Costretta a lasciare il nativo Afghanistan dopo il ritorno al potere dei Talebani, Donya, che lavorava come interprete per l’esercito americano, si ritrova in California con un impiego presso un’azienda che produce biscotti della fortuna per i ristoranti cinesi della zona. La ragazza cerca di costruirsi una vita lontana da casa, arrivando a ottenere l’incarico di scrivere i bigliettini all’interno dei biscotti e potendo contare su alcuni connazionali e uno sparuto gruppo di amici del luogo. Eppure c’è qualcosa che la tiene sveglia la notte, e la spinge a cercare aiuto nella terapia.
Holly è una provinciale – ma molto sofisticata – che vive a New York. Ha frequentazioni di gente di ogni tipo: artisti, ricchi, malviventi. Paul è un giovane scrittore protetto… da un’amante più anziana di lui. Holly e Paul abitano nello stesso palazzo. Si conoscono, diventano amici. La ragazza, che mira a sposare un miliardario, passa da una festa all’altra, rincorre il tempo, è fragile, passa da depressioni profonde a esaltazioni sfrenate. Ma non manca mai, la mattina, rientrando da una festa, di far colazione davanti alle vetrine di Tiffany, la leggendaria gioielleria. Emergono, dal passato di Holly, scheletri e fantasmi, ma sono solo frutto della sua ingenuità. E comunque, sposare un ricchissimo messicano cancellerà tutto. Ma il magnate si tira indietro. A Holly rimane Paul, che l’ama davvero, e forse anche lei contraccambia.
Germania, Gran Bretagna, Genere: Sentimentale durata 88′ film per la tv Regia di Piers Haggard Con Vanessa Redgrave, Maximilian Schell, Maisie Dimbleby, Victoria Hamilton, Sebastian Koch, Stephanie Stumph, Victoria Smurfit…
Penelope, madre di Olivia, è reduce da un lieve infarto e sente di dover dare una svolta alla propria vita. Accetta quindi l’invito di Olivia e si reca a trovarlare a Ibiza, dove vive con il suo nuovo compagno e la figlia di lui. Alla vista del mare Penelope ripercorre con la memoria i tempi felici della sua giovinezza trascorsa tra la Cornovaglia e Londra: gli anni difficili del matrimonio con Ambrose Keeling e la nostalgia per il suo perduto amore di gioventù, Richard, caduto in guerra. In compagnia di Danus, il giardiniere di cui si è innamorata e che le ricorda Richard, Penelope decide di far ritorno alla casa paterna in Cornovaglia. Qui la aspetta una sorpresa, destinata a cambiare gli eventi…
Due storie a sfondo ospedaliero: nella prima Tei, giovane dottoressa in un piccolo ospedale di provincia, si ritrova a respingere le timide avances di Toa, perché presa ancora dall’amore per il fioraio Noom. Nella seconda il dottor Nohng, medico praticante appena assunto in un ospedale del centro, inizia il suo primo giorno di lavoro. Il neoassunto vaga per l’ospedale e incontra un vecchio amico nel reparto di fisioterapia, finché la sera non giunge a un appuntamento con la fidanzata. Questo il plot del nuovo film del tailandese Apichatpong Weerasethakul, cineasta apprezzato dalla critica per il precedente Tropical Malady, presentato due anni fa al Festival di Cannes. Dopo la storia d’amore omosessuale dell’ultimo film, il regista sceglie questa volta di indagare la memoria e i personali ricordi d’infanzia con uno stile estremamente privato e autobiografico. Entrambi i genitori di Weerasethakul infatti erano medici, e il regista è cresciuto a stretto contatto con l’ambiente ospedaliero di una cittadina tailandese, osservando con curiosità l’umanità variegata che ogni giorno andava alla ricerca di cure mediche. Lui stesso dichiara: “Sono affascinato dagli spazi delle piccole città e dai panorami che offrono. Ora che la mia città natale sta cambiando così velocemente, diventando sempre più simile a Bangkok, i miei ricordi di questi spazi perduti sembrano ancora più lontani”. È stata dunque l’incalzante globalizzazione a risvegliare nel cineasta un desiderio di semplicità e di nostalgia per una perduta innocenza, una nostalgia del passato che si concretizza nei ricordi – come insegna Wong Kar-Wai – “sempre pieni di lacrime”. Syndromes and a Century è dunque un vecchio ricordo filtrato attraverso il moderno obiettivo di una camera lenta e sommessa, che si muove in punta di piedi (ma per lo più rimane fissa) tra i meandri della memoria. Un film dai toni lievi e rarefatti, i cui episodi appaiono legati tra loro dal filo conduttore dell’ambientazione ospedaliera, “architettura della memoria” per l’autore del film, ma non per lo spettatore. Il risultato finale appare dunque frutto di un’elaborazione troppo personale e frammentaria, una storia di ricordi che non riesce a entrare nel cuore di chi la osserva. Un film intimista che scivola sullo spettatore senza lasciare scossoni o tracce profonde, lasciandogli in eredità, allo scorrere dei fotogrammi, niente di più che immagini poetiche e sensazioni delicate ma labili e fuggevoli.
