Jonathan Demme si confronta con John Frankenheimer nel remake di Và e uccidi (in originale The Manchurian Candidate) del 1962, per affrontare il tema caldo delle elezioni presidenziali. Il Capitano dell’esercito degli Stati Uniti Bennet Marco, viene salvato dal Sergente Raymond Shaw da un’imboscata durante la guerra del Golfo in cui perdono la vita due uomini. Shaw, eroe di guerra, prosegue la sua ascesa fino ad arrivare a candidarsi per la vicepresidenza degli Stati Uniti, ma nella mente di Marco, ci sono dei punti oscuri. Lentamente i dubbi affiorano e si delineano le certezze. Complotto? Costruito con un climax drammatico, come se fosse una bomba a orologeria, il film di Demme soffre per la lunghezza e per l’approfondimento dei dettagli della storia (presumibilmente per dare alla critica al sistema un valore reale). Denzel Washington nel ruolo che era di Sinatra, si muove bene e interpreta il dramma di un uomo che vede i valori in cui crede ciecamente disintegrarsi davanti agli occhi; Meryl Streep, madre del candidato, è perfida al punto giusto da risultare uno dei “da vedere” del film. Una citazione per il montaggio serrato della sequenza finale. Incessante, denso di tensione, un vero “countdown”. Il momento migliore di un solido e attuale film.
Dal romanzo (1847) di Charlotte Brontë. Nell’Inghilterra del primo Ottocento una giovane governante, entrata a servizio in una dimora dello Yorkshire, scopre che il suo padrone nasconde un terribile segreto. Flebile, riduttivo e illustrativo digest di un romanzo di grande ricchezza tematica. Ben pettinato, decorato e arredato con eleganza un po’ cheap, di esangue decoro televisivo senza un punto di vista personale né un’idea registica. L’unica nota insolita è la scelta dell’anglo-francese Gainsbourg che rende bene la fierezza, la salute morale e la capacità di autogoverno della protagonista.
Un uomo scompare in circostanze misteriose. Tre anni dopo fa ritorno a casa ma il suo comportamento fa pensare che potrebbe essere stato rapito dagli alieni…
Lui è un asso della finanza USA, lei è un’attrice famosa, quasi altrettanto ricca. S’incontrano a Londra e si amano. Lui le dimostra il suo amore con regalucci: un panfilo, quadri d’autore, braccialetti di diamanti. Stonatura: lei vorrebbe sposarlo, lui non può, è già sposato, ma mente. Quando lei lo scopre si arrabbia. Tutto finisce in gloria nuziale. Scritta da Norman Krasna, adattando la sua commedia Kind Sir che nel 1953 fu un fiasco a Broadway. È un’attardata commedia sofisticata, sessualmente spregiudicata solo nei dialoghi. Vi incombe la noia con tanta premeditata misura. Così elegante nella sua superficialità da diventare interessante. La Bergman nella sua 1ª commedia hollywoodiana è bravissima, Grant impeccabile. Nessun altro attore come lui.
Un film di Charles B. Pierce. Con Ben Johnson, Andrew Prine, Charles Pierce Titolo originale The Town that Dreaded Sundown. Drammatico, durata 95 min. – USA 1977. MYMONETRO Il terrore arriva al tramonto valutazione media: 2,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
La vera storia di un fattaccio di cronaca nera avvenuto nel Texas negli anni Quaranta. Alla fine della guerra un assassino mascherato terrorizzò la cittadina di Texarcana con una serie di delitti apparentemente immotivati.
Un film di Boris Sagal. Con Charles Gray, David McCallum, Suzanne Neve, David Bick, David Dundas Titolo originale Mosquito Squadron. Guerra, Ratings: Kids+13, durata 90 min. – Gran Bretagna 1970. MYMONETRO La squadriglia dei falchi rossi valutazione media: 2,00 su 1 recensione.
