Tratto dall’omonimo romanzo di Dostoevskij il film narra la storia di Kameda in viaggio verso Hokkaido. Durante il viaggio si imbatte in due donne Taeko e Ayako. Taeko si innamora di Kameda, anche se Taeko ha già un uomo che è innamorato di lei: Akama. Quando Akama si rende conto che non potrà mai avere l’amore di Taeko, la uccide, dando inizio ad una tragedia.
Un film minore di Kurosawa, girato in mezzo a due capolavori ( La fortezza nascosta e La sfida del samurai). Minore, ma più ambizioso e moralista. Toshiro Mifune è il figlio bastardo di un magnate, che non indietreggia davanti a nulla pur di far carriera. Né mancano le sue vendette (il padre venne ucciso)
Ichiro Aoye, un giovane pittore, incontra una famosa cantante, Miyako Saijo durante le vacanze in montagna. Un giornale di gossip, specializzato in scandali, trasforma questo incontro in ciò che in realtà non è, al solo scopo di umiliare Miyako.
Ossessionato dalla paura della guerra atomica, un ricco giapponese (Toshiro Mifune) vuole espatriare nel Brasile e diventa pazzo. Col suo ritmo un po’ lento, il film può tuttavia diventare ossessionante per chi abbia la pazienza di lasciarsene affascinare. Quando il protagonista fa bruciare la sua fabbrica perché così la famiglia non s’opponga più all’emigrazione, gli operai gli chiedono “E noi”? “Qual’è dunque la soluzione?” Il pubblico è invitato a riflettere, sulla base degli argomenti che questa cronaca gli offre, non identificandosi col personaggio del vecchio folle, ma attraverso il personaggio che lo osserva, quello del dentista. È con lui che il film comincia e finisce, è con lui che si è portati a riflettere sul problema che ossessiona il vecchio” (Heinz Steinberg). Il film è conosciuto anche come Vivere nella paura o Se gli uccelli sapessero.
L’infermiera Marie-Jo ama due uomini: intensamente il marito Daniel, piccolo imprenditore; appassionatamente l’amante Marco, pilota di rimorchiatori di porto. Una notte dice al marito che il tradimento non consiste nel nuovo amore, ma nell’impossibilità di fargli condividere la sua felicità, ma Daniel dorme. E segarsi le vene non è una soluzione. Al suo 11° film il marsigliese Guédiguian, cineasta anomalo nel panorama di Francia, si tiene lontano dal natio quartiere dell’Estaque e lascia sullo sfondo la tematica socio-economica per concentrarsi sulla straziante dialettica contraddittoria dell’amore e dell’innamoramento. Scritto col fido Jean-Louis Milesi, ne è uscito un film un po’ prolisso, ripetitivo e compiaciuto, ma ancora una volta caldo e suggestivo, che non a caso approda a “Je suis malade” di Serge Lama, cantata dalla sua attrice preferita, l’ottima Ascaride. La fotografia di Renato Berta esalta l’azzurro del cielo e del mare che circonda l’estate a Marsiglia.
Anna è un cardiochirurgo di successo con una figlia adolescente, un marito premuroso e un padre orgoglioso, Barsam, a cui diagnostica una patologia. Barsam rifiuta di operarsi, vuole che il suo cuore smetta di battere in Armenia, la sua terra natale a cui fa ritorno lasciando per sempre la Francia. Anna, preoccupata per le sue precarie condizioni di salute, si imbarca sul primo aereo diretto a Erevan. È l’inizio di un lungo viaggio dentro la storia del popolo armeno, dentro una storia privata, dentro se stessa.
Bello, profondo, di intenso spessore morale e culturale è il film che il regista marsigliese R. Guédiguian ha dedicato agli ultimi mesi di vita del socialista François Mitterrand (26-10-1916/8-1-1996), eletto presidente nel 1981 e nel 1988, soprannominato “ultimo re di Francia”. Scritto con Gilles Tourand e con il giornalista Georges-Marc Benamou e basato sul libro Le dernier Mitterrand in cui Benamou raccolse i colloqui avuti col presidente tra il ’92 e il ’95. Amareggiato dalle accuse di essersi compromesso nel ’42 col regime collaborazionista di Pétain prima di entrare nella resistenza antinazista, Mitterrand si confida col giovane giornalista Antoine Moreau, gauchiste moderato, in conversazioni nell’appartamento presidenziale e in giro per la Francia. Ne esce il ritratto poliedrico, pubblico e privato, di un vecchio di grande statura politica e di segreta fragilità umana, piegato dalla malattia (cancro alla prostata), ambiguo nel respingere le accuse più infamanti per il suo passato. È desideroso di immortalità come politico di potere, ma coraggioso, come uomo, nel confessare la mancanza di illusioni davanti alla morte. Grazie anche a M. Bouquet (1925, cioè nell’età del personaggio), attore completo per virtù di sobrietà e concentrazione, è un ritratto indimenticabile che la voce italiana dell’ottimo Omero Antonutti non tradisce (Franco Mannella doppia il suo interlocutore J. Lespert). La regia invisibile di Guédiguian concorre a fare un film rispettoso, ma non agiografico, impregnato di un’inquieta e dolorosa simpatia che conserva un dialettico distacco.
