Un vestito da prima comunione deve giungere in tempo a casa del commendator Carloni. Visto il grave ritardo, lo stesso Carloni va a prenderlo dalla sarta. Nel ritorno a casa una serie di imprevisti aggrava la situazione. Appello alla bontà e alla solidarietà in forma di satira dei vizi borghesi, è una commedia ad alta velocità e a ritmo di balletto. Godibile galleria di caratteristi e frequenti trasgressioni zavattiniane alle regole della commedia realistica. Scritta, col regista, da C. Zavattini e S. Cecchi D’Amico. 3 Nastri d’argento: regia, soggetto, A. Fabrizi. Titolo francese: Sa Majesté Monsieur Dupont; titolo inglese: His Majesty Mr. Jones.
Nel Seicento il bieco Van Gould, fiammingo al servizio degli spagnoli, uccide il conte di Ventimiglia e ne deporta i tre figli nelle Americhe. Fuggiranno e, diventati corsari, riusciranno a vendicarsi.
A New York un’ambiziosa ragazza ebrea si innamora di un dongiovanni che per qualche tempo la corteggia, quindi la abbandona per tornare al suo mondo. La giovane si unirà all’uomo che l’ha sempre attesa, rassegnandosi a una vita piatta e priva di imprevisti.
Strage familiare: il giovane Orin uccide l’amante della madre Cristina che a sua volta ha avvelenato il marito Ezra, e la madre si suicida dal dolore. Unito da un morboso affetto alla sorella, Orin si uccide a sua volta.
Qohen è uno degli sviluppatori più produttivi della Mancom ma si è alienato sempre più dal mondo esterno. A tenerlo in vita e dargli la forza di andare avanti è solo l’attesa di una fantomatica chiamata che gli indicherà il suo destino. Finalmente il misterioso Management, capo della corporation, accetta di parlare con Qohen, affidandogli la risoluzione dello Zero Theorem, un algoritmo impossibile sull’assurdità dell’esistente. Accettare di tornare al cinema dopo il fallimento di progetti durati una vita. Accettare gli insuccessi senza abbandonare la propria Idea, quella di interpretare il mondo confuso e infelice in cui viviamo con gli strumenti del fantasy e della fantascienza di un’altra epoca, dimostrando come possano ancora essere attuali. Terry Gilliam è tutto questo, un incassatore come neanche John Mugabe sul ring contro Marvelous Hagler. Uno che trova il coraggio di tornare su canovacci per i più obsoleti, senescenti e uncool, come Brazil e L’esercito delle dodici scimmie, e provare a realizzarne un’ulteriore appendice, con un budget inferiore a disposizione e con il disincanto pessimista che ha preso il posto della rabbia eversiva di chi vuole cambiare le cose. Il punto di vista è, inevitabilmente, quello di un autore di un’altra generazione, come lo è quello di Eastwood o lo era quello dell’ultimo Altman. Ma Gilliam non fa nulla per nasconderlo, quando invita a partecipare al suo videogioco vintage riadattato alla contemporaneità; il suo è un occhio nostalgico e disincantato sulla dissoluzione delle nostre vite, cominciata tra gli ’80 e i ’90 e proseguita nel terzo millennio, erodendo in maniera crescente speranze e scampoli di libertà, incastrando sempre più questi ultimi tra i pertugi concessi da lavori veri e fittizi, quando non autoindotti. Su quest’ultimo punto e sul ruolo della connettività 24/7 Gilliam lancia uno dei suoi strali più avvelenati, sintetizzando nella necessità di un continuo upload dei propri dati e del proprio lavoro la schiavitù imperante della deadline: droga, stimolo e spauracchio, causa ed effetto, mezzo e fine. Qohen, agorafobico, vive in una chiesa che pare un museo, circondato da vestigia di un’altra epoca, o meglio di altre epoche, in un cortocircuito di generazioni perdute che sembrano tendere al Caos ultimo, all’Entropia galoppante; il pessimismo di Brazil si è trasformato in accettazione acritica del secondo principio della termodinamica. Qualunque cosa possiamo sforzarci di fare, il caos crescerà inesorabilmente. E la scelta di Qohen come soggetto-cavia della Mancom – geniale sintesi di un’agenzia di lavoro interinale e di un super-social network – è dovuta unicamente alla sua speranza, al residuo di un desiderio di unicità che ancora alberga in un essere umano che si oppone a una normalizzazione subdola, che passa da una policromia accecante, da sorrisi forzati e da un information overload che ottunde e segue l’uomo, anziché esserne seguito. E a costo di risultare ovvio o datato, Gilliam affronta di petto lo smarrimento delle identità (“chiama tutti Bob perché non può sprecare neuroni preziosi a ricordare i nomi della gente”) che si fa paradossale in un mondo teoricamente ossessionato dall’esibizione e moltiplicazione dell’ego nella Rete. Ma la variabile vincente dell’algoritmo di The Zero Theorem sta forse nel cast, in un Christoph Waltz che per una volta trattiene i trucchi e i cliché del mestiere, in Thewlis, Swinton e Matt Damon che con dedizione si ritagliano ruoli consapevolmente caricaturali e nella rivelazione Mélanie Thierry, recuperata dall’abisso delle promesse mancate. Dall’accettazione della propria non-unicità – essere “creep” e non “special” – parte forse l’unico sentiero possibile verso una serena e consapevole (in)felicità.