Un coraggioso tenente della Raf viene ritenuto disperso, ma è stato catturato dai nazisti che lo tengono in un castello con altri prigionieri. Le avversità gli hanno fatto perdere la memoria.
All’ora “H” del “giorno X”, presso una base americana al Polo Nord, si svolge un esperimento nucleare. Più tardi, due scienziati vanno sul posto a prelevare campioni da esaminare, ma sorpresi da una improvvisa tempesta di neve, assistono a qualcosa che ha dell’incredibile: tra i crepacci ghiacciati si aggira la mole maestosa di un animale preistorico. Uno dei due uomini muore sepolto da una slavina provocata dal mostro, l’altro, Tom Nesbitt, viene portato in salvo dai soldati e ricoverato in stato confusionale all’ospedale. Nessuno dà credito alla sua testimonianza, ma il mostro esiste davvero e quando provoca l’affondamento di una nave, Nesbitt si mette in contatto con un marinaio sopravvissuto che conferma quanto lui stesso ha visto e sottopone la faccenda ad un anziano paleontologo (Cecil Kellaway). Questi, superate alcune perplessità, accetta di iniziare le ricerche e poichè al naufragio della nave segue la distruzione di un faro, azzarda l’ipotesi che il mostro, risvegliato dall’esplosione atomica, si muova in mare seguendo una corrente fredda che scende verso New York. La teoria ha fondamento, ma il professore che si è immerso all’interno di una sonda marina nelle profondità degli abissi, una volta incrociato il mostro che identifica in Redosauro, non non avrà tempo di riemergere per confermarla. Mentre militari e scienziati si scambiano opinioni sulla veridicità della storia, l’animale preistorico fa la sua spaventosa apparizione nel porto di New York e, tra un fuggi-fuggi generale, comincia ad aggirarsi indisturbato, schiacciando macchine e divorando qualche poliziotto, tra le strade della città. Il pericolo è più grande di quanto previsto: non solo il mostro non soffre granché delle fucilate e dei colpi di bazooka, ma diffonde intorno a sé germi sconosciuti che provocano febbri altissime. Nella notte, il Redosauro viene localizzato all’interno del luna park di Coney Island, e lì, un tiratore scelto (l’attore Lee Van Cleef) guidato da Nesbitt riesce ad ucciderlo sparandogli una granata radioattiva. Il gigantesco animale crolla tra le impalcature in fiamme delle montagne russe e mentre Nesbitt si abbraccia con la giovane assistente del paleontologo – l’unica che fin dall’inizio aveva creduto in lui – sullo schermo appare la scritta “THE END”. Il risveglio del dinosauro nonostante sia un film fatto in economia riscosse un buon successo. I trucchi di Harryhausen non sono dei migliori, ma si inseriscono dignitosamente nella tradizione del suo maestro O’Brien. Tra gli attori, vale la pena di sottolineare la presenza dell’ottimo Cecil Kallaway dall’aspetto angelico e pacioso (già marito tradito di Lana Turner nel Postino suona sempre due volte) e di due caratteristi, l’uno visto spesso nei film di John Ford – il granitico Jack Pennick -, l’altro, futuro divo dei western di Sergio Leone – un Lee Van Cleef ancora senza baffi ma con ancora una folta capigliatura. Il titolo originale è mutuato dall’omonimo racconto (in Italia noto come “La Sirena”) di Ray Bradbury, del quale Harryhausen, a sceneggiatura già completata, convinse la Warner ad acquistare i diritti. La scena in cui il mostro è attirato dalla luce del faro e lo distrugge è, appunto, un richiamo alle pagine di Bradbury.
