erano descritte solo a parole nel film vengono rese per immagini, di modo che il dramma, così come era stato scritto da Coward, comincia praticamente a metà film. Easy Virtue, pur essendo dichiaratamente un lavoro su commissione, ispirò tuttavia a Hitchcock alcune delle sue trovate più sottili. Molte di queste sono entrate da subito nel repertorio generale degli effetti cinematografici; in particolare la conversazione telefonica tra l’eroina e il corteggiatore più giovane di lei, che la esorta a gettare al vento le proprie titubanze e a sposarlo, una sequenza realizzata attraverso i cambiamenti di espressione sul volto della telefonista all’ascolto. Il film contiene innumerevoli altri trucchi e trovate di grande ingegno, oltre a quella che Hitchcock definì “la peggiore didascalia che abbia mai scritto” (proferita dall’eroina verso i fotografi che la prendono di mira mentre lascia il tribunale dopo l’udienza finale): “Sparate, non è rimasto altro da uccidere!”
Durante la prima guerra mondiale, un ufficiale inglese è incaricato di recarsi in Svizzera e uccidere un agente nemico. Un uomo muore e sembra proprio che sia la vittima designata. In realtà questa è viva e cerca di involarsi con una ragazza innamorata dell’ inglese. Non fra i migliori “Hitchcock” dell’ anteguerra.
Una bella impiegata ruba quarantamila dollari e fugge. Cambia la macchina, si trova nel mezzo di un temporale e decide di passare la notte in un motel. Il proprietario è Norman, all’apparenza un ottimo ragazzo che manifesta soltanto qualche piccola stranezza, come quella di impagliare uccelli. Il motel non ospita nessun altro cliente. La donna decide di fare una doccia prima di dormire. Sotto l’acqua viene aggredita e uccisa da un’altra donna, che si intravvede appena. La mattina Norman scopre il corpo. Sconvolto fa pulizia, mette il cadavere nel bagagliaio e fa sparire la macchina nelle sabbie mobili. Sconvolto perché sa che l’assassina è sua madre, che è patologicamente gelosa del figlio e non sopporta neppure che parli con altre donne. Un investigatore privato, con l’aiuto del fidanzato della donna uccisa, riesce a risolvere la matassa, anche se ci rimette la vita. Norman e sua madre sono la stessa persona: il ragazzo è pazzo, dopo aver ucciso la madre per gelosia ne custodiva il corpo in soffitta e si identificava in lei non sopportando il rimorso del proprio delitto. Psycho non era certo il migliore dei film di Hitchcock ma a volte le vie del culto percorrono strade misteriose. Negli anni Sessanta la pratica dell’inconscio non era certamente una novità, lo scalpore c’era già stato nel 1944 con Io ti salverò (Gregory Peck, con l’aiuto della Bergman e di un “freudiano” risolve le proprie angosce risalendo analiticamente a un incidente infantile), ma Anthony Perkins aveva dato un’interpretazione di tale efficacia da divenire da quel momento il più famoso “pazzo” della storia del cinema, senza più una possibilità autentica di emanciparsi da quel ruolo. La critica non ha mai perdonato a Hitchcock l’eccesso di crudezza (e di effetto) di certe scene. Ricordiamo le più famose: il teschio della madre seduta sulla sedia girevole, la morte del detective privato (Martin Balsam), la sinistra casa Bates sempre inquadrata contro un cielo minaccioso. Soprattutto la sequenza dell’uccisione di Janet Leigh sotto la doccia ha creato una vera psicosi collettiva.
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