Marvel’s Agent Carter, nota semplicemente come Agent Carter, è una serie televisiva statunitense creata da Christopher Markus e Stephen McFeely per la ABC, basata sull’omonimo cortometraggio dei Marvel Studios. Ambientata all’interno del Marvel Cinematic Universe dopo gli eventi di Captain America – Il primo Vendicatore, la serie è prodotta dalla Marvel Television, ABC Studios, F&B Fazekas & Butters; Tara Butters, Michele Fazekas e Chris Dingess sono gli showrunner. La serie ha come protagonista Hayley Atwell nei panni di Peggy Carter, costretta a bilanciare il suo lavoro di agente segreto con la sua vita da donna single nell’America degli anni quaranta. La prima stagione è ambientata a New York nel 1946, e mostra Peggy Carter che si ritrova costretta a bilanciare il suo lavoro d’ufficio alla Strategic Scientific Reserve (SSR) con la missione segreta affidatale da Howard Stark, incastrato con l’accusa di aver venduto armi letali al miglior offerente. Per ripulire il nome dell’uomo, deve trovare i veri responsabili e recuperare le armi, Peggy viene assistita dal fedele maggiordomo di Stark, Edwin Jarvis.[2][3] Nella seconda stagione Peggy si trasferisce a Los Angeles per affrontare una minaccia che rischia di mettere in pericolo tutte le persone che ha giurato di proteggere.[4]
Una ragazza di provincia si trasferisce nella capitale americana e va ad abitare con un’amica in una pensione la cui proprietaria si arricchisce con la tratta delle bianche. Un ragazzo si innamora di lei ma la giovane, credendo che la tradisca con l’amica, cerca di conquistare il suo principale che a sua volta ha preso una cotta per la sua compagna. Questa un giorno scompare e i tre personaggi la cercano finché la trovano, smascherano il losco commercio e dichiarano reciprocamente i propri sentimenti.
Joy Miller, che si vuole affrancare dalle sue origini operaie, insegna come acquisire bellezza e buone maniere in una scuola serale del non elegantissimo quartiere di Queens. Il giorno in cui la scuola va a fuoco si ritrova al centro delle cronache e il suo nome diventa noto anche al dittatore della Slovezia il quale le offre un lavoro come insegnante di buone maniere per la sua prole. Ma gli equivoci non mancheranno. Fran Dreschner è molto nota negli Usa (e non solo) per la sitcom The Nanny e Timothy Dalton lo è nel mondo del cinema per avere indossato i panni di 007. I modelli di riferimento non mancano a nessuno dei due e in particolare la Dreschner nella versione originale accentua la sua ebraicità non dimenticando nel contempo Lucille Ball. Per Dalton non mancano gli esempi di rudi machi che scoprono di avere un cuore tenero. In definitiva nulla di nuovo sotto il sole ma due ore di intrattenimento innocuo e a tratti divertente.
La serie è tratta dalla collana di libri popolare in Francia “Les Pyjamasques” ed esplora il divertente mondo ricco di fantasia e di mistero creato dall’autore Romuald, protagonisti tre piccoli supereroi: Gattoboy, Gufetta e Geco. Di giorno i protagonisti sono tre bambini come gli altri, ma di notte, indossati i loro pigiamini e chiusi gli occhi, per Gattoboy, Gufetta e Geco comincia il lavoro da supereroi che li trascina in un’avventura emozionante sotto la luce della luna.
T.R. Baskin è una ragazza di provincia che viene a lavorare in città, ansiosa di ambienti e rapporti nuovi. Rimedia solo delusioni, incontri balordi con uomini sposati che si lasciano ingannare dal suo aspetto di bionda mangiatrice di uomini. Sta per mollare tutto e tornarsene a casa, ma supera la crisi. Rimarrà e un giorno farà l’incontro giusto.