Da quando è stato radiato dalla polizia di Chicago, Jack Walsh si guadagna da vivere come cacciatore di taglie per un garante di cauzioni di Los Angeles. Quando questi gli propone una grossa cifra per recuperare Jonathan Mardukas detto “Il Duca”, ex contabile del gangster Jimmy Serrano al quale ha sottratto quindici milioni di dollari, Jack si mette subito sulle sue tracce e in poco tempo riesce a trovarlo in un appartamento a New York. Solo che il viaggio per riportarlo a Los Angeles si rivela più arduo del previsto: Mardukas ha paura di volare e costringe Jack a utilizzare altri mezzi di trasporto. Inoltre, sulle loro tracce vi è più di una persona: dagli agenti federali che vogliono la collaborazione di Mardukas per arrestare Serrano, ai sicari dello stesso gangster che lo vogliono morto, fino ad un cacciatore di taglie rivale che vuole riscuotere la taglia al posto di Jack. Nello slang americano, la midnight run che da titolo al film è il modo per chiamare la fuga notturna all’emporio più vicino per saziare gli appetiti fuori orario. Questa idea di un richiamo inconsulto della golosità è anche la chiave per interpretare l’aspetto sostanzialmente godereccio di questa fuga rocambolesca coast to coast. Di tale genere, Martin Brest si è già dimostrato abile chef con il primo Beverly Hills Cop, commedia d’azione che modulava il genere poliziesco in funzione della risata di Eddie Murphy. Ma in Prima di mezzanotte, non è un talento comico a scoprire la fisicità dell’eroe, piuttosto un attore solido e metodico ad adattarsi ai tempi serrati e ai toni leggeri dell’action comedy. Robert De Niro, che fino ad ora è stato più che altro scultore di personaggi folli e lucidi, spostati e mefistofelici, comunque sempre capaci di accentrare su di loro il baricentro del film, scopre la tradizione del buddy movie e la recitazione di coppia, meno istrionica e più interattiva. Come la formula del genere prevede, il prodotto dell’incompatibilità dei caratteri è direttamente proporzionale al ritmo e alla comicità del film, così che all’immedesimazione dell’ex poliziotto cinico e rabbioso De Niro, Brest sceglie di affiancare la presenza sobria e rasserenante del contabile truffatore ma dal cuore d’oro Charles Grodin. Le loro schermaglie su etica e salutismo (condite del turpiloquio caratteristico di De Niro) si alternano a sequenze d’inseguimento ogni volta più frenetiche e rumorose, anche se non abbastanza da coprire l’evoluzione del rapporto di amicizia fra i protagonisti. Difatti, nell’intera economia del film, è l’idea dell’amicizia e della complicità ad essere continuamente messa in rilievo. I vari giochetti che De Niro instaura con ognuno dei suoi inseguitori (gli occhiali da sole con l’agente Mosely, il falso allarme con il cacciatore di taglie rivale, gli scambi di battute con i due sicari di Serrano) da una parte eleggono la priorità dell’aspetto bonario e cameratesco sulla spettacolarità delle sequenze d’azione, dall’altra servono a dimostrare come il rigore del metodo non si applichi solo a primattori tragici e solitari, ma possa dotare di senso comico un buon lavoro di squadra.
Una donna divorziata con due figli adolescenti si stabilisce nella casa del padre in un villaggio della California apparentemente tranquillo. In realtà è infestato da una banda di vampiri. Il figlio maggiore si innamora di una bella vampiretta (però suscettibile di normalizzazione), la madre addirittura del capo vampiro.
Nel paesino di Follainville un postino assiste ai preparativi della festa annuale, vi partecipa con zelo e vuole, imitando un documentario che ha visto, consegnare la posta “all’americana”. La formula è: 2/3 di comicità d’osservazione, 1/3 di farsa. Sonoro, ma non parlato (con dialoghi quasi inaudibili perché registrati in presa diretta; sostituiti in modo spurio nell’edizione italiana). 1° film lungo di Tati dopo il cortometraggio a colori L’école des facteurs (1947) sullo stesso tema. Proiettato a Parigi per la prima volta l’11 maggio 1949, rivelò la nascita del secondo grande comico francese dopo Max Linder. Una delizia per spettatori di tutte le età. Girato a colori (col sistema sperimentale Thomsoncolor), ma distribuito in un bianco e nero virato, è stato riproposto nel 1994 nella versione originale.