Shiro lotta contro il cancro del padre. La morte incombente del genitore lo induce a riflettere sull’importanza del sentimento che prova ancora per lui. Decide così di trovare un modo convincente per esprimere l’ammirazione per il padre. Quasi trentenne, in procinto di fidanzarsi, con un segreto che lo consuma nell’intimità, Shiro dovrà imparare a condividere il suo amore con i suoi cari.
Il lombardo Nullo e la siciliana Carmela, operai in una fabbrica, s’innamorano. La donna, intossicata da esalazioni venefiche, muore. Nullo la vendica. Comencini taglia, alleggerisce alla lombarda il vino meridionale ad alto tasso alcolico di Ugo Pirro (soggetto e sceneggiatura) in una love story proletaria diseguale, ma ricca di momenti espressivi. Imperfetto, ma anche imprevedibile sullo sfondo di una suggestiva e malinconica Milano della cintura operaia. Fu capito dai critici francesi a Cannes, e la Sandrelli, di nuovo siciliana e doppiata controvoglia, è bravissima.
The Young Pope è una serie televisivaitalo–franco–spagnola di genere drammatico ideata e diretta da Paolo Sorrentino, che ha esordito il 21 ottobre 2016 sul canale satellitareSky Atlantic.Lenny Belardo è un cardinale giovane, mite e dallo scarso peso politico. Abbandonato in orfanotrofio in tenera età, Lenny è continuamente tormentato da tale abbandono e ha sviluppato un rapporto molto turbolento con la fede e con Dio. Inaspettatamente, Lenny viene eletto pontefice dal collegio cardinalizio, che crede forse di aver trovato una pedina da poter manovrare a piacimento. Tuttavia Lenny, salito al soglio pontificio con il nome pontificale di Pio XIII, si dimostrerà un papa controverso e per nulla incline a farsi comandare, machiavellico e manipolatore.
Ispirata ai quattro Vangeli (ma in particolare a quello di Marco) con una forte componente mariana e una premeditata omissione del contesto storico-politico, questa vita di Cristo si rivolge all’umanità più che alla divinità del personaggio, espungendo gran parte dei miracoli e le profezie sulla fine del mondo e riducendo al minimo i riferimenti al soprannaturale. Esplicitamente popolare nel rispetto della tradizione iconografica, quasi da presepio, è un film tutto rosselliniano nell’illuminata indolenza, nel ritmo incalzante, nella disadorna semplicità della scrittura, nella trasparenza dello stile che può sembrare sciattezza. Per la prima volta nel cinema cristologico c’è la scena della Pietà: il Cristo morto in grembo alla madre.
Rimasto vedovo, console britannico a Firenze si trova impreparato ad avere un buon rapporto con i due figlioletti. Il più piccolo ha tutte le sue attenzioni, l’altro ne soffre. Dopo Vittorio De Sica, Comencini è in Italia il regista che meglio sa capire (e far recitare) i bambini e per far questo occorre conoscerli bene. Lo dimostra anche questo melodramma, tratto da un mediocre romanzo strappalacrime (1869) di Florence Montgomery che, in virtù di stile e di una lucida strutturazione dei fatti e delle emozioni, Comencini trasforma in un grave affresco dei sentimenti, delicato e coinvolgente. Incompreso in Italia, ebbe un grande seppur ritardato successo all’estero.