A Méjan, una cala marina tra Marsiglia e Carry, tre fratelli si ritrovano per vegliare il padre. Angèle, attrice con un lutto nel cuore, Joseph, professore col vizio della rivoluzione, Armand, ristoratore di anime, misurano la loro esistenza davanti all’ictus che ha colpito il genitore. Intorno alla sua eredità, la casa, il ristorante, la coscienza politica e quella sociale, fanno i conti col proprio passato che per Angèle non sembra mai passare. L’irruzione improvvisa di tre bambini, naufraghi sulle sponde del Mediterraneo, sconvolge la loro riflessione e segna un nuovo inizio.
Giappone, dalle parti di Hiroshima. Tre cugini adolescenti vivono con la nonna Kane. I ragazzi vestono in jeans, scarpe da ginnastica e sembrano davvero dei giovani americani. La vecchia naturalmente è del tutto diversa e anche se un suo fratello è emigrato negli Stati Uniti non può dimenticare la bomba atomica e suo marito morto proprio a Hiroshima nell’agosto del ’45. Kane ha un suo modo di intendere la vita e la memoria; è tradizionale, mistica e fantasiosa, e non intende altro che la sua terra e le sue tradizioni. Quando arriva dall’America a trovarla il nipote (Richard Gere, che nella versione originale ha recitato in giapponese) i ragazzi, entusiasti, lo accolgono e lo ascoltano. Quando giunge la notizia della morte del fratello di Kane, la vecchia, nel grande dolore, si pente di non essere andata in America a trovarlo per l’ultima volta. Lo shock è decisivo. Ricordi e sentimenti si intrecciano e Kane non trova più riscontri nella realtà. Tutto è inutile. Nella scena finale la vecchia fugge correndo sotto un temporale, reggendo l’ombrello che si rivolta nel vento, proprio come uno dei fiori citati in una canzone tradizionale giapponese. Indimenticabili certe scene fra parole e natura, e il grande occhio nel cielo, che nella fantasia di Kane rappresenta il destino, passato e proiettato, al quale non si sfugge, come non era sfuggito suo marito alla morte nucleare. Il film è stato presentato al Festival di Cannes. La lentezza iniziale è una licenza che si può concedere a un regista che non ha bisogno di ricorrere alle leggi delle sceneggiature attuali (polveroni iniziali) per farsi vedere.
Ambientato a l’Estaque, quartiere nord di Marsiglia, dove il regista è nato, cresciuto e girato molti suoi film. Il sindacalista Michel (Darroussin) inserisce anche il proprio nome nella lista degli operai da licenziare: è tra i 20 estratti. Perplessa ma combattiva come lui, sua moglie Marie-Claire acconsente. La prima mezz’ora descrive con serenità fin troppo compiaciuta il clima di solidarietà e affetto della loro vita, circondati da figli, nipotini, amici. Giorni dopo sono aggrediti e derubati in casa da due uomini mascherati. Michel scopre che uno dei due è uno dei giovani operai licenziati che, abbandonato dalla madre, vive con 2 fratellini da mantenere. Difficile distinguere nel cinema di Guédiguian dove finisce l’amore per i personaggi e dove comincia quello per gli attori. Il trio Ascaride/Darroussin/Meylan è invecchiato con lui: avevano 25 anni in Dernier été , 40 in Marius e Jeannette (1997) e qui sono 50enni a confronto con una generazione di giovani che a torto li tratta come piccoli borghesi. Ispirati al poema di Victor Hugo Les Pauvres Gens (in La leggenda dei secoli , 1883), è un film di sinistra in cui il regista/autore fa convivere l’impegno politico di Brecht col cinema di Jean Renoir e Marcel Pagnol. Per lui nella società d’oggi non c’è più coscienza di classe né classe operaia: c’è soltanto la povera gente. Distribuisce Sacher di Nanni Moretti. “Les neiges du Kilimandjaro” è il titolo di una canzone di Pascal Daniel, amatissima dai 2 protagonisti.