Si tratta di un montaggio di una serie di filmati di propaganda degli anni quaranta, cinquanta e sessanta, nei quali si evidenzia la capacità del governo americano, attraverso l’utilizzo dei mezzi di comunicazione di massa, di indottrinare o comunque influenzare l’opinione comune della popolazione sul delicato tema della guerra nucleare.
L’opera ebbe un grande successo di critica (ottenendo anche una nomination al British Academy of Film and Television Arts) e divenne ben presto un punto di riferimento per il genere, tanto che ad essa seguì un libro illustrato e la pubblicazione della colonna sonora. A questo ha certamente dato aiuto il fatto che The Atomic Cafe uscì in un periodo, i primi anni ottanta, in cui iniziò una fase di disarmo nucleare da parte dei due blocchi contrapposti che avevano dato luogo alla Guerra fredda.
Un tranquillo impiegato di famiglia (Wilder) vede la sua vita sconvolta dall’incontro con una misteriosa e bellissima “signora in rosso” (Kelly LeBrock). Ha quindi l’occasione per la sua prima infedeltà coniugale, ma goffo e inesperto com’è riesce solo a ficcarsi in un sacco di guai. Si tratta di un remake del film francese Certi piccolissimi peccati, riletto in chiave americana. Wilder, nella doppia veste di regista e protagonista, confeziona novanta minuti di deciso divertimento; la presenza della fotomodella mozzafiato Kelly LeBrock e le musiche di Stevie Wonder completano un prodotto di buon intrattenimento.
Sedotto da un’affascinante donna venuta dalla città, il giovane contadino Ansass tenta di uccidere la moglie Indre, simulando un incidente, per poter fuggire con l’altra. Tuttavia, durante una gita in barca, l’uomo, pur avendone l’occasione, non trova il coraggio di eliminare la moglie, finendo anzi con il rinsaldare il suo legame matrimoniale. A sera però, mentre ritornano in barca verso la loro fattoria, un temporale fa cadere Indre in acqua. Dopo aver chiesto aiuto, le ricerche portano solo al recupero dei resti dell’imbarcazione: è allora che Ansass decide di ritrovare e uccidere la donna di città, che lo aveva istigato all’omicidio, ma proprio mentre sta per strangolarla, l’uomo apprende che la moglie è stata salvata da un vecchio pescatore. Con il sopraggiungere dell’aurora, sul lago finalmente ritornerà la quiete. Tratto da un racconto di Hermann Sudermann, mutato nel finale, il primo dei 4 film americani del regista tedesco Murnau, che riscosse all’epoca un modesto riscontro di pubblico, costituisce uno dei vertici del suo cinema: Aurora è un’opera che sembra a tratti più tedesca che americana (a riprova della grande autonomia che, insieme a mezzi ingenti, la produzione concesse all’autore), potendo contare su un geniale impiego della luce (con la vittoria dell’Oscar per la migliore fotografia), del ritmo, dell’atmosfera quasi espressionistica, della profondità di campo, della mobilità della cinepresa. Nel 1939 in Germania ne venne realizzato un remake, Verso l’amore, di Veit Harlan.