Purtroppo non ho trovato versioni in italiano, ci sono su Emule ma non scendono
Finito in carcere per ubriachezza e guida pericolosa, il campione di rugby Crewe è costretto dal direttore ad allenare una squadra di detenuti che dovrà battersi contro quella dei poliziotti. Lo scontro è duro e i poliziotti giocano pesante: perciò Crewe, che in un primo momento si era accordato col direttore per la vittoria dei poliziotti, si impegna a fondo e fa vincere la propria squadra.
Dalla pièce di Alec Coppel. Scrittore di gialli per la TV, ricattato, decide di uccidere il ricattatore. Esegue il piano _ o così crede _ e nasconde il cadavere in giardino. È una farsa nera condotta a ritmo frenetico che strappa più di una risata, ma l’origine teatrale si fa sentire. Rifatto nel 1971 in Francia con Jo e il gazebo con Louis de Funès.
Dal racconto The Green Heart di Jack Ritchie. Playboy scapolo di mezza età, vicino alla bancarotta, sposa una zitella miliardaria, bruttarella, goffa e appassionata di botanica. Dopo le nozze vorrebbe eliminarla. Deliziosa commedia, cento minuti di divertimento garantito. Anche se lei lo ha disconosciuto, è il miglior film di E. May che qui ha fatto tutto: sceneggiatura, regia e interpretazione al fianco di un Matthau irresistibile. Intelligenza e sarcasmo.
Bates Motel è una serie televisivastatunitense in onda sul network A&E a partire dal 18 marzo 2013.[1] In Italia, viene trasmessa su Rai 2 a partire dal 13 settembre 2013.[2] La serie è molto liberamente basata sui personaggi del romanzo Psycho di Robert Bloch del 1959 e sul film diretto da Alfred Hitchcock, è incentrata sul rapporto tra Norman Bates e sua madre, interpretati da Freddie Highmore e Vera Farmiga. Gli autori hanno dichiarato che la serie «non è un omaggio a Psycho […] quei personaggi sono solo d’ispirazione» (C. Cuse[3]); a supporto di questa affermazione l’ambientazione contemporanea degli avvenimenti e diverse incoerenze che evidenziano come la serie non possa di fatto essere considerata un vero e proprio “prequel”. Dopo la morte del marito, Norma Bates compra un motel situato nella cittadina di White Pine Bay, in Oregon, e vi si trasferisce insieme al figlio Norman. La stessa notte in cui i due giungono in città, un uomo si introduce nella loro nuova casa e cerca di stuprare Norma ma il figlio arriva in tempo e stordisce l’uomo mentre la donna, traumatizzata da ciò che stava per accadere, accoltella a morte l’uomo. I due, dopo essersi resi conto di ciò che hanno fatto, gettano il cadavere nel mare, ma ben presto, lo sceriffo e il vice sceriffo notano la mancanza dell’uomo in città.
Una coppia di musicisti (lui è suonatore di cornetta e lei cantante) è costretta a mettere in collegio la figlioletta per non trascinarla da una città all’altra durante le loro tournées. Una grave malattia colpisce la bambina che resterà paralizzata alle gambe. Il padre, oppresso da un ingiustificato senso di colpa, lascia il mondo della musica e, pur di restare sempre vicino alla figlia, accetta un posto di muratore. Soltanto dopo anni, quando la figlia guarisce completamente, l’uomo torna alla sua cornetta e riprende con successo a suonare. È la storia romanzata del grande jazzista Red Nichols.
Inviato in una chiesa cattolica di un povero quartiere metropolitano, Padre O’Malley polemizza con la Madre Superiora conservatrice, ma tutto va a vantaggio dei bambini da loro educati. Seguito di La mia via (1944), ebbe altrettanto successo e sei nomination agli Oscar. Il tasso di sciroppo sentimentale è ancor più alto. Film natalizio a prova di bomba.
Giovane medico (M. Mastroianni), sostenitore di una nuova tecnica di parto indolore, ha una relazione con una delle sue infermiere (G. Ralli) che rimane incinta. Complicazioni. Perduti il brio e lo smalto dei primi film, qui L. Emmer si immerge nel rosa di una commedia all’insegna di un edificante didascalismo.
Un film di David S. Ward. Con Peter O’Toole, John Hurt, John Goodman Titolo originale King Ralph. Commedia, durata 97 min. – USA 1991. MYMONETRO Sua maestà viene da Las Vegas valutazione media: 2,63 su 8 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Pigmalione di George Bernard Shaw rivisitato. Al posto della tenera e ignorante fioraia troviamo un simpatico grassone. Costui viene prelevato di forza da Las Vegas e portato alla corte d’Inghilterra perché urge un nuovo re. Inutile dire che il cerimoniere tuttofare, interpretato da O’Toole, avrà un bel daffare per tener tranquillo lo yankee che mal si adatta alla vita di palazzo.
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