Un film di Larry Charles. Con Sacha Baron Cohen, Pamela Anderson, Ken Davitian Titolo originale Borat: Cultural Learnings of America For Make Benefit Glorious Nation of Kazakhstan. Commedia, durata 84 min. – USA 2006. – 20th Century Fox uscita venerdì 2marzo 2007. – VM 14 – MYMONETRO Borat – Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan valutazione media: 2,33 su 231 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Irriverente, sovversivo, oltraggioso. Borat Sagdiyev è un reporter kazako in viaggio negli Stati Uniti d’America per girare un documentario che riprenda le usanze e i costumi del nuovo mondo, per poi riportare la preziosa e fedele testimonianza al suo paese. Misogino, antisemita e razzista, semina il panico e lascia il segno a ogni suo passaggio, scardinando di volta in volta le certezze e le ipocrisie di una cultura carica di pregiudizi e oscenità. Dal creatore di Ali G., Sacha Baron Cohen, un film che promette di far ridere a crepapelle dall’inizio alla fine della pellicola. Su un carrettino di gelati, insieme al suo goffo collega, Borat viaggia in lungo e in largo negli States alla ricerca di qualcuno che gli indichi le buone maniere, lo stare in società, ma soprattutto la strada per raggiungere il suo obiettivo unico e solo: incontrare l’eroina del suo telefilm preferito.
Dago è un nobile veneziano di nome Cesare Renzi, figlio primogenito ed erede della casata dei Renzi, dignitari della Repubblica di Venezia. Il padre di Cesare scopre un complotto organizzato ai danni della Repubblica dal nobile turco Ahmed Bey e dal mercante greco Kalandrakis, con la complicità di due veneziani molto in vista. Viene a sapere che uno dei nobili veneziani coinvolti nella congiura è il giovane Giacomo Barazutti, migliore amico di Cesare; perciò non riesce a dirlo apertamente al figlio e decide di scriverlo in una lettera. Nel frattempo lo confida al principe Bertini, ignorando che è proprio lui a capo del complotto. Questi decide di eliminare il Renzi e tutta la sua famiglia, incluso Cesare.
Un film di Wisit Sartsanatieng. Con Chartchai Ngamsan, Stella Malucchi, Sombat Metanee, Arawat Ruangvuth, Supakorn Kitsuwon Titolo originale Fah Talai Jone. Azione, b/n durata 110′ min. – Thailandia 2001. MYMONETRO Le lacrime della Tigre Nera valutazione media: 3,00 su 4 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
Fiammeggiante mélo romantico dal finale tragico dove l’ostacolo che si oppone al grande amore non è soltanto il conflitto di classe _ lei ricca borghese di Bangkok, lui modesto ragazzo di campagna _ ma anche il fatto che, per vendicare l’uccisione del padre, lui diventa fuorilegge, mentre lei è promessa in sposa a un capitano di polizia. Regista pubblicitario e sceneggiatore, Sartsanatieng esordisce nel lungometraggio con un irrealistico e ironico pastiche, recuperando temi, forme e caratteri dei ridondanti melodrammi thai degli anni ’60 che, a loro volta, assimilavano tropi e stilemi dei mélo hollywoodiani dei ’50, nonché dei western di Leone e Peckinpah. 1° film thailandese distribuito in Italia (dopo “Un Certain Regard” a Cannes), esige, per essere gustato, una lettura di 2° grado che riconosca riferimenti e ammicchi al cinema del passato; l’ardita stilizzazione coloristica e scenografica (manipolata col digitale); le staffilate di dolcezza nei dialoghi amorosi (con venature di buddismo); il manierismo teatrale della recitazione; la parodica ingenuità delle scene d’azione; l’efficace sconnessione temporale nella costruzione narrativa.
Paprika è un film (liberamente tratto dal romanzo Fanny Hill di John Cleland) del 1991 diretto da Tinto Brass e interpretato da Debora Caprioglio. Il regista ripropose con questo film l’opportunità del ripristino delle case di tolleranza, tema puntualmente dibattuto dall’opinione pubblicaitaliana; i detrattori presero spunto dal film per dimostrare quanto la piaga dello sfruttamento fosse comunque presente.
Nel 1948, Mimma decide di lavorare in una casa di tolleranza per un breve periodo, la cosiddetta “quindicina”, per aiutare economicamente il fidanzato Nino e sposarsi, assumendo così il nome d’arte “Paprika” dopo avere assaggiato un gulasch. Quando scopre che Nino è in realtà un lestofante che vuole solo sfruttarla, non le resta che proseguire nel mestiere, considerata poi la schedatura giudiziaria per tutte le prostitute, frequentando diverse case dentro e fuori l’Italia, conoscendo i più diversi personaggi, sia benevoli che sordidi, fino a quando, poco prima dell’avvento della legge Merlin che dispone la chiusura di tutte le case di tolleranza, riesce a sistemarsi sposando il conte Bastiano, un anziano e ricco cliente.