Mi dite per piacere lingua e sub se sono giusti? nei commenti, grazie
Prima del divieto ai minori in Francia, rivisto e ritirato tra mille dibattiti, c’era stato persino il rifiuto della sceneggiatura da parte del produttore Richard Grandpierre, pur avvezzo alle censure vista l’esperienza con Irreversible di Noé. Anche Grandpierre aveva considerato Martyrs ai limiti della sopportabilità, per poi decidersi a investire comunque su una pellicola dallo scandalo assicurato. E nella polemica generale il regista, Pascal Laugier, credendosi paladino della libertà d’espressione, sembra essersi convinto di aver girato un inaccettabile film di denuncia. Tutt’altro, Martyrs è solo un horror congegnato per irritare gratuitamente, per nulla rivoluzionario e affatto in linea con la perversione degenerata e di dubbio gusto del thriller contemporaneo. Saint Ange perlomeno si contestualizzava nella Francia occupata e citava i classici italiani degli anni ’70. Martyrs è invece una carneficina, compiaciuta della propria perversione in un ormai patologico, per il genere horror, eccesso del mostrare (pensiamo naturalmente ai vari Saw e in particolare a Saw IV). Perso nei suoi stessi ingranaggi, non racconta e non si fa tramite di un mondo in decadimento attraverso le regole di genere (cosa in cui eccelleva lo straordinario Cargo 200), né, d’altra parte, riflette sul suo stesso punto di vista cinematografico, argomento su cui la scuola di horror d’oltralpe riesce bene persino nei casi di macelleria più espliciti. Martyrs inizia in medias res, senza alcun preavviso né attimo di tregua. Ci presenta subito mostri inventati e ruoli scambiati, riprendendo un po’ goffamente marche tipiche di certo horror asiatico. Degenera poi nell’escatologico, quasi mistico, in sostanza demente. Ci porta all’interno di un imbarazzante trattato sul tema del martirio, inaspettatamente pretenzioso e ascetico. Della bravura delle due belle protagoniste, Morhana Aloui e Mylene Jampanoi è difficile parlare, intente come sono a gridare insanguinate per buona parte del film. Resta poco, dalla messa in scena inelegante, alle pretese da nuovo Salò pasoliniano. Martyrs sembra piuttosto uno scandalo ben progettato, una “boucherie” senza alcun limite (se non quello, coerentemente col tema passionale, erotico) rivestita da misticheggianti motivi religiosi.
Prima di vedere questo film consiglio di leggere i commenti in questo post. Personalmente è un film che non guarderò e che eviterei fossi in voi. Aspetto commenti nel caso vogliate avventurarvi ma ripeto, lasciate perdere
Un film di Peter Sasdy. Con Linda Hayden, Christopher Lee, Anthony Corlan Titolo originale Taste the Blood of Dracula. Horror, durata 95′ min. – Gran Bretagna 1970. MYMONETRO Una messa per Dracula valutazione media: 1,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Nella Londra vittoriana tre nobilastri annoiati convincono Lord Courtley a ridestare il suo maestro, il vampiro Dracula ma poi, terrorizzati, uccidono l’amico. Per vendicarsi, Dracula sottomette alla sua volontà i figli dei tre malvagi. Solo uno dei giovani riesce a sottrarsi e affronta il vampiro. 4° Dracula della Hammer con C. Lee, banale e stracolmo di insulse trovate macabre. Seguito da Il marchio di Dracula.
Ogni episodio di Star Trek: Short Treks racconta una storia autoconclusiva a sé stante che serve come “opportunità per approfondire la narrazione, i personaggi e i temi chiave di Star Trek: Discovery e dell’universo espanso di Star Trek“
Un film di Roy Ward Baker. Con Christopher Lee, Dennis Waterman, Jenny Hanley, Richard Durden Titolo originale Scars of Dracula. Horror, durata 94′ min. – Gran Bretagna 1970. MYMONETRO Il marchio di Dracula valutazione media: 1,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Albert e Sara si trovano nel castello di Dracula in cerca del fratello di lui scomparso. Uno dei più anemici Dracula della Hammer. Dopo l’assenza giustificata in Le figlie di Dracula, C. Lee tornerà al personaggio in 1972: Dracula colpisce ancora.