È un raro colossal d’autore, forse il più costoso della storia di Hollywood: 230 (o 500?) milioni di dollari. Come film, è una fiaba epicofantastica più che SF. Siamo nel 2154 d.C. su Pandora: i Na’vi, pacifici indigeni umanoidi con la coda, alti circa 3 metri, collegati da una rete neurale con la natura, sono un ostacolo per l’estrazione di un raro minerale indispensabile per risolvere la crisi energetica della Terra, che da 30 anni ha fatto di Pandora una colonia mineraria. Al servizio di una potente multinazionale vi sbarca, con un piccolo esercito di mercenari, l’emiplegico guerriero Sully, collegato con un avatar (= discesa, in sanscrito), clone biologico teleguidato il cui DNA umano è ibridato con quello di un Na’vi. Grazie all’amore della bella Neytiri, impara a conoscerli e rispettarli finché si schiera con loro in una feroce battaglia. Coprodotto con Jon Landau, scritto dal regista, girato alle Hawaii e in Nuova Zelanda con l’apporto della Weta Digital di Peter Jackson e la supervisione degli effetti speciali di Joe Letteri. Pur essendo presenti gli altri 3 elementi cosmogonici, la sua principale componente è l’aria che è, come il fuoco, un principio attivo e maschile. Importante è pure l’acqua: il ricorso al 3D – per la prima volta con discrezione creativa – serve per dare profondità sottomarina alla terra e ai boschi di Pandora. C’è di tutto nel latente sottolivello del film, anche una dimensione sociopolitica (i “buoni selvaggi” schiacciati dalla civiltà delle macchine). Cameron mescola, senza far vedere le giunture, la realtà dei corpi degli attori con i loro cloni, i fantastici animali, le foreste, i fondali marini, le minuscole bestioline luminose di Pandora, tutte inventate con la computer-graphic . Enorme successo mondiale: quasi 3 miliardi di dollari di incasso! 3 Oscar: scenografia (R. Carter, R. Stromberg, K. Sinclair), fotografia (Mauro Fiore), effetti speciali.
Dopo la vittoria sugli invasori umani, i Na’vi hanno vissuto in pace. Con loro sono rimasti alcuni scienziati terrestri insieme ai propri avatar e un ragazzino troppo giovane per essere rispedito sulla Terra. Di nome Spider e figlio del defunto colonnello Quaritch, è cresciuto insieme alla famiglia di Jake Sully, che ha tre figli naturali: il maggiore Neteyam, il ribelle Lo’ak e la piccola Tuk. Inoltre Jake e Neytiri hanno adottato Kiri, figlia dell’avatar di Augustine Grace e di padre ignoto, dotata di una sovrannaturale connessione con Eywa, la grande madre di Pandora. La Terra versa in condizioni sempre peggiori e Pandora può essere una nuova casa per gli umani, che tornano sul pianeta più bellicosi che mai, questa volta anche con soldati avatar – tra i quali un “nuovo” Colonnello Quaritch, ossia un corpo Na’vi abitato da un backup della sua coscienza. Inevitabilmente cercherà vendetta contro Jake, che nel frattempo è diventato il capo dei ribelli Na’vi, e lo obbligherà a lasciare la foresta per cercare rifugio con la famiglia presso i Metkayina, pacifici abitanti di un grande arcipelago.
Il film narra una domenica di due fidanzati, Yuzo e Masako che stanno cerando un appartamento dove vivere. Ma le loro misere condizioni non lo consentono. “Dopotutto è domenica” dice la ragazza, alla stazione ferroviaria, pensando a una distrazione dai loro problemi: ma i pochi soldi che hanno in tasca non bastano neppure per comprare un biglietto ferroviario. Allora, per farsi aiutare, si recano da un amico di Yuzo che gestisce un cabaret. Il luogo si rivela piuttosto sinistro.
Nel XVII secolo un samurai vagabondo arriva in un villaggio insanguinato dalla guerra tra due clan e, con machiavellica strategia, diventa l’ago della bilancia mettendo gli uni contro gli altri. Splendido film d’azione in chiave ironica e di ritmo snello, ma anche limpida parabola sulla cupidigia del denaro con risvolti ironici e una lontana parentela con Goldoni (Arlecchino servitore di due padroni). Yojimbo (che significa “guardia del corpo”) è il modello su cui Sergio Leone ricalcò Per un pugno di dollari e Walter Hill Ancora vivo. Ma, forse, all’origine di tutto c’è Red Harvest (Piombo e sangue, 1929) di Dashiell Hammett.