In una fabbrica di pigiami un’operaia canta e balla così bene da far perdere la testa al direttore. Contrastano questo sentimento rivendicazioni salariali e lotte interne tra i lavoratori e direzione, ma alla fine i buoni sentimenti hanno la meglio, come in ogni favola che si rispetti.
Jong-su è un aspirante scrittore che vive di espedienti. Quando incontra per caso Hae-mi non la riconosce, ma la ragazza si ricorda di lui e lo persuade a prendersi cura del suo gatto. Jong-su si innamora, ma Hae-mi parte per l’Africa: al suo ritorno è accompagnata dal misterioso e facoltoso Ben.I ritorni artistici dopo un lungo silenzio generano enormi aspettative e amplificano i rischi. In qualche caso, raro, permettono di valutare appieno il peso di un artista e gli regalano il tempo necessario perché questi liberi il suo estro in un’opera memorabile.Lee Chang-dong (Poetry, Secret Sunshine) non è nuovo a prendersi delle pause, ma Burning meritava tutto il tempo che il regista si è preso, ovvero otto lunghi anni di lontananza dalla macchina da presa. Un film-enigma, in cui la soluzione è plurima o forse inesistente, una contorta macchinazione che accumula menzogne su menzogne per dare senso a ciò che non ne ha. La natura sfuggente e non lineare di Burning diviene la perfetta fotografia della contemporaneità, l’unico modo di raccontare un presente complesso e terribile, di difficile lettura.Attraverso il personaggio del taciturno Ben, Lee delinea un ritratto implacabile dell’invisibilità del male: Ben è ricchissimo, annoiato e portato inevitabilmente a osservare i piccoli uomini che gravitano attorno a lui come burattini impazziti, vulnerabili e manipolabili.
Un mondo in cui le differenze sociali, la violenza e il pregiudizio sono più forti che mai e più inafferrabili che mai, nascosti sotto strati di maschere e sorrisi. In cui c’è chi brucia e chi protegge, chi gioca a fare dio e chi sogna, perché è tutto ciò che gli resta da fare.Il dualismo che si instaura tra Ben e Jong-su, costruito apparentemente intorno al vertice di un triangolo scaleno (la bellissima Hae-mi), è lo scontro inevitabile di archetipi divergenti.Il confuso idealismo di Jong-su, gravato dal peso della miseria e del rimpianto, identifica in Ben ogni male, ma Lee non indica mai con assoluta certezza quanto si tratti di ossessione e quanto di realtà.
A Yentown vivono immigrati provenienti da ogni parte del mondo. Tra di loro c’è Ageha, una ragazza a cui è da poco morta la madre, che viene sballottata in giro fino a quando una prostituta di nome Glico decide di prendersi cura di lei. Ageha fa la conoscenza di altri poveri immigrati e tutti insieme – grazie allo spirito di solidarietà reciproca – riescono ad arrangiarsi. Improvvisamente tutti i loro sogni sembrano avverarsi per magia.
Per rimanere in Italia Karin, profuga lituana, sposa una guardia del campo d’internamento, pescatore di Stromboli (una delle Eolie), ma è dura la vita di straniera sull’isola. Disperata, durante un’eruzione del vulcano, cerca di andarsene. Si smarrisce, invoca Dio e ritorna, sconfitta e vittoriosa nello stesso tempo. 1° dei 5 film della coppia Rossellini-Bergman e della cosiddetta trilogia della solitudine (Europa ’51, Viaggio in Italia). Prodotto dalla RKO e dalla Berit (Bergman-Rossellini). 102 giorni di riprese (invece dei 42 previsti) turbate all’esterno da polemiche e scandali, all’interno dal maltempo e da vari contrattempi. Oltre a quella italiana, curata in postproduzione dal regista, esistono altre 2 versioni: quella europea, leggermente diversa, e quella americana, montata a Hollywood e ridotta a 81′. Dramma di forte tensione esistenziale, ricco di splendide aperture documentaristiche (la tonnara, l’eruzione, i vagabondaggi di Karin nell’isola), in un racconto che registra la realtà nella sua immediatezza e lascia i fatti svolgersi senza interpretazioni e nemmeno motivazioni. Incompreso da gran parte della critica e ignorato dal pubblico. I. Bergman in una delle sue migliori interpretazioni. Distribuito in Italia nel marzo 1951.
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