Tratto dal celebre romanzo di Oscar Wilde con un pizzico di erotismo. Dorian possiede un quadro che lo ritrae giovane e bello. Stipula col quadro uno strano patto: dovrà invecchiare il ritratto e non la persona umana. Dorian rimane sempre stupendamente giovane sino a quando la sua coscienza non gli consiglia il suicidio.
Diretto sequel di Mad Doctor of Blood Island, il film inizia come di consueto su una barca con a bordo John Ashley che riveste i panni di Bill Foster. Il mostro alla clorofilla del film precedente è a bordo e ammazza tutti con furia selvaggia. La barca esplode. Si salva solo Foster aggrappato al relitto. In realtà, si salva anche il mostro che, accasciato sulla spiaggia, si risveglia e si allontana nella giungla. Agile, dinamico e furioso, il mostro è protagonista di un inizio diverso da quello degli altri due film lenti nel presentare situazioni e personaggi. Stavolta questa esigenza non c’è e Romero pigia sull’acceleratore, ma è solo una mossa spiazzante. Dopo i titoli, troviamo Foster di nuovo a bordo di una nave diretta all’Isola di sangue. Con lui, Myra Russell (Celeste Yarnall), una giornalista interessata a quanto è successo a suo tempo. Sull’isola, Foster ritrova un’atmosfera pesante: non lo vogliono, il suo tentativo precedente è stato inutile, il mostro è tornato. Torna anche il dottor Lorca stavolta interpretato dall’ottimo Eddie Garcia. Alla mezz’ora il film cambia registro: Myra viene rapita da una banda di guerriglieri e inizia un lungo inseguimento nella giungla che appartiene al genere avventuroso. L’horror è lasciato completamente da parte. I guerriglieri portano la ragazza alla nuova base del dottor Lorca che tiene in laboratorio il mostro alla clorofilla: ne ha separato il corpo dalla testa, ma entrambi sono vivi grazie al suo fluido verde. La seconda mezz’ora è stata d’azione. Allo scoccare dell’ora di film, Lorca entra in sala operatoria. La testa del mostro osserva. Il siero alla clorofilla che lo tiene in vita gorgoglia. Torna l’horror per il gran finale, sia pure ancora combinato con l’action. Mad Doctor of Blood Island era stato un successo travolgente nel circuito dei drive-in americani, ma Romero, per la prima volta alla guida solitaria di un film della serie, piuttosto perversamente, non dà al pubblico una nuova razione della stessa cosa e, dimostrando di non essere troppo interessato all’horror, realizza una singolare contaminazione di generi, riuscita solo in parte. I personaggi sono puri stereotipi. La bestia di sangue mostra sempre le qualità professionali di Romero, ma sembra girato più in fretta, per qualche scollatura di montaggio e qualche piccola scena non riuscita. John Ashley si fa sempre vedere con piacere e Eddie Garcia è uno degli attori feticcio di Romero. Nato nel 1921, è tuttora attivissimo dopo aver interpretato quasi duecento film e averne diretti almeno una quindicina. Il manifesto con il mostro con la propria testa mozzata tra le mani fece sensazione (esempio di pura exploitation: la scena non c’è nel film)
Un film di Richard Fleischer. Con Richard Attenborough, Judy Geeson, John Hurt Titolo originale 10 Rillington Place. Drammatico, durata 111′ min. – Gran Bretagna 1971. MYMONETRO L’assassino di Rillington Place N. 10 valutazione media: 2,75 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Da un libro di Ludovic Kennedy. La vera storia, che sconvolse Londra negli anni ’40, di John Reginald Christie, che avvicinava le donne, le uccideva e le seppelliva in giardino. Accurata ricostruzione dell’ambiente, intensa interpretazione, seppur teatraleggiante, di Attenborough, ma poco soddisfacente l’approfondimento psicologico.
Le richieste di reupload di film,serie tv, fumetti devono essere fatte SOLO ED ESCLUSIVAMENTE via email (ipersphera@gmail.com), le richieste fatte nei commenti verrano cestinate.