Ispirato a un caso che fece scalpore nel Giappone del 1933 durante l’ascesa dei militaristi al potere, è la storia di Yukie (Hara, attrice prediletta di Y. Ozu), figlia di un docente dell’università di Kyoto esonerato per le sue idee liberali, che s’innamora di Noge (Fujita), allievo del padre, politicamente impegnato a sinistra, lo segue a Tokyo e lo sposa. Noge è arrestato come spia e scompare. Lei finisce come sua complice in prigione. Si trasferisce nel paese natale del suo uomo e fa la contadina. Continua a farla anche a guerra finita quando Noge è riabilitato. Unico film di Kurosawa – che l’ha scritto con Eijiri Hisaita – imperniato su un’eroina femminile di cui si racconta la metamorfosi, è diviso idealmente in 3 parti: di taglio espressionista la 1ª, in cadenze di realismo psicologico quella centrale e di un documentarismo lirico raggelato l’ultima. Le discrepanze stilistiche sono ridotte a unità e trovano un senso nel montaggio. All’inizio c’è la straordinaria sequenza dell’inseguimento a tre nei boschi; nella 2ª parte il ricorso a ellittici squarci della vita universitaria si alternano col ricorso a rapidi flashback di memoria in carcere e, infine, c’è il pudore nella descrizione frammentata della vita in campagna dove Yukie approda alla sua vittoria solitaria su sé stessa e contro la malvagità sordida del prossimo.
Un film di Akira Kurosawa. Con Kyôko Kagawa, Toshiro Mifune, Takeshi Kato Titolo originale Warvi yatsui hodo yoku nemuru. Drammatico, b/n durata 150 min. – Giappone 1960. MYMONETRO I cattivi dormono in pace valutazione media: 3,17 su 7 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Il fulcro della vicenda è la vendetta di Nishi, il cui padre è stato licenziato da una società. Nishi si fa assumere senza che nessuno sospetti e dopo essere diventato dirigente sposa la figlia del capo. Ma non riuscirà a portare a termine la vendetta, causa un suicidio. Un buon film dal grande regista giapponese.
Un film di Akira Kurosawa. Con Toshiro Mifune, Misa Uehara Titolo originale Kakushi Toride no San-Akunin. Avventura, b/n durata 139′ min. – Giappone 1958. MYMONETRO La fortezza nascosta valutazione media: 3,75 su 10 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Due astuti contadini sono assunti da un generale che vuole far passare una principessa e un carico d’oro attraverso il territorio nemico. Peripezie e pericoli a catena. Divertimento di alta classe sotto il segno di una libera e leggera fantasia ariostesca. È l’avventura allo stato puro con episodi di straordinario fascino.
Un giovane poliziotto (Toshiro Mifune) si lascia rubare la rivoltella che serve a commettere vari delitti, ma che gli permette infine di ritrovare l’assassino. Più che d’un film poliziesco a suspense si tratta però d’una descrizione di Tokyo nell’atmosfera di smarrimento e di miseria creata dalla disfatta, coi suoi disoccupati, i suoi banditi, le sue prostitute, gli occupanti, le rovine. Bellissima la sequenza finale: un combattimento tra i fiori d’una palude. Il protagonista, interpretato dall’attore preferito di Kurosawa, è un tipo inquieto e di carattere assai complesso, che insegue continuamente se stesso. E’ un film d’una certa importanza, benché non tra i preferiti del regista, che affermò di aver voluto fare” un film alla Simenon”.
Un film di Akira Kurosawa. Con Toshiro Mifune, Tatsuya Nakadai Titolo originale Tengoku to jigoku. Giallo, b/n durata 142 min. – Giappone 1963. MYMONETRO Anatomia di un rapimento valutazione media: 3,63 su 12 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Dal romanzo Due colpi in uno (1959) di Ed McBain. Credendo di rapire il figlio di un grande industriale, uno studente sequestra quello del suo autista. L’industriale paga egualmente il riscatto. Un commissario di polizia ricerca il rapitore: la sua è una discesa all’inferno. Dall’intreccio di un romanzo “nero” americano A. Kurosawa cava una profonda riflessione etica sull’esistenza del male, i misteriosi legami tra i destini umani (e tra vittima e carnefice), contrapponendo l’alto (il cielo) della lussuosa villa dell’industriale con il basso (l’inferno) di una metropoli dove regnano il delitto, la prostituzione, la droga.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.